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LA RETE CHE HA SPOLPATO IL MOSE

I “FACILITATORI” DA COLLALTI A FORTUNATO: FUNZIONARI E CONSULENTI ALLA CORTE DEL “GRANDE BURATTINAIO”

Ecco come viene pagato un lobbista: “Se il contratto fosse stato un contratto di lobby, sarebbe stata una prestazione reale. Se è formulata in modo diverso… è sicuramente una prestazione inesistente”.
A spiegarlo, dinanzi ai pm, è Piergiorgio Baita, amministratore della società  Mantovani, uomo forte del Consorzio Venezia Nuova, che gestiva l’affaire Mose.
Parole da tenere a mente, nei giorni in cui il governo Renzi, stilando il nuovo codice degli appalti, sta pensando di introdurre una “norma per legalizzare le lobby”.
“Chiunque ricopra un ruolo istituzionale — ha detto al Corriere Riccardo Nencini, che ha avuto la delega per il codice — se riceve un lobbista, dovrà  annotare su un registro apposito tutto sull’incontro… si tratta di mettere sulla stessa linea di partenza tutte le aziende… di evitare che, chi è più vicino al governo, possa trarne vantaggio”.
Se questa è l’idea del governo Renzi, ecco invece qual è la realtà  che emerge dagli atti dell’inchiesta, con uomini di sottogoverno in costante contatto con il presidente del Consorzio Venezia Nuova, Giovanni Mazzacurati, ormai noto come Mister Mose.
Tra i facilitatori del sistema, sebbene non indagato, spiecca Vincenzo Fortunato: oggi, con il Governo Renzi, è l’uomo chiamato a decidere le dismissioni del nostro Patrimonio immobiliari.
Il braccio destro di Giulio Tremonti
Non c’è soltanto Marco Milanese, il braccio destro di Giulio Tremonti che, per spingere sul Cipe, secondo l’accusa incassa due tranche da 500mila euro.
C’è una schiera di uomini da sempre nelle stanze di governo.
C’è anche Erasmo Cinque, uomo imposto al Consorzio da Altero Matteoli, che presenta Mazzacurati ad Andrea Collalti.
Quest’ultimo, non indagato, a sua volta, è vicino all’ex presidente del Cipe, Mario Baldassarri, e all’intera galassia della vecchia An.
Ed è Collalti che presenta Mister Mose a Riccardo Capecchi, non indagato, tesoriere dell’associazione VeDrò di Enrico Letta, e così Mazzacurati viene letteralmente portato per mano dagli uomini della destra a quelli del centro sinistra.
Successivamente, VeDrò sarà  finanziata con 60mila euro (regolarmente fatturati). Erasmo Cinque incasserà  — secondo l’accusa — una “tangente del 6,5 per cento” sulle opere.
Per quanto riguarda Collalti, infine, quattro società  a lui riconducibili riceveranno dal Cvn 5 milioni di euro con fatture, secondo l’accusa, “totalmente o in parte fittizie”.
Ed è proprio la vicenda Collalti a spiegare che, nel sistema Mose, il Cipe è chiave e obiettivo di tutte le tangenti. I cambi di governo che si susseguono, tra il 2010 e il 2012 — Berlusconi, Monti, Letta — impongono a Mister Mose una rincorsa per trovare sempre nuovi interlocutori. E questa storia insegna che, se i ministri cambiano, i funzionari no. Tanto meno i lobbisti.
Dal commercialista ex Msi la risposta a ogni problema
Andrea Collalti è un commercialista romano, classe 1966, un passato da simpatizzante Msi e un presente nelle società  dello Stato.
In lui la cricca del Mose trova la risposta a ogni problema. Oltre a essere stato la cerniera di collegamento con la rappresentanza di An del governo Berlusconi, è l’uomo che fornisce informazioni certe su quanto accade al Cipe.
Del resto è uno dei suoi lavori principali. Nelle tre fittissime pagine di curriculum Collalti scrive: “Esperto in istruzione e coordinamento pratiche di finanziamenti infrastrutturali presso il Ministero dell’Economia ,il Cipe, il Ministero delle Infrastrutture ed il Ministero dello Sviluppo Economico”.
Tradotto: sa come far ottenere i finanziamenti. E infatti svolge questa attività  per la Cal Concessioni Autostradali Lombarde Spa (che opera in vista di Expo), per l’autostrada tirrenica Livorno-Civitavecchia (fortemente voluta da Altero Matteoli) e, ovviamente, per il Mose.
I pm, dopo aver perquisito le sedi delle società  di Collalti intestatarie di fatture del Cvn per 5 milioni di euro, interrogano Mazzacurati e Baita sul motivo di questi versamenti.
