ACCORDO FINALE SULLA MANOVRA DOPO 30 ORE E MILLE TENSIONI
PLASTIC TAX RIDOTTA E RINVIATA A LUGLIO, SUGAR TAX A PARTIRE DA OTTOBRE
C’è un’immagine che spiega bene quanto divisivo, esasperato e schizofrenico sia stato l’ultimo miglio della manovra.
È il tavolo di palazzo Chigi intorno al quale si sono seduti tutti i rappresentanti della maggioranza. Le sedie sono rimaste occupate di giorno e di notte, qualcuno le ha anche sbattute.
Tra il Pd e i renziani si è arrivati quasi agli insulti. Su quel tavolo si sono scaricati tensioni, veti, diktat, minacce e numeri. Per 28 ore di fila.
Perchè tanto è durata, tra trattative e pause, la maratona scatenata da Italia Viva, che ha imposto al resto del governo di riscrivere l’intesa sulle tasse.
Alle dieci di sera Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri si presentano in sala stampa. I visi sono tirati dalla stanchezza. Con un colpo di reni il premier annuncia l’intesa.
La traccia è quella del compromesso, che spolpa e rinvia misure caratterizzanti. Prevale la ragione di governo, la necessità di evitare una crisi brandita da Matteo Renzi attraverso una parola: il voto.
Il punto di caduta dice che la tassa sulla plastica sarà ridotta ancora, questa volta dell′85%, ed entrerà in vigore a luglio, non a gennaio.
La sugar tax scatterà solo da ottobre. Quella sulle auto aziendali scompare.
Conte prova a metterci il cappello dell’impegno e di un risultato finale strappato tenendo insieme Pd, 5 stelle, Italia Viva e Leu: “Nessuno dica più che siamo il governo delle tasse”.
Lo rivendica, il premier, e non è un caso perchè il senso dell’arrembaggio che hanno lanciato i renziani, la questione politica al centro del negoziato infinito, è questa: la potestà del taglio delle tasse.
Conte, Gualtieri, Renzi: passa da questa triangolazione molta della tensione politica che ha animato i lavori, ma anche i litigi, del tavolo di palazzo Chigi.
L’asse tra il premier e il ministro dell’Economia da una parte, il leader di Italia Viva dall’altra. I grillini in mezzo, con un’azione di disturbo più defilata ma ugualmente incisiva perchè quando si parla di manovra si parla di soldi e i soldi vanno spartiti.
Alla fine di una trattativa estenuante, un’intesa c’è. Va perfezionata ancora a livello tecnico perchè il rinvio delle microtasse apre un problema di gettito. Serviranno ancora tre giorni per confezionare gli emendamenti da presentare in Senato, ridotto a un’anticamera, con le sedute della commissione Bilancio rinviate di ora in ora perchè a palazzo Chigi tutto si intravedeva che la possibilità di mettere un punto alle tensioni tra i partiti di maggioranza.
Il primo effetto della schizofrenia della maratona di governo è questo ed è destinato ad ampliarsi. Il tempo scorre e la manovra va approvata in Parlamento entro il 31 dicembre.
Per un governo che aveva programmato un passaggio decisamente diverso da quello dell’anno scorso, quando Lega e 5 stelle riscrissero la manovra in una notte, è tempo di fare i conti con la corsa.
Ci sarà un solo passaggio nelle due Camere. Questo significa che la Camera, dove arriverà il testo che sarà licenziato da palazzo Madama alla fine della prossima settimana, si troverà nell’impossibilità di modificare il testo.
Proprio per questo, il governo si è impegnato a recepire le indicazioni dei deputati nelle modifiche che saranno introdotte al Senato. Ma questo non annulla un restringimento dei tempi che ha già portato la Lega sulle barricate.
Il governo arriva in Parlamento con una manovra riaperta e poi chiusa sul fotofinish. Si diceva della maratona.
Ripercorrerne le ultime 15 ore dà l’idea di questo affanno. Dopo la fumata nera di giovedì sera, l’appuntamento per il nuovo round a palazzo Chigi è fissato alle otto di mattina e tutti arrivano puntuali. Tutti tranne Roberto Gualtieri. Il ministro dell’Economia è a via XX settembre dalle sette per chiudere la mission impossibile che Conte gli ha conferito: trovare 400 milioni.
Passa un’ora e il titolare del Tesoro arriva alla riunione. Sul tavolo vengono messi i 400 milioni necessari per cancellare la tassa sulla plastica e la sugar tax, come chiede Italia Viva.
Oltre al titolare del Tesoro e a Conte, intorno al tavolo siede il Pd, con Dario Franceschini e il viceministro dell’Economia Antonio Misiani, i grillini con Laura Castelli e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà . Per Leu c’è il sottosegretario Maria Cecilia Guerra. Italia Viva, come al vertice di giovedì sera, schiera Luigi Marattin, Davide Faraone e Teresa Bellanova.
Parte subito una gazzarra. Il Pd chiede che quei soldi siano usati per incrementare il taglio del cuneo fiscale, i 5 stelle vogliono destinarne una parte agli stipendi dei vigili del fuoco. I renziani sbottano contro i dem e si alzano dal tavolo: è scontro. Si arriva quasi agli insulti. Vertice sospeso.
Le tensioni tra i renziani e i dem si trasferiscono sui social. Marattin litiga con Misiani, Orlando battibecca con Faraone. Ma soprattutto arrivano le parole di Renzi: “Io non vorrei andare a votare, ma se ci costringono lo faremo. È un peccato ma dobbiamo prenderne atto”. È il passaggio che imprime l’accelerazione obbligata verso un’intesa altrettanto obbligata.
(da “Huffingtonpost”)
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