Maggio 22nd, 2020 Riccardo Fucile
“LA DIGNITA’ DELLA PERSONA NON E’ UN VALORE “STAGIONALE” RIDUCIBILE A LOGICHE DI MERCATO, E’ IL FONDAMENTO DELLA DEMOCRAZIA”
“La regolarizzazione dei migranti è uno strumento essenziale per combattere le mafie e tutte quelle connesse forme di corruzione e illegalità “. Alla vigilia dell’anniversario del 23 maggio e della Strage di Capaci, in cui Giovanni Falcone perse la vita in un attentato mafioso, Don Luigi Ciotti torna a parlare dopo il lockdown.
Da qualche giorno è in libreria “L’amore non basta” (Giunti), volume in cui il sacerdote fondatore del “Gruppo Abele” e di “Libera”, due realtà che da molti anni fanno parte della storia migliore di questo paese, racconta la sua esperienza biografica e il suo impegno sociale, attraverso la fede.
Con l’aiuto di Cecilia Moltoni, che lo ha seguito negli ultimi anni nelle sue iniziative, “L’amore non basta” non è specificatamente un romanzo nè una biografia, bensì la storia vivida, talvolta riservata, sempre appassionata e sempre sincera di un uomo che lotta “nel nome di tutti”.
Come ha vissuto il lockdown e come sta vivendo il distanziamento fisico?
Ovviamente con fatica, tanto più che la mia vita è una storia tutta scandita e costruita sui concetti di prossimità , incontro e relazione. Ho quindi cercato — come tanti immagino — di fare di necessità virtù, alimentando sia pure a distanza il sentimento della relazione e della prossimità . Cosa più facile se gli “altri” li riconosci dentro di te e non solo fuori, davanti e attorno a te. Il mio “io” si è sempre espresso e manifestato all’interno di un “noi”, come credo si evinca anche dal libro, una “autobiografia collettiva”.
“L’amore non basta” è un atto d’amore verso un ideale di giustizia sociale. Quando la pandemia sarà passata, resteranno nuove e più profonde ingiustizie. Da cosa dovremo ripartire?
Infatti l’amore è declinato nel libro come sentimento inseparabile dall’empatia, dalla capacità di mettersi nella pelle e nei panni degli altri, premessa dell’impegno sociale. Passata la pandemia la prima cosa a cui dovremo resistere è la tentazione di ritornare a una normalità che era già malata ben prima dell’arrivo del virus. Le attuali ingiustizie hanno una storia lunga e remota, che affonda le radici nel collasso etico e politico di una società — non solo la nostra — che ha tradito l’idea di uguaglianza, di diritto, di bene comune. Una società disgregata da un’economia selettiva che, con la complicità di gran parte della politica, ha posto il profitto come valore guida permettendo monopoli e abnormi concentrazioni di potere e ricchezza. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: beni comuni trasformati in beni di consumo e di mercato, e distanze sempre maggiori tra una minoranza di super ricchi e masse di poveri, disoccupati, sfruttati, comunque disperati. La ripartenza richiede allora un nuovo paradigma politico, economico ma innanzitutto sociale e culturale. Bisogna ripensare il concetto di libertà , corrotto dal “liberismo” imperante e irresponsabile. E anche il concetto di limite, senza il quale la libertà diventa abuso, prevaricazione, sfruttamento indiscriminato delle risorse, come dimostra la distruzione ecologica, lo scempio che è stato fatto del nostro pianeta.
Il volume è anche una sorta di storia del nostro Paese dalla prospettiva degli esclusi, degli invisibili. Un compendio di fragilità che ci restituisce la vera essenza di cui siamo fatti: siamo fragili e poco o nulla possiamo. Possiamo però rimediare all’ingiustizia. In questo, quanto è importante per lei ancora la fede?
La nostra fragilità non è contingente perchè fragile è la condizione umana. Ma proprio la coscienza di questa fragilità può essere il nostro punto di forza. Se gli esseri umani non si fossero riconosciuti nel corso delle epoche come fragili, come mortali, non credo che si sarebbero organizzati in gruppi, comunità e infine società dove al limite di uno può sopperire la forza e la capacità dell’altro. E dove la stessa morte è meno angosciante nella consapevolezza che la memoria di chi se ne va è custodita dall’affetto e dall’impegno di chi rimane. Sono la condivisione e la corresponsabilità le basi per lottare contro l’ingiustizia e per costruire giustizia. Quanto alla fede, per me è importante, essenziale proprio come spinta a saldare il Cielo e la Terra, il verticale e l’orizzontale, la spiritualità e la storia. Il credere in un al di là di giustizia, misericordia e amore e l’impegno per costruire già a partire da questo mondo le condizioni per cui ogni persona sia riconosciuta nella sua dignità , libertà , diversità .