“È una consulenza reale oppure no?”, chiedono al numero uno della Mantovani.
“Non so cosa è scritto nel contratto”, risponde Baita, “so che Collalti svolgeva un’attività  di lobby, chiamiamola così, presso le varie istituzioni romane… Presidenza del Consiglio dei Ministri, Cipe, Ministero dell’Economia”.
“Quindi — insiste il pm — in concreto che cosa doveva fare?”.
“Parlare, portare notizie, spingere perchè la posizione di chi doveva votare nelle occasioni delle votazioni… quello che fa un lobbista”.
“Le somme erano destinate tutte a Collalti — ribattono i pm — o erano destinate anche a terzi?”.
Baita dice di non saper rispondere, che può solo immaginarlo, anche perchè è convinto che “l’attività  di lobby di Collalti non fosse fatta solo a base di cene e di pranzi…”.
I magistrati di Venezia — Stefano Ancilotto, Stefano Buccini e Paola Tonini — aggiungono un tassello con l’interrogatorio a Mazzacurati: “Collalti ci faceva, diciamo, una assistenza di lobbying soprattutto su un capitolo che è il Cipe… noi utilizzavamo Collalti che aveva una serie di contatti… ”.
I pm insistono: “E quindi le somme poi a chi andavano?”. Mazzacurati, alla fine, ammette: “Non lo sappiamo… Collalti si arrangiava lui, io non chiedevo… non c’era ragione” di chiedere anche perchè “avevamo riscontri positivi… Me l’ha presentato Erasmo Cinque (…) io avevo un problema e lui mi ha risposto ‘noi a Roma usiamo Collalti’… quando ci siamo incontrati mi ha detto che lui faceva questo mestiere… e che riusciva a dare tutte le informazioni su dove era la pratica, sulle pressioni che si potevano fare o meno. La cosa ha funzionato bene…”
Mazzacurati ammette: i riscontri dell’operato di Collalti sono positivi. Come nel maggio 2010.
Il grande problema del Signore della Laguna
Mazzacurati è in difficoltà : ha bisogno di 400 milioni per portare avanti il progetto Mose ma il finanziamento è bloccato perchè rischia una bocciatura della Corte dei Conti.
Si rivolge a chi può. Prima ne parla con Lorenzo Quinzi, direttore generale dell’ufficio centrale del Bilancio, un gradino sotto Vincenzo Fortunato (entrambi non indagati), in quel momento capo di gabinetto del ministro Tremonti.
I due cercano inutilmente una via d’uscita. Quinzi saluta Mazza-curati spiegando che “lui e Fortunato vedranno lunedì Incalza e Signorini per tutti gli argomenti del Cipe”. Mazzacurati dice che “può sentire il dottor Letta”.
Quinzi ribatte che “lo può dire chiaramente al sottosegretario Letta”, ma aggiunge che, alla Camera, “non sa se ci siano margini di manovra”.
Sono ore frenetiche per Mazzacurati che, pochi giorni dopo, dice di aver tentato anche la strada di Marco Milanese. I due si incontrano. E Mazzacurati poi riferisce che il braccio destro di Tremonti “ha chiamato dappertutto e tutti gli hanno detto che non c’era problema”.
La trattativa, con il sottobosco dei ministeri, è avviata su tutti i fronti possibili. Ma i passi avanti sono lenti e Mazzacurati freme.
Ai primi di maggio intanto aveva incontrato per la prima volta Collalti a Roma. Dopo tre giorni da quell’incontro Collalti telefona a Mazzacurati per parlare del Cipe e proseguire così il discorso avviato nella capitale.
E il dominus della Cricca va subito al sodo: “Buongiorno.. senta… con il Cipe mi pare che si sta complicando”. Collalti, lucido, lo blocca subito: “Con tutto quello che è successo si allungheranno un po’ i tempi… aspetteranno di aver nominato il nuovo ministro… se lo nominano… perchè c’erano dei dossier che dovevano passare anche lì dallo sviluppo economico”.
Tre giorni prima, infatti, il ministro Claudio Scajola è stato costretto a dimettersi per la vicenda della casa vista Colosseo.
L’allora premier Berlusconi prende l’interim e Collalti dice, tra l’altro, “che è difficile riuscire a farlo firmare a lui (Berlusconi, ndr)”.
