CASO DE LUCA: RENZI MIRA A RIDURRE IL DANNO A NAPOLI E ROMA PER SILENZIARE GRILLO
IL PREMIER HA EVITATO IL RISCHIO DI UNA LEGGE AD PERSONAM
Come si concluderà lo psicodramma della Campania forse non è chiaro nemmeno a De Luca.
È noto che il neo presidente è stato sospeso senza indugi da Renzi, in ossequio alla legge Severino.
Ma è anche certo che le polemiche proseguiranno e diventeranno molto aspre nel momento in cui De Luca, pur sospeso, formerà la giunta e nominerà un vice “facente funzioni”.
In altre parole, il pasticcio non è risolto e non lo sarà fino a quando la Corte Costituzionale non prenderà posizione, si suppone in autunno.
Dal punto di vista politico, tuttavia, il presidente del Consiglio ne esce con il minor danno.
Restano tutti gli interrogativi sull’opportunità di una candidatura messa in campo (potenza delle primarie…) quando era già evidente che l’eletto non avrebbe potuto prendere possesso della carica.
Detto questo, Renzi è stato abile nel togliere il piede dalla trappola.
Vale a dire che non ha ceduto alla tentazione di un decreto “ad hoc”, una norma “ad personam” per risolvere il caso.
Avrebbe reso meno intricato il groviglio giuridico e politico in cui si dibatte il centrosinistra a Napoli, ma avrebbe attirato su di sè gli strali delle opposizioni.
Che infatti lo aspettavano al varco.
Adesso invece persino Grillo concorda con la procedura seguita da Palazzo Chigi, pur rivendicando a suo merito – è ovvio – il senso della decisione.
In verità il presidente del Consiglio sta cercando di dipanare la matassa di questa calda estate in cui c’è di tutto: non solo la Campania, ma il caso Marino a Roma; e poi, come un’onda sismica, il terrorismo, l’immigrazione, il caos in Grecia.
Renzi ha afferrato il bandolo dei governi locali. Non è il più grave dei problemi, ma sul piano degli equilibri politici interni è certo il più insidioso.
È chiara la strategia: prosciugare un po’ dell’acqua in cui nuotano i Cinque Stelle, togliendo loro argomenti.
A Napoli si lascia De Luca a sbrogliarsela, senza alcun ombrello confezionato su misura. A Roma si spinge il sindaco Marino a uscire di scena, con le buone o con le cattive, in modo da disporre di un lasso temporale discreto, dai sette ai nove mesi, per ricostruire il rapporto con la città (attraverso un commissario) prima del voto nelle grandi città , capitale compresa.
Esposto su tutti i fronti, privo di una convincente politica dell’immigrazione e con un’Europa in sostanza sorda alle istanze italiane, Renzi cerca di tamponare la falla dei “grillini”, la più pericolosa al momento sul piano elettorale.
Ma la vera sfida si vince o si perde sullo sfondo di uno scenario assai più ampio.
È una sfida che richiede un’autentica capacità di coinvolgimento del Parlamento da parte del premier.
Come ha detto il presidente della Repubblica, il terrorismo nell’area mediterranea e di nuovo in Francia consiglia uno sforzo di “coesione nazionale”.
Ovvio che Mattarella non auspica un governo di unità nazionale; ma forse tra le righe sta suggerendo a Renzi di rivolgersi con un linguaggio nuovo sia alla minoranza del Pd sia all’opposizione capace di ascoltare.
In fondo allo stesso Berlusconi, trascinato sempre più da Salvini verso orizzonti estremisti, farebbe comodo tornare a vestire per un attimo – magari il tempo di una foto – i panni dell’uomo delle istituzioni.
E poi, non è Renzi che in questi giorni drammatici ripete: “non accetteremo di vivere nel terrore”? Un proposito che implica una strategia, si deve immaginare.
Di “intelligence” e anche militare verso l’esterno.
Ma segnata da un nuovo grado di consapevolezza politica all’interno. L
a coesione fra maggioranza e opposizione contro una grave minaccia fa parte della storia delle democrazie.
Non si tratta di far rivivere alcun tipo di Nazareno, ma di riconoscere che le grandi forze politiche, quelle che sentono di appartenere a un destino nazionale, sono in grado di convergere sulle scelte fondamentali quando è in gioco la vita dei cittadini.
Stefano Folli
(da “La Repubblica”)
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