BOSSI TEME CONTESTAZIONI A PONTIDA: PRIMA IPOTIZZA LA MOSSA DI PRESENTARSI DIMISSIONARIO, POI CI RIPENSA: NON SI SA MAI CHE LE ACCETTINO
LA RICHIESTA DI TRASFERIMENTO DI DUE MINISTERI AL NORD E’ STATA GIUDICATA DALLA BASE COME UN BLUFF STERILE…BOSSI CHIEDEVA L’ASTENSIONISMO SUI REFERENDUM, MA I SUOI ELETTORI SONO ANDATI A VOTARE…E SULLA RIDUZIONE DELLE TASSE ORA RISCHIA DI ENTRARE IN ROTTA DI COLLISIONE CON IL FIDO TREMONTI
La tentazione del Senatur in queste ore è quella di presentarsi dimissionario sul prato di Pontida per chiedere ai leghisti se vogliono che sia ancora lui a guidare la rivolta contro Roma Ladrona.
Ci sta ancora pensando e deciderà solo all’ultimo minuto: quello che è certo è che Bossi è seriamente preoccupato.
Aveva invitato i suoi elettori a disertare le urne referendarie e quelli, per tutta risposta, ci sono invece andati: i dati del nord sono impietosi a tal riguardo.
Come è servito a poco annunciare il trasferimento di alcuni uffici dei dicasteri al nord. Anzi ha suscitato una reazione opposta, visto che i ministeri sono sempre stati considerati un simbolo della burocrazia centralista.
Ma pare che sull’apputamento di Pontida si stia muovendo altro: assieme alle bandiere di Alberto da Giussano vengono preannunciate dal tam tam della base anche capannelli di contestatori.
Una svolta senza precedenti.
Piccoli imprenditori, «vittime» delle ganasce fiscali, coltivatori in guerra sulle quote latte, insomma il ventre in subbuglio del loro elettorato.
Intenzionato ora a cantarle chiare ai vertici, per nulla soddisfatti del rigorismo fiscale imboccato dal governo del quale «l’Umberto» è colonna portante.
Per non dire dell’«invasione» di immigrati dal Nordafrica.
Mine da disinnescare subito.
Tutto ad ogni modo sembra ruotare attorno ai conti di una cassa che langue e sulla quale sia Berlusconi che Bossi ormai hanno puntato le loro mine.
Tremonti non è disposto ad aprirla.
Il Senatur coi suoi insiste su un punto: «Se si fa una manovra da 45 miliardi, allora occorre una compensazione adeguata, la manovra correttiva e la riforma fiscale andranno fatte insieme. Berlusconi non può venire a dirci “taglio di qua, taglio di là “». E stop alle sforbiciate su comuni e imprese già tartassati.
Perchè, ne è convinto Maroni, «non si potranno più chiedere sacrifici senza aiutare la crescita».
Ma il pallino, ancora una volta, è nelle mani di Tremonti.
E Bossi per la prima volta appare come un leader elettoralmente perdente: colui a cui tutta la classe dirigente leghista riconosceva “fiuto politico” non comune, non ne sta azzeccando più una.
E qualcuno nella Lega comincia a smarcarsi e a giocare in proprio.
Non a caso due alleati da sempre come Maroni e Tremonti non si lesinano critiche, mentre Zaia e molti altri dirigenti non hanno avuto remore a indicare più di un Sì ai quesiti referendari, in aperto contrasto con via Bellerio.
Messo sotto pressione, il Cerchio amgico sembra perdere colpi e Bossi stesso appare indeciso e frastornato.
Forse anche per questo non presenterà le sue dimissioni formali dal palco di Pontida: teme che non ci sarebbe un plebiscito per la sua conferma.
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