ARRIVANO I QUESTUANTI: GIORGIA MELONI SUBITO CON IL CAPPELLO IN MANO DOPO LA RESA DELL’UE SUI DAZI AGLI USA, INVOCA “AIUTI” ALLE IMPRESE FUNESTATE DALLA GUERRA COMMERCIALE
DOPO AVER PRESSATO L’UE PER CEDERE A TRUMP, ORA PRETENDE CHE SIA L’EUROPA A PAGARE.
Le mani libere sugli aiuti di Stato per sostenere i settori più colpiti. Con soldi europei. Fino a 25 miliardi, pescando dal Pnrr e i fondi di coesione. Quando al mattino i ministri coinvolti in prima linea nel dossier sui dazi si sentono al telefono, l’etichetta posta sulla strategia degli aiuti alle imprese italiane recita così: paga l’Europa. Perché — ragionano i titolari di Imprese, Esteri e Agricoltura — è la Ue che ha chiuso l’accordo con Donald Trump e per questo — insistono — «il conto ora deve essere caricato su Bruxelles».
La regia delle contromosse è a Palazzo Chigi. È da qui che partono le prime direttive ai titolari dei dicasteri chiamati a tessere la rete dei sussidi. Con una premessa. La fissa Giorgia Meloni da Addis Abeba quando sente al telefono il suo vice Antonio Tajani. L’atto iniziale è il confronto con le imprese. Per questo il titolare degli Esteri convoca subito una riunione alla Farnesina con le associazioni più rappresentative. Ai presenti spiega che si è evitato lo scenario peggiore, quello dei dazi al
30%, ma alla riunione non tira aria di festeggiamenti.
«Non c’è nulla da brindare, il contesto è complesso», rivela una fonte governativa di primo livello. Il convitato di pietra è il rischio che i dettagli dell’accordo, fino a ieri sera ancora non del tutto chiari, presentino un saldo più negativo rispetto alle valutazioni fatte a poche ore dalla firma dell’intesa tra Usa e Ue.
Un passo per volta. Il prossimo è evitare brutte sorprese dall’accordo politico che sarà finalizzato entro il primo agosto. Poi la trattativa sull’accordo relativo al commercio reciproco, che è vincolante a livello giuridico. Tra i settori che l’Italia vuole tutelare c’è quello vitivinicolo.
Per queste ragioni, Tajani annuncia l’attivazione di una task force permanente sui dazi. Aiuterà le imprese a mettere a fuoco le priorità durante i negoziati. Oggi nuovo appuntamento al ministero delle Imprese, dove il padrone di casa, Adolfo Urso, sarà affiancato proprio da Tajani alla riunione del Comitato attrazione investimenti esteri (Caie) che sarà tutta dedicata all’impatto delle nuove tariffe. Sono tutte iniziative che puntano a rafforzare le connessioni con le imprese. Ma le incognite sono ancora troppe per definire una strategia compiuta.
Lo schema dei ristori alle imprese ha bisogno del via libera della Ue.
L’idea allo studio del governo è dirottare 25 miliardi dal Pnrr e i fondi di coesione verso le attività che saranno più danneggiate. In cima alla lista ci sono le aziende della meccanica e dell’agroalimentare, insieme a quelle della farmaceutica. Dallo stralcio degli investimenti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza sono attesi circa 14 miliardi: i fondi saranno congelati dentro veicoli finanziari e potranno essere spesi entro il 2028. Dalla riconversione dei progetti della Coesione dovrebbero arrivare invece circa 7-8 miliardi.
Un contributo è atteso anche dal Fondo sociale per il clima. Ma
le risorse, una volta liberate, non saranno utilizzabili per gli indennizzi in modo automatico. Serve il via libera della Ue che vigila sugli aiuti diretti alle imprese da parte degli Stati.
Gli aiuti alle filiere Nella lista delle richieste potrebbero rientrare anche i sostegni dedicati alle filiere. Non però a quelle nazionali. Per strappare un finanziamento europeo, l’ipotesi caldeggiata in ambienti di governo guarda a sostegni transnazionali, calibrati appunti sulle filiere dei settori più colpiti dai dazi. Tajani propone anche di modificare lo Sme supporting factor, il programma che agevola il credito alle piccole e medie imprese.
Il no alla manovra correttiva Il vicepremier esclude il ricorso a una correzione dei conti. «Ancora non sappiamo l’effetto reale…», taglia corto. La manovra correttiva è un’ipotesi che non rientra neanche nei piani di Palazzo Chigi.
La richiesta alla Bce: giù i tassi Sempre Tajani chiede un intervento della Bce: «Ritengo si debba ridurre ancora il costo del denaro: ora siamo al 2%, si può arrivare anche a zero, e si può pensare e al quantitative easing, cioè all’acquisto da parte della Bce di titoli di Stato di Paesi dell’Unione».
Le difficoltà sul Patto di stabilità Il governo non intende derogare alle regole del Patto di stabilità. L’obiettivo, infatti, è evitare di fare nuovo debito preservando così il tentativo di portare il deficit sotto al 3% già in autunno. Un risultato che garantirebbe l’uscita dalla procedura d’infrazione entro la metà del 2026.
(da agenzie)
Leave a Reply