E LA FIAT BUSSA AD AIUTI DI STATO: PERCHE’ AD ALTRI NO?
DAL 1990 AL 1999 LO STATO HA FINANZIATO LA FIAT CON 10.000 MILIARDI DI LIRE E NE HA RICAVATO SOLO 6.500 SOTTO FORMA DI TASSE… SOCIALIZZARE LE PERDITE E INTASCARE GLI UTILI: DA UNA VITA E’ LA FILOSOFIA DELLA FIAT
Per ora sarà pure solo una promessa ma visto che arriva dal premier, in casa
Fiat dormono sonni tranquilli.
Il governo apre al rinnovo degli incentivi per il mercato dell’auto, di fronte al solito rischio che Marchionne sbandiera come minaccia incombente: senza “nuovi stimoli statali” si potrebbe chiudere qualche stabilimento in Italia.
E rilancia, auspicando incentivi anche per il 2011, non pago dell’impegno del governo per il 2010: una tassa perenne a carico degli Italiani vita natural durante.
E non a caso, nei primi 9 mesi dell’anno, la casa automobilistica italiana ha incrementato le vendite dell’1,6%, mentre il mercato europeo è sceso del 6,6%.
Una Fiat in salute, quindi, in netta controtendenza rispetto ad un mercato in crisi. Ma che bussa ugualmente alle porte degli “aiuti di Stato”, come è abituata da una vita, per “evitare problemi occupazionali”come ha sottolineato Luca Cordero di Montezemolo.
E dato che si paventa una sua discesa in campo, come leader del prossimo “Grande Centro” di Casini e transfughi dal Pd e Pdl, meglio assecondare le richieste Fiat.
Si continua su una strada peraltro percorsa da tutti i vari governi precedenti: dal 1990 al 1999 lo Stato ha finanziato la Fiat per la bellezza di 10.000 miliardi di lire e ne ha incassati, sotto forma di tasse, solo 6.500.
Nello stesso periodo gli azionisti Fiat ( famiglia Agnelli in primis) hanno effettuato aumenti di capitale per 4.200 miliardi, ma ne hanno ritirati ben 5.700 sotto forma di dividendi, tipico di un’azienda che ama dividere le perdite con lo Stato e far fruttare in piena autonomia i propri utili. Gli investimenti Fiat nel Mezzogiorno poi sono stati finanziati pesantemente dallo Stato, con un contributo di 6.059 miliardi di lire per la costruzione degli stabilimenti di Melfi (Basilicata) e Pratola Serra ( Campania).
Ma un altro aspetto ci preme qua sottolineare: Fiat parla di rischi per l’occupazione, ma non dice che tra i suoi addetti interni pesano sempre di più i lavoratori stranieri: meno del 40% dei dipendenti Fiat varca i cancelli di fabbriche italiane, la maggioranza è stata delocalizzata nell’Est europeo, in Sudamerica e negli Stati Uniti.
Ma quando si parla di licenziare, chissà perchè la minaccia riguarda solo i lavoratori italiani.
Non a caso in altri Paesi le aziende automobilistiche sono state aiutate, ma come ha fatto Sarkozy in Francia ponendo la precisa clausola che nessun lavoratore francese potesse essere mai licenziato per processi di ristrutturazione aziendali.
Se vuoi aiuti, difendi l’occupazione nazionale, il motto di Sarko.
Poi si pone il problema della concorrenza sleale verso altri settori.
La Confartigianato ha sottolineato che “non è sostenendo l’indotto Fiat si rilancia l’economia. Per dare un vantaggio a un settore si procura uno svantaggio a tutti gli altri”.
Una misura di incentivo distorce la concorrenza, premia un settore a danno di altri.
Nello specifico si aiutano 600 aziende del’indotto Fiat, mentre sono abbandonate a se stesse 90.000 piccole imprese.
Denuncia Confartigianato: “Ci hanno parlato di bonus occupazione, per poi elargire solo incentivi alle auto. Il tutto mentre le piccole aziende continuano a fare i conti con gli stessi studi di settore e una pressione fiscale in crescita”.
Il contrario, tanto per cambiare, di Fiat, le cui imposte sul risultato netto sono passate dal 37,3% del 2005 al 25,9% del 2007.
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