A CHI SUBITO E A CHI FRA UN ANNO: DI MAIO SI ‘E FATTO FOTTERE ANCHE QUESTA VOLTA
COME SEMPRE VINCE SALVINI: LUI INCASSA LA RIFORMA RAZZISTA, DI MAIO SI ACCONTENTA DI POCO E FRA 14 MESI… QUANDO IL GOVERNO NON CI SARA’ PIU’
La “bomba” sui processi (così la chiamò Giulia Bongiorno) è stata disinnescata.
Con un accordo degno della Prima Repubblica, nelle modalità tecnico-politiche in cui è articolato e nelle acrobazie verbali con cui è presentato.
Sentite il guardasigilli Alfonso Bonafede: “La riforma del processo penale sarà approvata entro dicembre 2019, prima dell’entrata in vigore della riforma sulla prescrizione. Abbiamo concordato sul fatto che la prescrizione, per funzionare, deve entrare in un processo breve e con le nuove risorse nella giustizia, stanziate con la manovra, già a regime”.
Significa che la riforma della prescrizione, madre di tutte le battaglie per i Cinque stelle sarà approvata a breve, ma entrerà in vigore nel gennaio del 2020. Ed è politicamente vincolata alla riforma complessiva della giustizia.
Diciamo le cose come stanno: ha sostanzialmente vinto Salvini, che concede all’alleato un vessillo simbolico, in nome del quale continuare a dire “onestà , onestà ” e mettere in atto una clamorosa forzatura propagandistica di norme e regolamenti parlamentari ma, sotto il vessillo, c’è solo un’incognita.
Ovvero una norma post-datata che sarà valida, come dice Davigo, quando saremo morti.
O magari quando sarà morto il governo.
Andiamo con ordine. Il cuore dell’accordo è che la prescrizione, in discussione in un provvedimento che è ora in Parlamento, è vincolata alla riforma della giustizia. Politicamente, anche se non “giuridicamente”.
Nel senso che non c’è una norma in cui è scritto che una è legata all’altra. E dunque, sulla carta, ci sta anche il caso che la prescrizione passi, poi non si fa nulla del resto, e comunque tra un anno e due mesi resti legge.
Cosa che, infatti, ha fatto venire il sangue negli occhi ai berlusconiani, che hanno accusato Salvini di tradimento dei sacri principi del garantismo.
A domanda, però, su cosa succederà se il governo non riuscirà a riformare la giustizia entro la fine del 2019, l’avvocato e ministro Giulia Bongiorno risponde così: “Faremo un altro vertice come questo”.
Perchè senza quella riforma del processo penale che assicuri una ragionevole durata dei processi, addio prescrizione.
In fondo, di qui a un anno, non è difficile creare l’incidente in Parlamento. C’è poi da aggiungere che, a parole, si fa presto a dire “riforma della Giustizia”.
Nei fatti non è un provvedimento di quelli semplici che si fanno in poche settimane. È una legge delega complessa: il Parlamento impegna il governo, il governo vara i decreti delegati, sui decreti delegati viene ascoltato il parere delle Commissioni, poi il governo decide se tenerne conto. Il tutto, e non è un dettaglio, dovrebbe accadere proprio nei mesi in cui c’è la campagna elettorale per le europee, non proprio un contesto che aiuta a creare un clima di riflessione senza esasperare le differenze.
È tutto lungo, complicato, artificioso.
A partire dalla scrittura del famoso emendamento sulla prescrizione che, infatti, ancora non vede la luce nonostante le fanfare sull’accordo trovato. È questo il punto. Le riforme che stanno a cuore a Salvini passano subito, le altre invece pattinano sulla indeterminatezza delle parole e dei tempi.
Il decreto sicurezza, appena approvato al Senato, sarà approvato alla Camera di qui a tre settimane. Poi sarà approvata la legittima difesa, anch’essa già passata al Senato. Entro l’anno Salvini avrà incassato tutto.
E invece il reddito di cittadinanza è ancora una nebulosa affidata all’incertezza temporale dei “collegati” alla manovra.
E la prescrizione passerà subito, ma entrerà in vigore nel 2020. La frase che dice tutto della giornata è quella del ministro Fraccaro: “Anche se dovesse cadere il governo la prescrizione entrerà in vigore comunque dal primo gennaio 2020”.
C’è un particolare omesso: tranne che il governo successivo non la cambi appena insediato, come hanno fatto i Cinque Stelle, proprio sulla Giustizia, sui provvedimenti ereditati dal governo del Pd (sulle intercettazioni, ad esempio).
Insomma questo accrocco da Prima Repubblica è un percorso fatto di più mine: il Parlamento, la Corte Costituzionale che dovrà pronunciarsi sulla prescrizione, il gioco politico.
E, soprattutto, c’è il tema del governo.
Proprio le parole di Fraccaro confermano che la fine dei questa esperienza gialloverde è un’ipotesi di cui si parla senza tanti tabù.
Certo, è complicato votare in primavera, magari è più probabile dopo le europee, ma il dato politico di fondo è che, soprattutto nella Lega, ci si chiede che senso abbia andare avanti così, in una coalizione ormai litigiosa su tutto, dove anche il contratto non è più una bibbia ma un terreno polemico.
In fondo, incassata la sicurezza, la legittima difesa, l’estate delle navi bloccate (che in autunno partono di meno) e raggiunto il picco nei sondaggi, cosa altro più chiedere Salvini a questa esperienza di governo, senza correre il rischio che, andando avanti, inizi a perdere qualcosa?
Proprio di questo stamattina ha parlato Giorgetti con autorevoli esponenti del centrodestra che sono andati a trovarlo. Dopo la manovra tutto è possibile.
L’accrocco odierno attesta solo che il timer è innescato. Possono essere settimane o mesi, ma di certo non si arriva al 2020.
(da “Huffingtonpost”)
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