Da responsabile del Gruppo Abele e Libera, che clima avverte nel Paese? Come può il variegato mondo del terzo settore, del volontariato e dell’azione sociale tornare a incidere sull’agenda della politica?
Innanzitutto ricostruendosi anch’esso come “noi” cioè unità nella diversità , perchè come giustamente dici è un mondo variegato, differente per competenze, storie, riferimenti culturali, ma che dovrebbe condividere un medesimo orizzonte d’impegno: la giustizia sociale e la democrazia, cioè la dignità e la libertà delle persone. Come altrove anche nei nostri mondi ci sono state chiusure, egoismi, personalismi e questo ha giocoforza ridotto il nostro peso politico. Da sempre dico che l’azione sociale non è cosa per “navigatori solitari”: i problemi sociali sono di tale portata che li si può affrontare solo lottando e costruendo insieme. “Camminare insieme” è del resto il titolo profetico di una Lettera pastorale di un grande uomo di Chiesa che mi è stato “padre” e maestro. Padre — così voleva essere chiamato — Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino dal 1965 al 1977.
Cosa risponde a coloro che, nel dibattito mercantile sulla regolarizzazione dei migranti-braccianti, parla di favore alle mafie con la regolarizzazione di queste persone?
Rispondo che la regolarizzazione è uno strumento essenziale per combattere le mafie e tutte quelle connesse forme di corruzione e illegalità che traggono profitto proprio dal mercato nero, dalle zone grigie, dalle commistioni di legale e illegale. Sono dunque obiezioni di chi non sa o finge di non sapere. Quanto alla regolarizzazione dei lavoratori del comparto agricolo e della cura della persona è certo un inizio, un primo passo a cui devono però seguire altri passi per potersi definire una “svolta”. Alcune misure sono ancora insufficienti per estensione e durata. La dignità della persona non è un valore “stagionale”, riducibile a logiche o convenienze di mercato. È l’essenza di una vita libera e responsabile, ed è il fondamento della democrazia.
(da Fanpage)
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Maggio 17th, 2020 Riccardo Fucile
LEDONO I DIRITTI UMANI E VIOLANO IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA
In occasione della giornata internazionale contro l’omofobia di oggi, domenica 17 maggio, il
presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiede di “promuovere il contrasto alle discriminazioni, la lotta ai pregiudizi e la promozione della conoscenza riguardo a tutti quei fenomeni che, per mezzo dell’omofobia, della transfobia e della bifobia, perpetrano continue violazioni della dignità umana». Lo fa con un messaggio pubblicato sul sito del Quirinale.
Nella nota, Mattarella ricorda che «le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale costituiscono una violazione del principio di eguaglianza e ledono i diritti umani necessari a un pieno sviluppo della personalità umana che trovano, invece, specifica tutela nella nostra Costituzione e nell’ordinamento internazionale».
Lo Stato, assicura il presidente, deve «garantire la promozione dell’individuo non solo come singolo, ma anche nelle relazioni interpersonali e affettive. Perchè ciò sia possibile,tutti devono essere messi nella condizione di esprimere la propria personalità e di avere garantite le basi per costruire il rispetto di sè. La capacità di emancipazione e di autonomia delle persone è strettamente connessa all’attenzione, al rispetto e alla parità di trattamento che si riceve dagli altri».
Infine, la condanna dei tanti episodi di violenza denunciati: «Operare per una società libera e matura, basata sul rispetto dei diritti e sulla valorizzazione delle persone, significa non permettere che la propria identità o l’orientamento sessuale siano motivo di aggressione, stigmatizzazione, trattamenti pregiudizievoli, derisioni nonchè di discriminazioni nel lavoro e nella vita sociale».
(da agenzie)
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Febbraio 15th, 2020 Riccardo Fucile
IL BILANCIO DELLA CARITAS AMBROSIANA PER MITIGARE LE CONSEGUENZE DEL DECRETO SICUREZZA
L’umanità contro l’odio al potere. Il vero cristianesimo dell’accoglienza e della vicinanza agli
ultimi e a chi soffre come vera risposta rispetto al falso cristianesimo di chi ostenta rosari e crocifissi ma pratica l’odio, la discriminazione e innalza muri.
