Gennaio 12th, 2025 Riccardo Fucile
“DEVE PIAZZARE IL SEDERE SULLA SEDIA, L’INFORMATIVA DI TRENITALIA SEMBRAVA QUELLA DI UN PAESE IN GUERRA: “NON METTETEVI IN VIAGGIO”… IN QUESTI DUE ANNI E MEZZO SALVINI È STATO DI UNA IRRESPONSABILITÀ TOTALE. SIAMO TUTTI SPETTATORI DI UN CIRCO IN CUI GUARDIAMO LE ACROBAZIE DELL’EQUILIBRISTA MELONI”
Salvini? «Prenda un treno che lo porti al Viminale… se lo trova». Pierluigi Bersani, più volte ministro ed ex segretario del Pd, si rifugia in una battuta — l’unica della lunga chiacchierata sulle difficoltà del Paese e le inefficienze del governo Meloni — per raccontare “il disastro” in cui versa la rete ferroviaria.
Cosa direbbe al ministro dei Trasporti se l’incrociasse per strada?
«Caro Salvini, io posso perfino credere che esista una questione di investimenti e di cantieri che possono creare disagi. Ma allora sei mesi prima ti metti intorno a un tavolo con i sindacati e le aziende e prendi delle contromisure. Devi piazzare il sedere sulla sedia perché un esito del genere non è accettabile. L’informativa di Trenitalia sembrava quella di un Paese in guerra: “Non mettetevi in viaggio”. In questi due anni e mezzo è stato di una irresponsabilità totale».
Lei ci è passato?
«Io prendo almeno tre treni a settimana e la puntualità è un’eccezione. Ma la vergogna delle ferrovie è solo un capitolo del libro. Salvini è soltanto uno della compagnia: l’incapacità di affrontare il tema della quotidianità, della vita comune della gente, è un tratto fondamentale di questo governo. Siamo tutti spettatori di un circo in cui guardiamo le acrobazie dell’equilibrista Meloni, mangiamo pane, diversivi e propaganda, ma non si vede nessuno che si preoccupi delle persone, dei loro problemi. Se la democrazia non consegna la merce nella vita reale, non c’è da stupirsi se poi tanti si disamorano».
A destra dicono: siamo arrivati e abbiamo trovato un disastro.
«Questi negano la realtà, quando sbuca un problema, come sui treni, la risposta classica è: l’eredità. E allora bisogna fargli una domanda, ho fatto anch’io il ministro dei Trasporti: qualcuno ricorda una tale mole di cancellazioni e ritardi negli ultimi 15 o 20 anni? Ha mai visto medici e infermieri scappare dagli ospedali? Gli italiani hanno mai pagato 4 miliardi di tasca loro per curarsi? Per non parlare delle bollette».
Su cui la premier in conferenza stampa non ha risposto. Perché?
«E cosa doveva dire? Tutti quanti invocano l’Europa, chiedono che organizzi un acquisto collettivo di energia per riuscire a fare massa critica e tenere bassi i prezzi, ma noi in Italia un meccanismo così ce l’avevamo, l’acquirente unico, e loro l’hanno smontato. E potrei fare mille altri esempi».
Cominci
«Viviamo una crisi industriale senza precedenti. Sbandierano statistiche senza dire che gli inattivi galoppano, i giovani sono allo sbando e abbiamo 4,2 milioni di part-time, di cui il 56% è involontario, cioè vorrebbero un lavoro normale ma sono costretti ad accettare quel che gli offrono.
Moltissimi sono a tempo indeterminato: è questo che falsa i numeri. Secondo l’Istat il Pil cresce dello 0,5% e l’occupazione sale del 2. Ma tale differenza è indice di un lavoro sottopagato, precario, dequalificato, che segnala una caduta di produttività e incoraggia le imprese non a investire, ma a prendere manodopera pur che sia, tanto costa poco. Sono meccanismi che se protratti portano in serie B».
Non la stupisce che un’underdog come Meloni parli più di Musk che di chi in Italia non arriva a fine mese?
«Affatto. L’ultradestra ha sempre fatto ‘sto mestiere qui: stare con i poteri forti e arruolare il popolo con la demagogia. Il governo ha mai toccato le assicurazioni, gli istituti di credito, le grandi società di servizi? Io ho fatto portabilità dei mutui che le banche urlavano. Lei si è fatta fare un prestito. Poi però riesce a catturare il popolo su temi come l’immigrazione, mettendo i poveri contro i poverissimi. Per confermare lo sgravio contributivo i soldi li ha presi dal fondo povertà».
E allora perché il suo consenso cresce?
«Non si vede sull’altro lato un carro su cui caricare l’esigenza di un ricambio credibile. È da quel dì che destra e sinistra sono fifty e fifty. Perciò ora è urgente che tutte le opposizioni si uniscano per creare gesti politici in grado di trasformarsi in un progetto alternativo».
(da Repubblica)
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Gennaio 12th, 2025 Riccardo Fucile
ANDREA MALAGUTI, DIRETTORE DE “LA STAMPA”: “SIAMO ENTRATI IN UNA FASE DELLA STORIA IN CUI LE REGOLE SONO SALTATE E I POPOLI DECIDONO DI AFFIDARSI A UOMINI CHE SI SENTONO AL DI SOPRA DELLA LEGGE, TECNO-FEUDATARI SENZA SCRUPOLI CHE SENTENDO LA DEBOLEZZA DELLA DEMOCRAZIA LA SOSTITUISCONO CON UN DOMINIO VIRILE, . IL CONTRARIO DELLA CIVILTÀ OCCIDENTALE”
Forti di un’ipnotica aggressività nietzschiana, Donald Trump ed Elon Musk, tra minacce d’invasioni e progetti di transumanesimo, incarnano una tendenza pop di grande successo: la fine delle inibizioni del potere.
Ovvero, il contrario della democrazia, di cui quelle inibizioni, unico ostacolo ad un autoritarismo di stampo russo-cinese, sono l’essenza. Come ci riguarda tutto questo? In molti modi. Uno in particolare.
