DUE ANNI A VENDERE CALZINI DAVANTI ALLA PASTICCERIA, POI IL TITOLARE LO ASSUME
LA STORIA DI MOUSSA NDOYE, 29 ANNI DI PONTEDERA, CHE HA TROVATO LAVORO A FIRENZE
“1 novembre: 2018 da oggi Noè è ufficialmente un nostro collaboratore. Dopo 3 anni di accendini e calzini sul nostro ingresso si è meritato un posto al coperto. Benvenuto”.
È il messaggio che si legge sulla pagina Facebook della Bottega di Pasticceria di Firenze, che dal primo novembre ha assunto il 29enne di origini senegalesi Moussa Ndoye.
Per oltre due anni, Moussa ha venduto calzini proprio davanti a quel bar.
Ora potrà guardare al futuro con occhi diversi, grazie anche a chi ha voluto credere in lui e alla sua grande voglia di dare una mano
“Felice colui che ha trovato il suo lavoro; non chieda altra felicità “. Lo diceva Thomas Carlyle, storico e saggista scozzese del XIX secolo. E a distanza di tanti e tanti anni, nessuna frase può descrivere meglio il momento attuale.
Soprattutto quello di Moussa Ndoye, giovane 29enne originario del Senegal che da poco più di un paio di anni vive a Pontedera. E lui non chiedeva davvero altro. Da qualche giorno, Moussa ha trovato lavoro alla Bottega di Pasticceria, sul Lungarno Ferrucci di Firenze.
Scherzi della vita, perchè proprio fuori dalla porta di quel bar, Moussa — per tutti i clienti ormai “Noè” — ha fatto l’ambulante per più di due anni.
E prima di allora, aveva fatto lo stesso di fronte al bar Pappagallo, sempre nel capoluogo.
Da venditore ambulante, vendeva quel che riusciva a trovare nei negozi a basso prezzo di via Nazionale: accendini, fazzoletti, calzini.
Per racimolare qualche spicciolo, nel tentativo disperato di sbarcare il lunario. Da gennaio, il contratto che ora è part-time diventerà full-time e, soprattutto, a tempo indeterminato. Una svolta che, oggi come oggi, può cambiare la vita.
Una storia che, fino a pochi giorni fa, era quella di tanti altri ragazzi senegalesi. Soprattutto quelli residenti a Pontedera.
All’alba c’è il treno per Firenze, quindi puntata alle vetrine dei commercianti cinesi. Dalle 8 di mattina, più o meno, Moussa era lì alla porta della Bottega, a chiedere qualche centesimo ai passanti e agli avventori del bar.
A metà pomeriggio, nuovamente in treno per tornare a Pontedera, dove ancora oggi convive con altri sette connazionali, per 150 euro di affitto più le bollette.
Poi la svolta: il lavoro alla Bottega di pasticceria. Ora spazza, pulisce e sparecchia i tavoli in uno dei locali più prestigiosi del centro città . “Non ci volevo credere — racconta Moussa, che sta imparando l’italiano — è stata una bellissima emozione, e ho ringraziato tanto Simone, il mio datore di lavoro”.
Per Simone Bartolini, chef stellato e titolare della pasticceria, assumere Moussa è stato naturale. “Non volevamo assolutamente tutta questa risonanza mediatica, — spiega — e non credo di aver fatto niente di eccezionale, anzi”.
Bartolini, per la Bottega di Pasticceria, ha alle sue dipendenze una cinquantina di collaboratori, e Moussa è uno di questi. Niente di più, niente di meno.
“È un ragazzo che si è fatto apprezzare facendo tanti sacrifici — continua — Non è pietà , per me è stata un’assunzione come tutte le altre”.
Anche se, a giudicare dall’attenzione suscitata, sembra non essere così. Almeno per gli altri. “Sono stato anche chiamato in televisione a raccontare la sua storia — commenta Bartolini — ma non m’interessa, abbiamo un’attività da portare avanti”.
Moussa è arrivato in Italia nel dicembre 2015 con l’aereo e il visto turistico, a differenza di tanti altri suoi connazionali che arrivano con mezzi di fortuna.
Del resto, suo fratello Modou vive a Pontedera da quasi 15 anni. Alla scadenza, Moussa ha fatto richiesta di asilo politico, che da gennaio non servirà più: con il suo nuovo lavoro, il factotum della Bottega di Pasticceria potrà avere il permesso di soggiorno.
«Mi trovo benissimo con tutti i miei colleghi — conclude Moussa — e sono molto felice di quello che faccio». Ora Moussa può guardare al futuro con un occhio diverso, grazie anche a chi ha voluto credere in lui e alla sua grande voglia di dare una mano.
(da “il Tirreno”)
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