Una nota della Caritas Ambrosiana fa chiarezza: “In un solo anno, oltre la metà dei migranti ospiti della Caritas Ambrosiana che avrebbe dovuto lasciare i centri di accoglienza in virtù del primo Decreto sicurezza, ha raggiunto l’autonomia grazie alle scelte della Diocesi di Milano. È quanto emerge dal primo bilancio del Progetto a favore degli esclusi dal sostegno pubblico varato dall’ente diocesano per mitigare gli effetti negativi del provvedimento governativo dell’ottobre 2018, poi convertito in legge a dicembre di quell’anno.
Nella sola Diocesi di Milano, hanno potuto beneficiare dall’intervento 77 persone (di cui 29 minori), tutte titolari di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie in carico alle strutture gestite per conto delle Prefetture dalle cooperative sociali della Caritas Ambrosiana e del territorio. Migranti dunque cui lo Stato aveva riconosciuto il diritto a restare sul territorio nazionale ma che avevano perso il diritto all’accoglienza con l’entrata in vigore del decreto voluto dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini all’inizio di ottobre del 2018. Grazie, invece, all’iniziativa della Caritas Ambrosiana tutti gli ospiti hanno potuto proseguire i precorsi di integrazione che avevano intrapreso o iniziarne di nuovi negli stessi centri o in altri del sistema diocesano.
Ad un anno di distanza da questa decisione, su 48 adulti rimasti nelle strutture 20 hanno già trovato un lavoro alcuni in modo autonomo, altri al termine dei corsi di formazione e delle borse lavoro che sono state offerte loro all’interno del progetto.
Inoltre tutti i 14 migranti single ospiti e più della metà delle famiglie (14 su 24) si stanno preparando a lasciare i centri di accoglienza grazie a percorsi di autonomia ben avviati.
«Se avessimo dato seguito alle disposizioni del Decreto sicurezza, queste persone sarebbero oggi molto più deboli, più esposte al ricatto di sfruttatori di ogni risma e probabilmente le avremmo viste in coda ai centri di ascolto delle parrocchie. Con il nostro piccolo gesto, abbiamo dato a loro un’opportunità . E oggi a conti fatti possiamo dire di aver avuto ragione. Sommessamente crediamo che questa piccola storia possa aiutare a far capire più in generale che i soldi per l’integrazione dei migranti, se spesi bene, sono un investimento non un semplice costo», sottolinea Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana.
«Mi piacerebbe che fosse questo il livello del dibattito pubblico — aggiunge Gualzetti facendo riferimento alla circolare emanata dal Viminale nei giorni scorsi con la quale si ridefiniscono i compensi giornalieri per gli enti che si occupano di accoglienza -. Non si può svilire la discussione ad una mera questione di quattrini: il punto sono i servizi che devono essere offerti, perchè è da quelli che dipende l’efficacia dell’intervento. Se lo scopo è l’integrazione, non ci si può limitare a fornire un alloggio. Occorrono corsi di alfabetizzazione, corsi di formazione professionale agganciati al territorio, accompagnamento sociale. Come altri soggetti seri del terzo settore noi abbiamo sempre voluto mantenere questo livello di proposta. Al di sotto del quale non ha senso la nostra collaborazione. Per questa ragione abbiamo già oggi rimodulato il nostro impegno, rivedendo la nostra partecipazione ai bandi pubblici e promuovendo un sistema privato di accoglienza. Valuteremo attentamente le novità introdotte dalla circolare per capire come procedere in futuro».
(da agenzie)
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Febbraio 14th, 2020 Riccardo Fucile
LA CAMPAGNA LANCIATA CONTRO L’ARRESTO DEL RICERCATORE EGIZIANO HA SUPERATO 80.000 FIRME
Gara di solidarietà per Zaki: cambiare la propria foto profilo su Facebook con un fumetto che ritrae lo studente avvolto dal filo spinato su sfondo rosso e le scritte “Patrick libero” in italiano, inglese e arabo.
L’iniziativa — lanciata su Facebook e su Twitter dall’Eipr (Egyptian Initiative for Personal Rights) — è un’idea dagli attivisti della campagna ufficiale a favore di Patrick George Zaki, il ricercatore egiziano dell’Università di Bologna arrestato al Cairo una settimana fa e da allora detenuto con l’accusa, tra le altre, di istigazione al rovesciamento del regime.