È il magic-moment di Giorgia Meloni, ma forse, per lei, quello più pericoloso. È la leader più solida d’Europa, detiene un potere politico non contendibile a destra e non insidiato a sinistra, è politicamente ancora giovane (mercoledì compie 48 anni, auguri) e non è sfiorata da alcuno scandalo. Si può non condividere quello che fa e che pensa, ma è difficile negare che sia solidamente in sella.
Qual è il grado di compatibilità tra la Nuova America, che considera il pianeta una pista da bowling sulla quale fare scivolare la palla della sua risorgente volontà di potenza, e la Vecchia Europa, chiamata ad allinearsi o a diventare un birillo da abbattere?
È ancora possibile immaginare un equilibrio valoriale e civile con il più importante dei nostri partner? Semplificando «spadolinianamente», Giorgia Meloni è in grado – e ha voglia – di ricucire le due sponde dell’Atlantico, riavvicinandole, o ha deciso di allentare il legame della piccola Italia con l’Europa per concedersi senza rete all’abbraccio del boss di Mar-a-Lago, Donald Trump, e del debordante Elon Musk?
Invitata al Gran Ballo a stelle e strisce, stregata sulla via che dal 1600 di Pennsylvania Avenue porta direttamente su Marte, Giorgia Meloni ha deciso di danzare. Ma in questo caso, tornando ad Enrico di Navarra, siamo sicuri che Parigi valga questa messa satellitare?
Meloni è l’estremo baluardo europeo o il sofisticato cavallo di Troia del neo-imperialismo washingtoniano? Vuole fare da ponte o aprire l’era suicida dell’ognuno per conto suo?
Passo indietro. Mercoledì, villa Taverna, Roma. L’ambasciatore uscente, Jack Adam Markell, organizza un party di commiato. Ministri, alti dignitari, giornalisti, imprenditori e amici vari. Fa un bel discorso, si congratula per la liberazione di Cecilia Sala e stringe molte mani.
A chi gli chiede di Trump, Markell risponde usando una definizione di Peter Thiel, miliardario tech ex socio di Musk e volto più noto della PayPal-mafia (copyright di «Fortune», che mise in copertina Thiel e i suoi collaboratori vestiti come corleonesi nel 2007): «Trump è un uomo che va preso seriamente ma non alla lettera». Non troppo rassicurante. «Vuole dimostrare al mondo che è in grado di controllare tutto». Può? «No».
Musk è un uomo semplice e complicatissimo, tutto affari e futuro con un atteggiamento sospetto nei confronti dell’umanità. Uno che, attraverso la capillarità di X (fu Twitter), mette bocca su ogni cosa, dai giudici italiani ai primi ministri inglesi, dall’autodeterminazione.
Per questo, due giorni fa, ha intervistato Alice Weidel, leader appena consacrata dell’AfD, riuscendo a sostenere assieme a lei, che ”Hitler era un comunista”. E che, ovviamente, solo il partito filonazista di Weidel è in grado di garantire alla Germania un futuro luminoso.
Come? Tagliando le tasse (e dunque, ma questo non si dice, lo stato sociale) e dando la caccia agli islamici, nuovo mantra di ogni nazionalismo estremista non solo della terra, ma dell’intera galassia. Musk ha allargato il campo, oltre ad avere abolito il fact checking. Make Via Lattea Great Again.
Se n’è parlato poche ore, poi si è passato ad altro. Come se fossero circostanze senza peso. Facezie. Sciocchezze relative. Sono invece vistosi segnali d’allarme. Siamo entrati in una fase della storia in cui le regole sono saltate e i popoli decidono di affidarsi a uomini che si sentono – e di fatto sono – al di sopra della legge. Tecno-feudatari senza scrupoli, rapidi ed efficaci, che sentendo la debolezza della democrazia la sostituiscono con un dominio virile, capace di scelte immediate che da sempre affascinano la destra. Il ritorno, appunto, della volontà di potenza. Il contrario della civiltà occidentale, ed europea in particolare, post-bellica.
I fantasmi del secolo scorso rivisitati dall’algoritmo muskiano alla ketamina. Se vi sembra il principio del caos, avete ragione. Adeo Ressi, amico italo-americano con cui Musk organizzava le sue prime feste universitarie a Filadelfia, parlando con Walter Isaacson, dice del tycoon sudafricano: «Gli piaceva stare in mezzo alle feste, ma non vi partecipava mai del tutto, sembrava l’osservatore di un altro pianeta che cercava di apprendere le dinamiche della socialità umana».
Aveva, anche lui, il sospetto che, se qualcuno gli avesse tolto la maschera, sotto avrebbe trovato un enorme lucertolone verde. Tendendo ad escludere che venga da un’altra galassia, è certo che in un’altra galassia Musk ci voglia andare. I soldi li fa attraverso molte cose. Soprattutto satelliti, di cui è sostanzialmente monopolista in Occidente (con quasi settemila, destinati a sestuplicare) e che, come è noto, vuole vendere anche a noi che ne avremmo un certo bisogno.
Problema. Ci si può fidare? Meloni si fida. Crosetto anche. Nel dubbio, ha fatto una breve telefonata all’amministratore delegato di Leonardo, Roberto Cingolani. L’ho trovato in macchina, di ritorno da Thales, dove era andato ad occuparsi di aerospazio, business che entro il 2030 muoverà all’incirca mille miliardi e che è meglio non lasciarsi scippare.
Cingolani, uomo con idee chiare e pensieri rapidi (in questo piacerebbe a Musk), non ha e non può avere una posizione politica rispetto a scelte consegnate al governo. Ma due considerazioni, che sintetizzo malamente, le fa. Le anticipo con una piccola agenda. Ci sono molte società, provider, che controllano satelliti (anche se nessuna a livello di Starlink). Questi provider gestiscono delle «costellazioni» che vendono «banda», che sarebbe il corrispondente celeste delle frequenze televisive.