Bisogna trovare altre strade. Più rapide e agevoli. Il 12 maggio, dopo appena quattro giorni, Collalti richiama Mazzacurati per avvisarlo della riunione del pre Cipe: “Ho l’ordine del giorno sottomano e se vuole adesso glielo mando”. E spiega la soluzione: “Mi hanno fatto capire che… c’è al punto 6 (dell’ordine del giorno, ndr) la rimodulazione del quadro dei fondi infrastrutture… potremmo essere lì dentro”.
Dopo due settimane arriva la telefonata decisiva. Il pre Cipe è andato bene. “Ora ci sono 45 giorni di tempo per una ricognizione dei fondi… poi devono fare il decreto… sempre il Mef lo fa… a quel punto però è il Cipe che riassegna con però il vincolo di dare al Mose almeno 400 milioni”.
Mazzacurati è quasi incredulo: “Non ho capito se è almeno o al massimo?”. Collalti garantisce: “No, è almeno. A me mi hanno detto almeno 400 milioni…”. Il re del Mose ha risolto il suo problema. Definisce la soluzione “ottima.. è ottima, anche perchè gestisce tutto l’Economia”.
Dodici anni all’Economia, poi lo Stretto di Messina
Nel frattempo le altre pedine mosse da Mazza-curati — Quinzi e Fortunato — avevano tentato altre strade.
Chi sono? Vincenzo Fortunato, capo gabinetto del dicastero dell’Economia e finanza dal 2001 fino al 2013, è sopravvissuto indenne a dieci ministri diversi ed ha salutato via XX Settembre lo scorso anno per diventare liquidatore della società  Stretto di Messina e poi gestire la Sgr del “fondo dei fondi per le dismissioni”, cioè vendere i gioielli immobiliari dello Stato.
Fortunato con Quinzi condividono la stessa longevità  nei Palazzi. Quinzi, infatti, è diventato vice capogabinetto delle Infrastrutture nel 2000 con Antonio Di Pietro e nel 2012 arriva al dicastero di Tremonti. I due ottengono contratti con il Mose: Fortunato percepisce 500 mila euro dal Consorzio per il collaudo dell’opera, Quinzi invece — come racconta Baita — “diventa presidente della commissione” che individuerà  le banche con cui accendere i mutui per conto del Mose.
Ma Baita — uomo chiave della “cricca” – non si occupa soltanto di Mose. Ha anche altre mire, come l’opera “Valdastico Nord”, e anche in questo caso le decisioni del Cipe sono fondamentali. Il governo è cambiato, sono arrivati i “tecnici” guidati dal premier Mario Monti, ma il sistema non cambia: bisogna monitorare il Cipe a tutti i costi.
Anche con i “pizzini” che, secondo una testimone, devono essere consegnati ai piani alti del ministero dello Sviluppo economico e del suo vice, parliamo di Corrado Passera e Mario Ciaccia, entrambi con un passato in Banca Intesa, entrambi non indagati.
Valdastico nord, il foglietto per lo Sviluppo economico
Laura Minutillo, l’ex segretaria di Giancarlo Galan, racconta ai pm di un messaggio destinato dalla “cricca” all’ex ministro Corrado Passera e al suo vice Mario Ciaccia. La vicenda riguarda “l’opera Valdastico Nord”, essenziale per la costruzione dell’autostrada Brescia-Padova, alla quale erano interessati la “Astaldi e Banca Intesa bis” in qualità  di “soci”.
“Non dimentichiamo — dice Minutillo — che l’attuale… e allora ministro e viceministro era uno che si chiamava Passera e uno Ciaccia, che erano due di Banca Intesa, fatalità , che da Banca Intesa seguivano prima queste cose qua da soci… tant’è che lui (Renato Chisso, ex assessore veneto alla mobilità , ndr) diede questo foglietto in particolare a Pagani (dirigente di Banca Intesa) che si sarebbe impegnato a far vedere a chi di dovere….”. “A chi?”, chiedono i pm. “Al ministro e al viceministro…”, risponde Minutillo.
“Se effettivamente tecnicamente era supporta-bile questa cosa, perchè poi è sempre il Ministero che dà  l’okay, no?
E se era un percorso valido da poter percorrere. Però noi non avevamo copia e quindi Baita chiedeva se poteva aver copia….”.
“Venti giorni fa — conclude Minutillo, l’ex segretaria dell’ex governatore veneto Giancarlo Galan — ho appreso dai giornali… che l’8 di marzo sarebbe stato fatto un Cipe dove si portava… per risolvere la questione avevano trovato la quadra, per fare in modo che la concessione venisse rinnovata”.

Antonio Massari e Davide Vecchi
(da “Il Fatto Quotidiano”)

This entry was posted on martedì, Giugno 17th, 2014 at 22:14 and is filed under Giustizia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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