«Per mostrare la nostra solidarietà — rilanciano gli attivisti — cambiamo tutti i nostri profili personali su Facebook a partire da stasera alle 21 fino a quando ascoltiamo la decisione del procuratore in merito all’appello».
Domani, sabato 15 febbraio, alle 9 è fissata in Egitto l’udienza per l’appello sui 15 giorni di custodia cautelare inflitti a Patrick: è qui che si deciderà , dunque, se Zaki dovrà restare in carcere o potrà tornare a casa. Su Change.org la petizione pro Zaki ha superato le 80mila adesioni.
(da agenzie)
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Febbraio 9th, 2020 Riccardo Fucile
IL SI’ DEI CITTADINI ELVETICI ALLA NUOVA LEGGE: “L’ODIO E LA DISCRIMINAZIONE NON HANNO POSTO NEL NOSTRO PAESE”
La Svizzera si schiera contro l’omofobia. Chiamati ad esprimersi in un referendum, gli elettori elvetici hanno approvato con una maggioranza di oltre il 63% la nuova legge contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale.
Una norma contestata invece da conservatori e populisti che hanno messo in guardia dal rischio di “censura” e di attentato “alla libertà di espressione e di coscienza”.
La legge approvata mira a proteggere le persone Lgbt ed estende all’orientamento sessuale le disposizioni dei Codici penale e penale militare che già puniscono la discriminazione e l’incitamento all’odio a causa della razza, dell’etnia o della religione con una pena detentiva fino a tre anni o una pena pecuniaria.
Nel Canton Vaud il sì alla legge ha raggiunto l′80,2%, a Ginevra il 76,3% e a Zurigo il 63,5%. Solo tre piccoli cantoni germanofoni del centro e dell’est del Paese hanno registrato una maggioranza di misura al ‘no’.
“Oggi non sono solo i diritti di lesbiche, omosessuali e bisessuali ad essere rafforzati, ma quelli di tutte le minoranze”, ha esultato la co-presidente dell’Organizzazione svizzera delle lesbiche, Salome Zimmermann, citata dall’agenzia di stampa svizzera Keystone-Ats.
Per il padre della nuova norma, il parlamentare socialista Mathias Reynard, il sostegno popolare alla norma anti-omofobia è “un magnifico segnale” per tutte le persone interessate. “L’odio e la discriminazione non hanno più posto nel nostro Paese”, ha aggiunto citato dai media elvetici.
La sua iniziativa parlamentare contro l’omofobia era stata depositata nel 2013 e ha affrontato un percorso parlamentare di sette anni prima di essere approvata dal Parlamento nel 2018. Il testo in votazione era appoggiato dal governo e dalla maggioranza dei partiti.
Il referendum contro la legge, all’origine dell’odierna votazione popolare, era stato invece lanciato da un comitato composto in particolare da rappresentanti dell’Unione democratica federale (Udf), piccolo partito conservatore che sostiene di difendere i valori cristiani, e dalla sezione Giovani dell’Unione democratica di Centro (Udc, destra nazionalista). “Continueremo a difendere i valori cristiani”, ha dichiarato il presidente dell’Udf, Hans Moser, sconfitto alle urne.
La nuova norma punisce le offese pubbliche e la discriminazione in base all’orientamento sessuale e qualsiasi atteggiamento di incitamento all’odio a parole, per iscritto, immagini o gesti. Non si applica però all’ambito familiare nè tra i gruppi di amici, nemmeno se chiacchierano in un caffè.
Ristoranti, alberghi, trasporti, cinema o piscino non potranno rifiutare l’accesso di qualcuno per il suo orientamento sessuale.
I voti a favore sono stati 1.413,609. L’opposizione, uscita sconfitta col 36,9% dei consensi (827.361), era più radicata nelle zone rurali della Svizzera centrale e orientale. I più alti tassi di approvazione sono stati registrati nelle regioni e nelle aree urbane di lingua francese e italiana. La legge attuale puniva solo la discriminazione religiosa o razziale. Gli attivisti della comunità Lgbt hanno descritto il risultato come un “chiaro segnale contro l’odio” e hanno aggiunto che continueranno la loro lotta politica per il matrimonio tra persone dello stesso sesso, tema che sarà discusso il prossimo mese in Parlamento.
