BERLUSCONI PRONTO A ROVESCIARE IL TAVOLO PER PAURA DI PERDERE LA BATTAGLIA DEL COLLE
SCONCERTO DI NAPOLITANO PER GLI ATTACCHI DEL CENTRODESTRA
Una «manovra» del Colle. Per prendere tempo, trascinare tutto fino al 15 aprile, favorire l’intesa Pd-M5S per il nuovo inquilino del Quirinale.
Eccolo, il fantasma che ossessiona le ultime notti di Arcore: l’elezione tra due settimane di un presidente della Repubblica «ostile », figlio dell’abbraccio «mortale » tra Bersani e Grillo, una prospettiva che nel fortino Pdl porta dritto ai nomi di Gustavo Zagrebelsky o a Stefano Rodotà , se non a Romano Prodi.
Timori e spettri che per ora non trovano riscontro nei fatti, il leader dei 5Stelle continua a bombardare e basta.
Ma sono stati sufficienti nelle ultime 36 ore per convincere il Cavaliere a far saltare il tavolo delle commissioni alle quali il presidente della Repubblica Napolitano ha affidato il delicato compito di tessere la tela del dialogo tra le tre «minoranze» inconciliabili. Invece nei due giorni di festa parte il fuoco di fila Pdl che azzoppa la missione sul nascere.
Proprio tra lo sconcerto e lo stupore dello stesso capo dello Stato.
Non fosse altro perchè Berlusconi, attraverso Gianni Letta, era stato avvisato per tempo, sabato mattina, di tutti i passaggi dell’operazione.
Il nome di Gaetano Quagliariello non era stato concordato ma comunicato in anticipo sì, senza alcun veto dal fronte Pdl.
Dal Colle, assistono con sconcerto e stupore all’assalto del Pd ai “facilitatori”.
Scorrono indietro il film dell’ultima convulsa, drammatica notte di consultazioni al Quirinale. Berlusconi che chiede a Napolitano di restare: il capo dello Stato aveva messo sul tavolo le dimissioni, per accelerare i tempi della sua successione e forse anche elezioni anticipate. L’assenso nella notte di Gianni Letta al nome di Quagliarello. Poi, il brusco cambio di rotta.
La lettura? «Hanno vinto i falchi sulle colombe, la linea è stata rovesciata, attaccano i saggi ma in realtà la partita è sempre sul dopo-Napolitano».
Per trovare la chiave di quel che si è scatenato nel centrodestra, dunque, bisogna tornare al tormentatissimo giro di colloqui di venerdì scorso.
Napolitano non ha scelte, e tutti i suoi interlocutori lo sanno.
La minaccia di dimissioni rientra.
Sente Mario Draghi, sente anche il governatore Visco, lo sconsigliano caldamente, «ci sarebbero contraccolpi molti pesanti sui mercati».
E fa anche un altro calcolo: dimettendosi martedì 2 aprile, come pure aveva ipotizzato, secondo la Costituzione le elezioni per il successore cominciano 15 giorni dopo, Nessuna accelerazione, in pratica, rispetto all’iter normale.
Lo spiega agli interlocutori al Colle: «Le mie dimissioni non risolvono. Come il governo istituzionale, non appoggiato nelle consultazioni. E non posso sciogliere le Camere.
Non resta che una sola strada: guadagnare tempo, rispetto ai mercati, per non continuare con questa immagine di stallo».
E’ il sentiero che poi percorre, con l’inedita scelta dei “facilitatori”.
Il senso e i limiti della missione dei “dieci” erano perciò chiari a tutti, anche al Pdl che oggi si “sorprende”: prendere un paio di settimane, arrivare fino all’avvio delle votazioni del nuovo capo dello Stato.
Sarà lui, salvo un miracolo, a prendere in mano le redini della crisi di governo.
E invece eccolo, adesso, il Cavaliere sempre più di lotta, sempre più proiettato verso il voto in estate, consapevole tuttavia che lo spiraglio di giugno si è quasi irrimediabilmente chiuso.
Ai suoi che lo chiamano per gli auguri pasquali confessa tutto lo scetticismo dopo l’iniziale, apparente apertura. «Quando in Italia non si sa cosa fare, si fa un tavolo, che puntualmente non approda a nulla», è la prima delle sue considerazioni.
Perdita di tempo, tentativo «inutile», sono le usate per stroncare sul nascere la mission dei dieci. Alla quale Berlusconi impone già la dead line della fine della prossima settimana: dieci giorni di tempo, non di più.
Poi, «o il Pd accetta il governo di larghe intese e un presidente della Repubblica condiviso o si va al voto in estate»: resta quella la sua bussola.
Anche dopo che il Quirinale ha precisato, ridimensionato, la posizione di Berlusconi, raccontano, non sia cambiata: «Non ho alcuna fiducia che questa cosa serva a qualcosa, anzi, grossi dubbi. Probabilmente Napolitano lo ha fatto per paura che fallisse il tentativo di dar vita a un governo del presidente, per tutelarsi. Ma per noi non va bene».
Non basta. «Accetteremo di discutere la legge elettorale solo in un contesto più ampio di riforma costituzionale».
Condizioni quasi irrealizzabili in dieci giorni.
Stamattina si insediano i saggi ma per Berlusconi è già una partenza a vuoto.
E se non li stronca sul nascere, ritirando magari Quagliariello – come pure gli avevano chiesto con insistenza i “falchi” Brunetta, Verdini e Santanchè – sarà solo per cercare di capire se il Pd nel frattempo si spacca e apre alle larghe intese.
È l’unico motivo per il quale un Cavaliere sempre più distratto dalle sue carte giudiziarie concede qualche giorno di respiro e dunque credito alle colombe di casa, Gianni Letta, tessitore col Quirinale, Alfano, Schifani, Lupi.
Oggi riunione del gruppo alla Camera per discutere il da farsi.
Ma Berlusconi non ha alcuna voglia di «perdere tempo », ci sono le sentenze in arrivo.
Carmelo Lopapa e Umberto Rosso
(da “La Repubblica“)
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