Chi compra «banda» accede al satellite e cripta un segnale di cui è l’unico titolare. Dunque – salvo hacker e criminali – se anche noi comprassimo satelliti da Starlink, investendo circa 1,5 miliardi, Musk non sarebbe in grado di accedere ai nostri dati. Mentre noi utilizzeremmo la banda per migliorare i collegamenti internet, mappare le ambasciate e mille altre cose
La Difesa? Si muove già oggi in autonomia, attraverso propri satelliti. E qui arriviamo alle considerazioni. La prima: «Se ci fosse un accordo in essere noi di Leonardo lo sapremmo. In questo momento un accordo non c’è. I satelliti però sono necessari. Da qualcuno li devi comprare. Musk li ha. L’Europa è indietro a causa di procedure complesse».
Ovvero: abbiamo le capacità, tanto più in Italia, ma investiamo pochi soldi e siamo soffocati dalla burocrazia. La seconda: «L’Europa si deve muovere compatta e in tempo reale. Il senso di urgenza sta crescendo esponenzialmente. L’alternativa è dire: non ho le mie costellazioni e rinuncio alla sfida». Dunque, per quello che riguarda i satelliti una strada esiste: usiamo pro tempore quelli di Musk, prepariamo le nostre costellazioni e poi ognuno per la sua strada.
Questo in teoria. Ma, in pratica, che cosa farà Meloni? Fino a che punto spingerà il compromesso? Fino a che punto si consegnerà? Da quale parte del tavolo ci farà sedere se non sarà più possibile stare su entrambe? Siamo sulla soglia di un ennesimo, eppure inedito, matrimonio nella cattedrale americana, l’organo sta suonando l’inno nunziale, ma a questa messa ha davvero senso partecipare per dire sì?
(da La Stampa)
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Gennaio 12th, 2025 Riccardo Fucile
“LA SALUTE DI 336 MILIONI DI AMERICANI DIPENDONO DA UNA LEADERSHIP CHE DIA PRIORITA’ ALLA SCIENZA E AL SISTEMA SANTARIO PUBBLICO, QUEST’UOMO NON E’ QUALIFICATO E RAPPRESENTA UNA MINACCIA”
Quasi 20mila medici hanno firmato una lettera indirizzata al Senato degli Stati Uniti per opporsi alla nomina di Robert F. Kennedy Jr. come segretario alla Salute e ai Servizi Umani, scelta annunciata dal presidente eletto Donald Trump. “La salute e il benessere di 336 milioni di americani dipendono da una leadership che dia priorità alla scienza, alla medicina basata sulle prove e all’integrità del sistema sanitario pubblico”, si legge nel documento redatto dal Committee to Protect Health Care, un gruppo di advocacy di medici. “RFK Jr. non solo non è qualificato per questo ruolo fondamentale, ma rappresenta una minaccia attiva”.
La lettera cita le posizioni antivacciniste di Kennedy e la diffusione di teorie complottiste, tra le quali i presunti legami tra l’assunzione di antidepressivi e le sparatorie scolastiche, nonché la promozione di trattamenti per il Covid-19 la cui efficacia è stata ampiamente smentita dalla comunità scientifica.
“Questa nomina è un affronto ai principi della salute pubblica, all’instancabile dedizione dei professionisti medici e alla fiducia che milioni di americani ripongono nel sistema sanitario. RFK Jr. ha una storia ben documentata di diffusione di disinformazione pericolosa sui vaccini e sugli interventi di salute pubblica, lasciando comunità vulnerabili senza protezione e mettendo a rischio milioni di vite. La sua nomina è una minaccia diretta alla sicurezza dei nostri pazienti e del pubblico in generale”.
I firmatari ricordano che “una solida infrastruttura di sanità pubblica può essere realizzata solo quando lavoriamo collettivamente per proteggerci a vicenda. I vaccini sono tra le più grandi innovazioni mediche della storia, avendo salvato milioni di vite. Il vaccino contro la poliomielite, ad esempio, ha prevenuto 20 milioni di casi di paralisi nei bambini americani e ha quasi debellato la malattia. Allo stesso modo, è stato dimostrato che il vaccino contro il papillomavirus umano (HPV) previene completamente il cancro cervicale, un risultato che una volta si pensava impossibile”.
Nonostante questo, RFK Jr. ha trascorso decenni a minare la fiducia del pubblico nei vaccini, diffondendo false affermazioni e teorie cospirative, arrivando persino a paragonare i programmi di vaccinazione alla Germania nazista. La sua organizzazione, Children’s Health Defense, ha alimentato il mito da tempo sfatato secondo cui i vaccini causano l’autismo. Questa falsità, basata su uno studio ritrattato di un medico che ha perso la sua licenza, ha generato una sfiducia diffusa nei vaccini salvavita, lasciando i bambini senza protezione da malattie prevedibili e comunità a rischio di epidemie.
Le conseguenze delle campagne di disinformazione del futuro segretario alla salute americano non sono tardate ad arrivare, e sono state enunciate nella lettera.
Nel 2019, RFK Jr. ha visitato Samoa e ha promosso i dubbi sulla sicurezza dei vaccini contro il morbillo. Dopo la sua visita, i tassi di vaccinazione sono crollati dal 60% a solo il 31%, innescando un’epidemia di morbillo che ha ucciso 83 persone, la maggior parte delle quali bambini di età inferiore ai cinque anni. Le azioni di RFK Jr. hanno contribuito direttamente a questa tragedia.
Siamo chiari: questa nomina è uno schiaffo in faccia a tutti i professionisti sanitari che hanno trascorso la loro vita a lavorare per proteggere i pazienti da malattie e morti prevedibili. Gli americani meritano di meglio. I nostri pazienti meritano un Segretario dell’HHS che sostenga i principi della scienza e della salute pubblica, concentrandosi sull’affrontare le vere crisi di salute pubblica, come l’alto costo dei farmaci da prescrizione, l’accesso alle cure e le barriere sistemiche che i pazienti devono affrontare, non qualcuno la cui eredità è costruita su bugie e teorie del complotto.
