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A 90 ANNI HA LASCIATO LA RUSSIA IL PIU’ AMATO PIANISTA IN PATRIA CHE HA DETTO NO ALLA PROPAGANDA DI PUTIN

ALTRO CHE CERTI INFAMI, MIKHAIL VOSKRESENSKY HA RINUCIATO A ONORI, PRESTIGIO E AGIATEZZA RIFIUTANDO DI SOSTENERE LA GUERRA CONTRO IL POPOLO UCRAINO: “UN ARTISTA NON PUO’ SOSTENERE UN REGIME CRIMINALE”

Misha vive con la famiglia in un piccolo appartamento in affitto nel Bronx, e tira avanti dando lezioni di pianoforte. Anche su una tastiera digitale. Per ragioni di spazio, di buon vicinato e di soldi: la tastiera prende poco spazio, ha una manopola per controllare il volume e costa meno di un piano.
Può sembrare la storia ordinaria di uno dei tanti bravi musicisti che, a New York come altrove, fanno fatica a sbarcare il lunario. Ma la vita di Misha non ha proprio niente di ordinario. Mikhail (Misha) Sergeevich Voskresensky, concertista della grande tradizione romantica, famoso per il suo controllo dei colori musicali, per lo stile raffinato e per la maestria nel far “cantare” lo strumento, fino a tre anni fa era uno degli artisti più amati e onorati nella sua Russia. Da cui è fuggito all’età di 87 anni, perché pacifista. Questa è la sua storia.
“Avevo la direzione del conservatorio Tchaikovsky di Mosca”, inizia a raccontare. “Il massimo, per un musicista russo. Il conservatorio per me era tutto”, dice a Fanpage.it. La nostalgia non incrina la voce, che sembra quella di un ventenne. Nell’edificio ottocentesco color crema sulla elegante Bolshaya Nikitskaya Ulitsa, con davanti un boschetto di betulle e la statua di bronzo dell’autore del Lago dei Cigni e dello Schiaccianoci, Misha Voskresensky si è laureato nel 1958. Prima di diventare rettore, ha diretto per decenni il dipartimento di pianoforte. Col
nipote come assistente. La sua seconda moglie, giovane pianista di talento, ha studiato tra le boiserie di quelle aule, e affrontato le prime prove concertistiche tra gli stucchi di epoca zarista nella sala Rachmaninov, che del conservatorio è il delizioso auditorium. Voskresensky vi diede il suo ultimo concerto in patria, davanti a centinaia di spettatori. Era il 22 febbraio 2022, due giorni prima che — su ordine di Vladimir Putin — le forze armate russe invadessero l’Ucraina.
“Non me lo aspettavo. E ho subito deciso di lasciare la Russia. Non ho mai avuto particolari problemi con l’attuale regime. Sono un artista, non un politico”, spiega il musicista. “Ma con chi è a favore della guerra, con chi giustifica l’uccisione di esseri umani, proprio non posso vivere. Non riesco nemmeno a parlarci”.
Voskresensky si ricorda bene della Grande guerra patriottica, la Seconda guerra mondiale. E delle sofferenze immani di allora. Era solo un bambino ma ha impressi nella memoria il bombardamento di Berdyansk, la sua città natale sul mare d’Azov — nella oblast di Zaporizhzhia. Misha Voskresensky è un russo d’Ucraina. Berdyansk oggi è occupata dai soldati di Vladimir Putin. “Liberata dai nazisti di Kiev”, secondo la propaganda. Non secondo Voskresensky. Suo padre morì sul fronte, combattendo nazisti veri e non immaginari. “La guerra è solo crudeltà e barbarie”, commenta il grande pianista.
Fin dai giorni immediatamente successivi all’invasione, le autorità russe hanno cercato di assoldare il mondo culturale per la propaganda a sostegno della guerra. Decine di rassegne non in
linea con la narrativa del Cremlino furono immediatamente censurate e gli artisti “contro” messi all’indice, ma non era questo a spaventare il rettore Voskresensky. “Nell’ambiente artistico e cosmopolita del conservatorio Tchaikovsky mi ritrovavo a parlare con persone — anche cari amici — tutt’altro che stupide e nemmeno pro-Putin ma che legittimavano la guerra”. A nulla valeva far presente in modo sommesso che nessuno aveva attaccato alcuna parte della Russia.
“Se avessi replicato a tono o scritto pamphlet contro il conflitto, sarei stato subito arrestato. Il mio unico modo di protestare era andarmene. Mia moglie Visha è stata subito d’accordo”.
I due non volevano che il loro figlio di quattro anni crescesse sotto un regime guerrafondaio, aggiunge il pianista. “Così ho lasciato la mia splendida casa nel centro di Mosca, la mia dacia (casa di campagna, ndr), la mia bella automobile e soprattutto tanti bravi allievi e tutti i miei amici. Non è stato facile, alla mia età”.
