CASO MORO: ORA TUTTI SAPEVANO DI VIA GRADOLI
IL PENTITO DI MAFIA CHE HA PERMESSO DI INDIVIDUARE LA “NAVE DEI VELENI” IN CALABRIA FA NUOVE RIVELAZIONI… “TUTTA LA MALAVITA DI ROMA SAPEVA DOVE ERA TENUTO PRIGIONIERO MORO, COSI’ COME AMBIENTI DEI SERVIZI SEGRETI E POLITICI”… E A MARIO MORETTI, CAPO DELLE BR, OGNI MESE SAREBBE ARRIVATO UN ASSEGNO DAL MINISTERO DEGLI INTERNI
Che la storia dei rapporti tra il potere politico e le Brigate Rosse debba essere ancor oggi scritto è un dato acquisito: troppi buchi neri, troppe ombre, troppi interrogativi ancor oggi non hanno avuto adeguare risposte.
Ogni tanto escono fuori nuove testimonianze che gettano un’ombra inquietante su come tante vicende di sangue vennero gestite dai servizi e dai governi di allora.
Una nuova testimonianza in tal senso la troviamo sull’ultimo numero dell’Espresso che ha raccolto le dichiarazioni di Francesco Fonti, il pentito della ‘ndrangheta che ha permesso di individuare le “navi dei veleni” nei fondali della Calabria e pertanto giudicato attendibile.
Fonti racconta nell’intervista di essere stato inviato dalla ‘ndrangheta a Roma nel marzo del 1978, chiamato da Riccardo Misasi, ex braccio destra di De Mita e dall’on. Vito Napoli.
Il suo boss di riferimento, Sebastiano Romeo, gli spiegò che bisognava dare una mano per scoprire il covo delle Br e quindi lo invita a mettersi in contatto con “l’amico dei servizi”.
Dopo un incontro a Roma con l’ex segretario della Dc, Benigno Zaccagnini, il pentito sostiene di aver presto compreso che diversi personaggi della banda della Magliana erano a conoscenza che Aldo Moro e i suoi rapitori erano in via Gradoli, sulla Cassia.
E’ qui che il pentito Fonti si chiede: “Come è possibile che tutta la malavita di Roma sappia dove si trova il covo delle Br?”
Fonti ebbe riscontri della localizzazione della prigione di Moro anche dai rappresentanti della ‘ndrangheta nella capitale, dove incontrò anche la sua fonte del Sismi, un certo Pino.
Il quale lo accompagna dall’allora direttore del Servizio, Giuseppe Santovito: era il 4 aprile 1978. Arrivato a Forte Braschi, Santovito chiede al Fonti se ha notizie su un appartamento in via Gradoli 96 e il pentito gli conferma che ne aveva sentito parlare da amici.
Santovito avrebbe replicato: “Tutto vero: è giunto il momento di liberare Moro”.
Il Fonti torna tranquillo in Calabria, pensando che fosse tutto a posto, ma il suo boss lo informa: “A Roma i politici hanno cambiato idea, dicono che dobbiamo farci i cazzi nostri”.
Secondo Fonti “non c’e’ stata volontà politica di agire”.
Un atteggiamento che, secondo il pentito, avrebbe trovato conferma nel 1990, quando era recluso nel carcere di Opera con Mario Moretti: il capo delle Brigate rosse riceveva ogni mese una busta con assegno circolare.
Qualche tempo dopo un brigadiere confidò al Fonti che i soldi provengono dal Ministero degli Interni e che Moretti viene fatto passare per insegnante di Informatica e in quanto tale retribuito dal Ministero.
Che un terrorista venga retribuito dal Ministero degli Interni non può che suscitare perplessità e rende ancora più misteriosi i rapporti tra certi vertici brigatisti e il potere politico.
Ovviamente si tratta di dichiarazioni da verificare, ma si sommano ad altre passate che non contribuiscono certo ad escludere connivenza tra apparati dello Stato e brigatisti.
Chissà quando mai riusciremo a conoscere la verità sul caso Moro, tra intrecci internazionali, interessi politici, servizi segreti e casta partitocratica: forse mai, come su tante altre vicende di quei tempi, in primo luogo i veri mandanti dello stragismo.
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