Kennedy, intanto, ha avviato incontri con senatori di entrambi repubblicani e democratici in vista dell’udienza per la sua conferma come segretario alla salute, la cui data non è ancora stata fissata. La sua nomina richiederebbe l’approvazione di tutti i senatori repubblicani, tranne tre, qualora i democratici decidessero di opporsi compatti.
(da Fanpage)
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Gennaio 12th, 2025 Riccardo Fucile
INTERVISTA ALL’ETOILE: “MIA FIGLIA STA SEGUENDO LE MIE ORME, NON MI FA PIACERE, E’ UNA VITA DI SACRIFICI, MA CE LA FARA'”
Molto è cambiato, ma non tutto, da quando giovanissima ha cominciato a calcare i palchi più importanti della danza. Eleonora Abbagnato ha una carriera invidiabile, è tra le ballerine più importanti della storia italiana e ha conquistato i corpi di ballo più prestigiosi. Oggi, a 46 anni, in una intervista al Corriere della Sera ricorda gli aspetti più duri della professione. Che pure le ha regalato enormi soddisfazioni. Ha lavorato con Pina Bausch e Roland Petit, William Forsythe e John Neumeier, Jerome Robbins e Laurent Hilaire tra gli altri, è stata étoile del Balletto dell’Opéra di Parigi per 8 anni fino al 2021 e dal 2015 dirige il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma. «Ora in Accademia noi siamo supportati da psicologi e nutrizionisti del Gemelli. Il metodo che c’era prima era sicuramente sbagliato», risponde a Francesca Angeleri riguardo al rapporto tra danza e magrezza dei corpi come modello imposto da sempre al corpo di ballo. Una magrezza «anche estrema», come unico modo per raggiungere il successo e la perfezione. «C’erano coreografi che ci lanciavano le sedie urlandoci che non eravamo abbastanza magre. Anche Roland Petit, il mio maestro, quando non ero sufficientemente in forma, me lo diceva. Lo prendevo come stimolo. Ma era difficile sentirselo dire», ricorda Abbagnato.
Abbagnato, il rapporto con i maestri
Non solo dieta ferrea e sottodosata, ma anche una certa freddezza nel rapporto con i maestri. «A 18 anni Pina Bausch mi scelse per la Sagra della Primavera, un ruolo potentissimo che ho interpretato all’Opéra per 25 anni. Era straordinaria, però non ti diceva mai: “Brava”. Non ti guardava mai soddisfatta. Andava nei dettagli, ti sfiniva di lavoro. Poi, ottenevi risultati pazzeschi. Ogni tanto sarebbe stato il caso anche di riconoscertelo, no? Ma lei, mai. Voleva la perfezione». E oggi com’è Abbagnato con le sue allieve? «Qualche “brava” lo dico, ogni tanto ci vuole». La danza per Abbagnato è tutto, come ballerina e come direttrice: «Dirigere mi piace molto, ma richiede tutto il tuo tempo. Si fanno molto sacrifici. Mi impegna dal mattino presto a notte fonda. Dopo dieci anni sono estenuata». Ma c’è soprattutto la famiglia, allargata, con il marito Federico Balzaretti. L’ex calciatore aveva avuto due figlie da una relazione precedente, poi insieme hanno avuto altri du bambini, Julia e Gabriel. La primogenita, oggi 13 anni, ha iniziato a seguire le orme della madre. «È molto professionale, attenta. Si vede che è nata nei teatri, le piace stare con gli artisti. Ama questo mondo», glissa sulla domanda e le faccia piacere che abbia iniziato un percorso nella danza, «proprio piacere non so… è una vita di sacrifici. E non tutti ottengono grandi risultati. Ma lei è molto determinata e credo che ce la farà».
(da Il Corriere della Sera)
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Gennaio 12th, 2025 Riccardo Fucile
“SONO BRAVISSIMI E SEMPRE PRESENTI AGLI ALLENAMENTI, MA VENGONO RICHIESTI DOCUMENTI ASSURDI, QUANDO LO SPORT E’ INVECE LA PRIMA OCCASIONE DI INTEGRAZIONE”
È la squadra dell’oratorio del paese, quasi 2500 anime nel cuore del Lodigiano. Si tratta del piccolo team di giovanissimi calciatori Under 17 della Polisportiva Oratorio Livraga, che da più di 70 anni accoglie come una seconda famiglia i ragazzi del territorio e insegna loro a dribblare, parare, crossare con il pallone così come gestire sconfitte e vittorie, condividere campo e spogliatoio con i compagni. Tra loro ci sarebbero anche tre ragazzi affidati ad una comunità per minori non accompagnati nella vicina Orio Litta (Lodi), la cooperativa sociale Buonagiornata. Arrivano da Ghana, Senegal, Guinea, e sono qui senza genitori. “Ma cercare di tesserarli e farli giocare è un calvario, ogni volta ci richiedono una montagna di documenti”, fanno sapere dalla società sportiva a Fanpage.it.
“Per un caso si è dovuto aprire il tesseramento a Roma, inviando più di 15 documenti. Per un altro è stato addirittura chiesto lo stato di famiglia… Ma se sono affidati a una comunità e vanno regolarmente a scuola, perché non procedere con il tesseramento per la squadra dell’oratorio? Lo sport è una delle maggiori occasioni di integrazione. Perché ostacolare le società che senza chiedere niente in cambio offrono questo preziosissimo servizio, visto che non ci risulta sia un problema solo nostro?”.
“La Polisportiva Oratorio Livraga è la società sportiva del paese. Con grandi difficoltà quest’anno abbiamo messo in piedi una squadra di calcio categoria Allievi Under 17, dove si gioca in 11 e dove servono almeno 18/20 ragazzi”, racconta a Fanpage.it Lorenzo Boffelli, papà di uno dei giovani calciatori e da anni volontario della Polisportiva. Una delle tante squadre parrocchiali del territorio, spesso vivai di talenti in erba e soprattutto palestra di vita per l’amicizia, il senso di disciplina e l’integrazione. “Ci sono 6 o 7 ragazzi con entrambi i genitori di nazionalità italiana, e tutti gli altri immigrati o figli di immigrati. Tra questi ci sono i tre ragazzi della comunità, che vengono sempre agli allenamenti e si comportano benissimo. Uno ha meno di 16 anni, ed è stato tesserato senza eccessiva fatica. Per gli altri due, purtroppo, non è stato così: per uno ci sono voluti mesi, mentre l’altro è stato addirittura respinto”.