Voskresensky non sembra essere cambiato molto da quando era giovane. Nel 1963 era considerato un prodigio al massimo della carriera ed era invitato a tenere concerti in mezzo mondo. Spesso si esibiva negli Usa e in altri Paesi dell’Occidente. Il Kgb, il servizio segreto sovietico, gli chiese di fare da staffetta per documenti trafugati dai suoi agenti all’estero. “Dissi di no, spiegando che sono molto emotivo, come tutti gli artisti, e che come spia avrei finito per tradirmi, con danni enormi per l’Urss”, ricorda divertito. Il funzionario dei servizi non replicò. Ma per oltre dieci anni il Cremlino vietò a Misha di suonare
fuori dalla Russia. E anche la sua attività concertistica in patria fu parzialmente compromessa. In pratica, gli stroncarono la carriera. Ma Voskresensky ha sempre avuto una grande passione e un innato talento per la pedagogia musicale, oltre che per le esecuzioni. Il suo modo di insegnare è così efficace e gradito dagli allievi che il conservatorio dove insegnò Tchaikovsky divenne il suo regno incontrastato. Ricevette anche riconoscimenti e titoli ufficiali, come quello di “Artista del popolo”, più o meno equivalente a un nostro cavalierato. “Avevo molti privilegi, in Russia. La mia vita era agiata. Certo non ero ricco quanto altri musicisti più o meno famosi legati strettamente al regime”, si schernisce con ironia. I risparmi non sarebbero durati a lungo, dopo la defezione.
Una volta decisa la fuga, la moglie di Voskresensky ha venduto una casa che possedeva a Mosca. Per evitare le restrizioni dovute alle sanzioni contro la Russia ha depositato i soldi nel suo Paese di origine, il Vietnam. Una riserva di liquidità in vista della nuova vita all’estero. Misha intanto contattava istituzioni musicali americane che potessero dargli un lavoro. In teoria, negli Usa non si fanno discriminazioni in base all’età. In teoria. Dopo molti tentativi a vuoto, un’insegnante della scuola di musica Juilliard di New York è riuscita a farlo invitare per alcune master class al Music Festival di Aspen. Problema: il visto. La rappresentanza diplomatica statunitense a Mosca aveva fermato quasi del tutto le sue attività. Senza dire niente a nessuno delle sue intenzioni, Voskresensky andò dove il visto non serve: Turchia. Per una vacanza, ufficialmente. Ad Ankara
riuscì all’ultimo ad avere i visti per l’Unione Europea. E volò a Napoli, dove il consolato americano gli fornì infine i documenti necessari per entrare negli Stati Uniti. Di Napoli, ricorda con piacere le nuotate in mare con il figlioletto. Dopo due mesi dalla fuga, la famiglia Voskresensky arrivò finalmente ad Aspen, Colorado. Ma la vita era troppo cara, da quelle parti. Quindi, trasferimento a New York, nell’appartamentino del Bronx trovato grazie a un connazionale amico.
Le cose non vanno male, per Misha Voskresensky. L’Occidente non l’ha accolto a braccia spalancate. Ma recentemente ha dato concerti in vari Paesi. E le lezioni di pianoforte sono sempre più spesso master class. Con pianoforti veri, acustici. E paghe adeguate. In casa ora ha un favoloso Steinway serie M – il modello “tascabile” dei Grand piano Steinway. Glielo ha regalato il capo della celebre fabbrica di pianoforti. Le dita continuano a funzionare alla grande, per questo ragazzo novantenne. Per non parlar della testa. “Sai, prima ti ho detto che sono un artista e non mi occupo di politica”, dice con tono malizioso. “Mica vero: gli artisti hanno sempre fatto politica. Beethoven dedicò una sinfonia a Napoleone. E quando seppe che Napoleone si era proclamato imperatore, cancellò la dedica e chiamò la sinfonia “Eroica”. Rachmaninoff non poteva suonare in Russia sotto il regime comunista, quindi lasciò la Russia. Ci sono mille esempi. Lo stesso Mozart si ribellò al suo “padrone”, l’arcivescovo di Salisburgo. E se ne andò a Vienna a guadagnarsi da vivere con la sua musica”. Ma la cosa più importante, conclude il grande pianista russo, “è che gli artisti non possono sostenere un regime criminale, non devono nemmeno accettarlo divenendone di fatto complici. Perché la propaganda attraverso la cultura è una realtà. L’attuale regime russo la utilizza di continuo. Ogni volta che un artista russo, senza distanziarsi dal regime, si esibisce in Russia o all’estero, legittima questa maledetta guerra”.
Per essere indipendenti si paga un prezzo. Misha ha pagato il suo. Non se ne lamenta. Ha l’aria di una persona molto felice. Vorrebbe solo che gli altri artisti russi che hanno detto no alla guerra e sono emigrati non dovessero finire per pagare troppo. “Sono davvero tanti, fanno qualcosa di buono e importante per la Russia e per i Paesi in cui si trovano oggi. Andrebbero sempre sostenuti. C’è gente che non capisce quanto sia orribile e controproducente chiuder loro le porte solo perché sono russi”.
(da Fanpage)

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