La burocrazia infinita
Per far partecipare questi giocatori alle partite, la società sportiva deve infatti fornire una serie infinita di documenti non sempre possibili da reperire (permessi di soggiorno dei genitori, certificati scolastici e così via) e il tesseramento richiede così diverse settimane, se non mesi. “C.T. ha 16 anni compiuti e la pratica per il tesseramento era stata respinta dalla FIGC di Lodi con indicazione di rivolgersi alla Federazione Nazionale, sostenendo che l’ente competente fosse quello della Lombardia. L’iter cominciato alla fine dell’estate si è finalmente concluso il 24 ottobre, quando il ragazzo ha saltato ormai diverse partite di campionato”.
È andata però diversamente agli due. “T.D., invece, ha 16 anni compiuti ed è arrivato in Italia nell’agosto del 2023. Per lui è stato necessario aprire la pratica del tesseramento presso la FIGC di Roma. Inizialmente è stato richiesto di inserire il suo certificato di nascita e lo stato di famiglia, che ovviamente non possiede perché arrivato senza documenti dopo la traversata del Sahara e i mesi trascorsi nelle prigioni libiche. Quindi abbiamo dovuto inserire infiniti documenti complicatissimi da produrre, tra cui delega dei servizi sociali alla cooperativa affidataria, autorizzazione della cooperativa e dichiarazione per attestare che il minore è sprovvisto di atto di nascita, lettere della società sportiva, documenti della Questura che sostituiscono il passaporto, verbale della Questura con cui il minore è stato assegnato ai servizi sociali, permesso di soggiorno. Documentazione di cui, dopo la consegna, ci è stata anche chiesta una traduzione in inglese, ovviamente certificata da enti pubblici internazionalmente riconosciuti”. L’ultimo documento, richiesto dalla FIFA, è lo status del certificato di rifugiato o di persona protetta, da produrre entro sei giorni. Risultato? Domanda bocciata dalla FIFA. Le motivazioni, richieste dalla Federazione di Lodi, sono ancora da visionare: tempistiche, circa 8 settimane.
I dirigenti della squadra, però, non mollano. “Vogliamo evitare di lasciare fuori dal campo questo ragazzo. È già escluso da mesi, il campionato è cominciato a inizio settembre”, spiega anche il presidente della Polisportiva Oratorio Livraga, Claudio Mazzucchi. “E non è certo la prima volta. È proprio la procedura che è completamente sbagliata. Riscontriamo spesso problemi anche per i bambini figli di genitori stranieri: tutti gli anni, per il tesseramento, ci vengono a chiedere il permesso di soggiorno, quelli dei genitori e tante altre carte ancora… ma se sono nati in Italia e vanno da sempre a scuola, a che serve?”.
Un’occasione di integrazione sprecata
Un iter burocratico decisamente complicato che lascia seduti in panchina i ragazzi per mesi e mesi. Impedendo quindi loro di partecipare alle trasferte, conquistare vittorie in campionato, condividere il campo con i compagni. In poche parole, integrarsi realmente sul territorio e fare parte del suo tessuto sociale. “I ragazzi non vedono l’ora di scendere in campo. Al mister chiedono ogni domenica: la prossima gioco anche io? È dura dirgli di no, che devono incrociare le braccia e non giocare. Non va bene”.
Del resto procedure di questo tipo, come fanno sapere dalla FGIC locale, in mancanza dei dati richiesti per legge (e spesso gestiti da privati volontari, non certo segreterie professioniste) diventano il più delle volte di competenza nazionale, quindi non gestite dagli enti territoriali come accade per i cittadini italiani: è quindi Roma a decidere le sorti del singolo giocatore, seguendo le regole dettate dalla FIFA e i tempi di una enorme organizzazione internazionale. Lasciando nel frattempo in panchina, in un tortuoso percorso di sabbie mobili, i sogni dei piccoli calciatori in erba.
“Le lungaggini del sistema creano esclusione. E l’emarginazione crea inevitabilmente povertà, delinquenza e tutti i fenomeni degenerativi che purtroppo conosciamo bene”, spiega Andrea Menin, l’educatore che segue i tre ragazzi in comunità. “Il nostro mondo deve girare a un’altra velocità: percorsi di integrazione sani e positivi sono una priorità per il Paese in questo momento. Più si rallenta questo processo, più si crea marginalità. E lo sport, da sempre, è l’attività che per eccellenza accoglie ogni differenza e crea reale integrazione. È un ambiente trasversale, dove non conta la tua lingua o il colore della tua pelle ma la voglia di metterti in gioco, divertirti e stare in gruppo. E questo accade soprattutto nelle realtà dei piccoli territori, che con tanta fatica e lavoro volontario fanno tantissimo per includere i ragazzi della zona”. Con la speranza che si possa fare ancora di più.
(da Fanpage)
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Gennaio 12th, 2025 Riccardo Fucile
LE DIFFERENZE TRA IL METODO MANFREDI E IL POTERE DELUCHIANO CHE VORREBBE GIUNGERE ALLA TERZA RICONFERMA
Un’era politica fa Rosa Russo Iervolino, durante un periodo particolarmente complesso (e velenoso) della sua esperienza da sindaco di Napoli, uscì dal suo ufficio al secondo piano di Palazzo San Giacomo con in mano l’allora nuovo romanzo di Ruggero Cappuccio «Fuoco su Napoli». Fu scattata una foto che, come in molti casi, si dimostrò più eloquente di tanti articoli di giornale.
Ci risiamo: la situazione politica è di nuovo infuocata e lo show è tutto nel centrosinistra napoletano. Ci sono due personaggi in ballo, i politici più influenti e potenti da queste parti: il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca e il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. La tensione fra loro ormai è chiara perfino nelle piccole (rispetto al contesto) cose. Prendiamo l’inaugurazione della piscina dello stadio napoletano “Collana”, quartiere Vomero. Lunedì 13 sarà tagliato il nastro con De Luca ma senza il sindaco, non invitato ad un evento nella sua città. Col presidente della Regione Campania è annunciato il capo del Coni Giovanni Malagò.
Entrambi taglieranno il nastro di una struttura che non entrerà in funzione subito ma in primavera e sulla quale ci sono scontri per la delibera che “privilegia” i residenti al Vomero, firmata dalla presidente della Municipalità Vomero-Arenella, Clementina Cozzolino, esponente del Partito Democratico fedelissima a De Luca. Questo episodio della piscina è parva materia. Ma è esemplificativo dell’attuale fase.
Il clima intorno a Vincenzo De Luca sta cambiando, lentamente e inesorabilmente nel centrosinistra a Napoli. Per un decennio “lo sceriffo” ha fatto e disfatto, piegando tutti alla sua volontà, personalità e forza politica. Oggi la sua candidatura-quater (la prima volta non fu eletto, vinse Stefano Caldoro col centrodestra) è ostacolata non solo dall’atto d’impugnazione della legge elettorale regionale sartoriale che gli consentirebbe il terzo mandato, norma che il governo porterà davanti alla Corte Costituzionale, ma anche dalla nuova riconfigurazione dei gruppi di potere che in Campania lo hanno sostenuto dal 2010, per 15 anni, per tre Elezioni Regionali.
Stringiamo lo zoom su Napoli per comprendere il perché della frizione tra i due. La città non aveva un sindaco influente a livello nazionale come Gaetano Manfredi dai tempi di Antonio Bassolino. La percezione di chi lo sostiene è questa: Manfredi è stato ministro, Manfredi parla con tutti, pure col governo di centrodestra, Manfredi è stato eletto “capo” dei sindaci italiani (all’Anci), sbaragliando ostacoli non da poco come il suo omologo di Milano Giuseppe Sala. Chiaramente a De Luca non è mai piaciuto dover considerare altre figure politiche oltre la sua.
Manfredi non ha “voti suoi”, non è un signore delle preferenze e politicamente deve muoversi in uno schema di coalizione larga. Se ne deduce che non si può permettere di non ascoltare gli altri. Egli è comunicativamente meno forte di De Luca (anche se i numeri dicono che gli show deluchiani non fanno più presa come un tempo) ed è percepito non come un leader ma come un politico, autorevole, con il quale ci si può sedere ad un tavolo con due idee diverse cercando un punto in comune. De Luca è invece un capo assoluto ed è molto bravo a tenere e arringare le folle. Ma dal periodo del Covid, coinciso con la sua rielezione (2020) ad oggi, anno 2025, ha scavato intorno un fossato: o con me o contro di me. Contro il governo, contro il suo partito: una fila sterminata di “contro”, basta guardare i suoi monologhi social del venerdì. O deluchiani o nemici, è la dicotomia al governo. Un modo di veedere che però, nel mondo d’oggi, ha i suoi estimatori.
Mugugni ma poche grida contro lo “sceriffo”
«La Campania sulla mappa non è una Regione di centrosinistra, è la Regione di De Luca. Lui non ascolta, non si confronta. E ogni anno è peggiore del precedente» accusa a Fanpage un esponente del Partito Democratico che, evidentemente, non fa parte della corrente deluchiana e non vuole il terzo mandato.
Il problema è (anche) che la contenibile ascesa di De Luca in questo decennio di governo non ha trovato vera opposizione nel cosiddetto campo largo campano. Smantellato il Movimento Cinque Stelle in Consiglio regionale, nel Pd campano pochissimi nell’ultima legislatura hanno provato a mettersi davvero contro “lo sceriffo di Salerno” arginandolo: sussurri e qualche grida con interviste e passaggi ben pesati, nulla più. Paura di essere asfaltati a mezzo social e marginalizzati: è la “cura Ludovico” di don Vincenzo.
Oggi però, con le elezioni alle porte, cosa sta cambiando? Molti deluchiani della provincia (sindaci soprattutto) stanno contattando Manfredi per riposizionarsi. I signori dei voti nel centrosinistra in provincia di Napoli (leggasi Mario Casillo) fanno le riunioni con la segreteria nazionale di Elly Schlein (ovvero col commissario regionale Antonio Misiani) per cercare il candidato di coalizione: Italia Viva più Azione e Alleanza Verdi-Sinistra, in coalizione col Movimento 5 Stelle. Il tema è: questa coalizione riuscirebbe a vincere con un candidato come l’ex presidente della Camera, il pentastellato Roberto Fico? O proprio all’esperienza della candidatura Bassolino occorrerebbe guardare, portando Manfredi da Palazzo San Giacomo a correre per Palazzo Santa Lucia? Il sindaco di Napoli ha detto, ridetto e fatto sapere che non è cosa. Ma la politica come arte del possibile è proprio questa: convincerlo a scendere in una battaglia che, nei fatti, è già iniziata.
(da Fanpage)
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Gennaio 12th, 2025 Riccardo Fucile
GLI ALLEATI GLI IMPUTANO “UNA CERTA DISTRAZIONE MINISTERIALE”, “I FASCICOLI INEVASI SONO TANTI”, E VANNO DALLE CONCESSIONI AUTOSTRADALI AI PORTI… LE CONTESTAZIONI RIGUARDANO SOPRATTUTTO UNA “PERSONALIZZAZIONE” DEL MINISTERO DI CUI SI SCORGE TRACCIA ANCHE NELL’IMMINENTE TORNATA DI NOMINE AI VERTICI DI RFI CON LA SOSTITUZIONE DI STRISCIUGLIO CON L’AD DI ANAS ALDO ISI
«Se Milano brucia e Roma tace non è mai casuale». Matteo Salvini, ieri, è stato a lungo un uomo solo. Mentre lo Stivale è impazzito assieme alla linea elettrica della rete ferroviaria italiana, dal centrodestra non si è levata alcuna voce a suo sostegno. A fare da scudo al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti dagli attacchi dell’opposizione e dalle rimostranze degli utenti bloccati nelle stazioni da ritardi lunghi ben oltre l’umana sopportazione, si è levata solo la voce delle truppe leghiste, adeguatamente sollecitata dal tam-tam delle chat del Carroccio.
Nell’ora più buia dal fronte alleato non è arrivato neanche un elmetto. Anzi. A sollecitare un po’ Fratelli d’Italia e forzisti, dietro le lenti da spettatori distaccati si scorge il cipiglio attento di chi sente l’odore del sangue. «In quel ministero non ci sono nostri esponenti» spiega a taccuini chiusi uno dei colonnelli meloniani, malignando sulla possibilità che non fosse poi «una circostanza così fortuita» la scelta della presidente del Consiglio di non riempire in fretta il seggio lasciato vacante dall’uscita dell’ex viceministro Galeazzo Bignami, ormai da un mese nominato capogruppo FdI alla Camera dei deputati.
Chi segue da vicino la partita per conto degli alleati gli imputa una «certa distrazione» ministeriale dettata dai tanti impegni politici. Conciliare l’attività da titolare dei Trasporti con quella da vicepremier e, soprattutto, da leader di un partito che pare sull’orlo della crisi di nervi non è un gioco da ragazzi.
«I fascicoli inevasi sono tanti» aggiunge un’altra fonte ai vertici della maggioranza, e vanno dalle concessioni autostradali alla riforma dei porti e del sistema autostradale. Nessuno, insomma, condivide il messaggio del Mit che «spiega i fatti delle ultime ore» come dovuti ad un’Italia «con una grave carenza di infrastrutture» motivata da «decenni di disinteresse, mancati investimenti e no ideologici».
Da FdI e Forza Italia non c’è possibilità che al Capitano sia calata una scialuppa per salvarlo dalle accuse dell’opposizione di aver «limitato un diritto costituzionale» o di essere troppo preso dal tentativo di sbarcare al Viminale. Neanche una più modesta ciambella. Si rimarca, al contrario, la sua indisponibilità a farsi aiutare. Le contestazioni riguardano soprattutto una supposta «personalizzazione» del Mit, di cui si scorgerebbe qualche traccia anche nell’imminente tornata di nomine
Tra gli azzurri, ad esempio, c’è chi legge «un’ammissione di colpa» nell’ormai annunciata sostituzione di Giuseppe Strisciuglio, attuale ad di Rfi. Alla società che gestisce le reti ferroviarie italiane – quella cioè a cui parrebbero ascrivibili le responsabilità dei fatti di ieri, come quelle del celebre chiodo che ha paralizzato il Paese a ottobre scorso – era arrivato a metà 2023, su indicazione precisa dello stesso Salvini. Salvo rimescolamenti dell’ultima ora, entro fine mese Strisciuglio saluterà per passare al vertice di Trenitalia, lasciando che a prendere le redini dell’azienda che gestisce una fetta molto ampia di Pnrr sia Aldo Isi, attuale amministratore delegato di Anas su indicazione draghiana.
È solo una piccola parte del risiko delle poltrone che andrà in scena a giorni, ma per i detrattori-alleati del Capitano è sintomo evidente del fatto che il leghista «non gode di buona salute», politica ovviamente.
«Chi cambia un ad di un’azienda pubblica quando c’è ancora così poco tempo per spendere i soldi del Pnrr?» ci si interroga anche a via della Scrofa, con la certezza che un passaggio di questo tipo provocherà «ulteriori ritardi» nella messa a terra del Recovery. Porta Pia, insomma, è quasi sotto assedio. Una sensazione che Salvini avverte da un po’, al punto da circondarsi di fedelissimi e “barricarsi”. Per dire, a luglio è approdato a Ferrovie Giuseppe Inchingolo, a lungo tra i burattinai della “Bestia” che fece grande il Capitano.
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2025 Riccardo Fucile
LO CHOC DEI DIPENDENTI: “È FOLLE”… IL CAMBIAMENTO DI ZUCK, E QUELLO DELLA SUA AZIENDA DA 1,5 MIGLIAIA DI MILIARDI DI DOLLARI
Continua la metamorfosi di Zuckerberg e Meta in vista dell’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
«Uno sprint serrato di sei settimane, che ha colto di sorpresa persino i dipendenti» dell’azienda, scrive il New York Times.
Dopo l’eliminazione del fact-checking nei soli Stati Uniti, che ha un forte valore politico e simbolico, e la più impattante modifica della moderazione dei contenuti su Facebook e Instagram, che verrà introdotta a partire dalle prossime settimane in tutto il mondo, il colosso di Menlo Park ha comunicato ai suoi dipendenti l’interruzione immediata dei principali programmi di diversità, equità e inclusione (Dei). Non ci sarà più, quindi, una squadra di persone dedicata alla tutela delle minoranze nel corso di assunzione, formazione e scelta dei fornitori.
Maxine Williams, attuale responsabile della Diversity, assumerà un altro ruolo in azienda, incentrato sull’accessibilità.
Roy Austin, vice presidente dei Diritti Civili, ha annunciato contestualmente le sue dimissioni sottolineando «le complessità e le sfide del nostro lavoro» e il fatto che i 13 membri del suo team verranno assegnati ad altro.
La motivazione addotta da Meta, in una nota della vice presidente delle risorse umane Janelle Gale: «Il panorama legale e politico intorno agli sforzi per la diversità, l’equità e l’inclusione negli Usa sta cambiando».
Prosegue la nota, pubblicata da Axios: «La Corte Suprema degli Stati Uniti ha recentemente preso decisioni che indicano un cambiamento nel modo in cui i tribunali tratteranno i programmi Dei». E ancora: «Il significato della sigla Dei è cambiato, perché alcuni la intendono un trattamento preferenziale di alcuni gruppi rispetto ad altri». L’intenzione, ora, è di «applicare pratiche eque e coerenti che mitigano i pregiudizi per tutti, indipendentemente dal background».
Zuck, intanto, è inarrestabile e apparentemente euforico mentre si toglie qualche sassolino-valanga dalle scarpe: a Joe Rogan, il podcaster più famoso d’America con cui Trump aveva conversato per tre ore in campagna elettorale, ha detto: «Ora ho un controllo molto maggiore su quella che penso che dovrebbe essere la policy, e credo che così sarà anche in futuro».
Poi l’attacco all’amministrazione uscente dell’attuale presidente Joe Biden, che lo avrebbe obbligato a «censurare» determinati contenuti. I funzionari della Casa Bianca avrebbero «urlato» e «imprecato» contro i dipendenti di Meta durante le discussioni su come moderare i contenuti relativi al Covid durante la pandemia.
All’epoca, quando stava per iniziare la prima campagna di vaccinazione nel 2020, era stata presa la decisione drastica di rimuovere le informazioni false sui vaccini, mentre fino a quel momento il colosso aveva optato per una riduzione della visibilità concessa a pagine e gruppi no-vax e per il rifiuto di pubblicità false sul tema.
Biden, rispondendo ai giornalisti, si è rivolto a Zuckerberg per commentare l’abolizione del fact-checking: «Penso che sia davvero vergognoso. Dire la verità è importante. Pensate che non sia importante che si lascino stampare, o che milioni di persone leggano, cose che semplicemente non sono vere? È completamente contrario a tutto ciò che è l’America».
Anche fra una parte dei dipendenti di Meta serpeggia nervosismo: «Sono Lgbt e malato di mente. Mi prenderò del tempo per occuparmi della mia salute mentale» ha scritto un dipendente sulla piattaforma interna di Meta Workplace, facendo riferimento a una frase consentita dalle nuove regole sulla moderazione.
Altre frasi che si potranno scrivere senza incorrere in interventi delle piattaforme, come scrive Casey Newton su Platformer: «Una donna trans non è una donna, è un uomo patetico e confuso». Oppure :«Una donna trans non è una donna, è un uomo patetico e confuso», «tutta questa faccenda delle persone non binarie è inventata. Quelle persone non esistono, hanno solo bisogno di una terapia», «Una persona trans non è un lui o una lei, è una cosa (“it” in inglese, ndr)».
Sempre Newton ha riportato un commento di un altro dipendente sulla chiusura dei programmi Dei: «È un po’ folle, se il risultato delle elezioni fosse stato diverso, niente di tutto questo sarebbe successo? Significa che stavamo facendo cose in cui non credevamo? Avremo cambiamenti così grandi ogni volta che il potere cambierà?»
Secondo le fonti sentite dal New York Times, il cambiamento di Zuckerberg – e di conseguenza quello della sua azienda da 1,5 migliaia di miliardi di dollari – ha un duplice scopo: posizionarsi in vista del 20 gennaio, quando Trump entrerà in carica, e uscire allo scoperto con le sue opinioni originarie, che non vuole più tenere nascoste. «E sarà così anche in futuro» cit.
(da agenzie)
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Gennaio 12th, 2025 Riccardo Fucile
RONCONE: “È UN MAGHETTO CHE VIVE IN UNA SOCIETÀ PARALLELA, CELATA AL RESTO DEL MONDO REALE, CIOÈ IL NOSTRO. AD ATREJU HA DETTO CHE ‘IL TRATTO DISTINTIVO DEL FASCISMO ERA UNO SPIRITO DI LIBERTÀ'” … LA MOGLIE GINECOLOGA CAPO DI GABINETTO AL MINISTERO
Sugli appunti dell’anno appena trascorso restano solo le entusiasmanti avventure di Edmondo Cirielli, il vero e unico Harry Potter della politica italiana. Un formidabile maghetto travestito da Fratello d’Italia che vive in una società parallela celata al resto del mondo reale, cioè il nostro.
A Cirielli, che come copertura fa il viceministro degli Esteri, vengono infatti concesse cose, e soprattutto accadono cose, di cui noi non ci accorgiamo. Dev’essere per forza così. Non c’è altra spiegazione. Siamo nella magia del Parlamento. E quella di Potter Cirielli, ormai, è un’affascinante saga. Con molte puntate.
La prima che viene raccontata risale al 2009. Quando, da presidente della provincia di Salerno (è nato a Nocera Inferiore 60 anni fa), il 25 aprile fa affiggere dei manifesti in cui spiega che la Liberazione fu merito solo delle truppe anglo-americane, mentre i partigiani non giocarono alcun ruolo. Essendo un ufficiale dell’Arma in aspettativa, alcuni si chiedono: ma cosa insegnano all’Accademia di Modena? Siamo nell’incantesimo destroide del nostro maghetto.
Con pure la chicca della legge che porta il suo nome e che lui disconosce, la famosa “ex Cirielli”, nota anche come “Salva Previti” (indovinate perché). Per restare alle cronache recenti, invece, un altro accadimento straordinario: una mattina, il ministro della Sanità, Orazio Schillaci (in effetti abbiamo un ministro della Sanità), annuncia che Maria Rosaria Campitiello, moglie di Potter Cirielli, diventa «capo del dipartimento della prevenzione, della ricerca e delle emergenze sanitarie».
Per capirci: se scoppiasse un’altra pandemia, tipo Covid, saremmo nelle sue mani. Solo che lei è un medico specialista in ginecologia e ostetricia. Bravissima, intendiamoci. Però questo fa: la ginecologa.
Sono cose che accadono nel mondo di Potter Cirielli. Che ha chiuso il 2024 esibendosi in un ultimo portentoso sortilegio proprio ad Atreju, sul palco della magica festa FdI a Roma. Presentando il libro di Italo Bocchino, Perché l’Italia è di destra (Solferino), il maghetto ha infatti detto che «il tratto distintivo più profondo del fascismo era uno spirito straordinario di libertà». Per fortuna, però, parlava nel suo mondo parallelo. Se un’affermazione così l’avesse fatta in Italia, si sarebbe dovuto dimettere.
Fabrizio Roncone
(da Corriere della Sera)
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