(da “Huffingtonpost”)
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Gennaio 27th, 2020 Riccardo Fucile
L’ATTIVISTA DEI DIRITTI DELLE DONNE E’ MORTA A 36 ANNI DOPO UNA LUNGA MALATTIA
È morta a 36 anni dopo una lunga malattia autoimmune che l’aveva costretta a un trapianto di rene Lina Ben Mhenni, blogger, giornalista, paladina del diritto alla libera espressione e attivista dei diritti umani. Il suo blog divenne famoso in tutto il mondo durante la Rivoluzione dei Gelsomini nel 2011 in Tunisia ed è stata spesso considerata come “la voce della rivolta tunisina”.
Lina Ben Mhenni si recò a Sidi Bouzid, dove si era dato fuoco Mohamed Bouazizi, l’attivista tunisino che si diede fuoco a dicembre del 2010 per protestare contro le condizioni economiche della Tunisia e morì il 4 gennaio del 2011.
La blogger è stata la prima a raccontare quanto stava accadendo sul suo blog. Nel 2011 ha pubblicato, per le edizioni Indigène, ‘Tunisian Girl, blogueuse pour un printemps arabe’, in cui racconta la sua storia di blogger indipendente e di manifestante, prima e dopo la rivoluzione.
Nel 2011 venne candidata al premio Nobel per la Pace e molti sono stati i riconoscimenti che ha ricevuto in questi anni, tra i quali il Premio Roma per la Pace e l’Azione Umanitaria: il Premio come migliore reporter internazionale del quotidiano El Pais nel 2011, il Premio Sean MacBride per la Pace, il Premio Minerva per l’azione politica, il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo nel 2014.
Lina negli anni successivi alla rivoluzione si è sempre interessata ai problemi della gente denunciando le violazioni ai diritti umani e i soprusi al potere, finendo anche per vivere sotto scorta per le minacce di morte ricevute.
Ultimamente aveva aderito con entusiasmo al movimento #EnaZeda, traduzione letterale di ‘Anch’iò, versione tunisina del fenomeno mondiale #Metoo a difesa di tutte le donne tunisine molestate.
Grande il cordoglio in Tunisia da parte di giornalisti e società civile. Era figlia del noto attivista tunisino Sadok Ben Mhenni.
(da agenzie)
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Dicembre 29th, 2019 Riccardo Fucile
SUICIDIO ASSISTITO, SENTENZA STORICA E CORAGGIOSA DELLA CORTE D’ASSISE DI MILANO
Pochi giorni fa, la corte d’Assiste di Milano, così come richiesto dalla Procura, ha assolto Marco
Cappato dall’accusa di aiuto al suicidio del dj Fabo “perchè il fatto non sussiste”. Decisiva è stata la sentenza della Corte Costituzionale dello scorso settembre.
Chiamata a pronunciarsi sulla specifica questione di legittimità costituzionale sollevata nel corso del giudizio di merito in essere innanzi alla predetta Corte di Assise, il Giudice Costituzionale, in costanza dell’ennesima carenza dell’Italico Legislatore, ha pronunciato una sentenza, nello stesso tempo, storica e “coraggiosa”.
Fa d’uopo precisare, e fin da subito, che la decisione in parola non interviene in materia di eutanasia ma sulla diversa fattispecie del suicidio assistito.
Ed invero, mentre nel suicidio assistito, il farmaco necessario a procurare l’evento morte viene assunto direttamente ed autonomamente dal malato, nel caso dell’eutanasia il medico ha un ruolo fondamentale perchè, nell’ipotesi di eutanasia attiva, somministra direttamente il farmaco necessario a produrre l’evento di che trattasi; in quella passiva, invece, sospende le cure ovvero spegne i macchinari che tengono in vita la persona.
Nel nostro ordinamento giuridico, l’eutanasia attiva, il suicidio assistito e l’aiuto al suicidio sono vietati.
L’art. 580, 1° comma, del Codice Penale, invero, sancisce che “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima”.
L’eutanasia passiva, invece, dal gennaio del 2018 è regolata dalla Legge sul Testamento Biologico a tenore della quale nessun trattamento sanitario — ivi comprese la nutrizione e l’idratazione artificiali — può essere iniziato o proseguito senza il consenso «libero ed informato» della persona interessata che può, per l’effetto, rifiutarsi di sottoporvisi, anche preventivamente, ed anche se questo dovesse procurargli la morte.
La sentenza della Corte Costituzionale, nel pronunciarsi sul caso del Cappato, ha statuito la non punibilità di «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di un paziente, autonomamente e liberamente formatosi».
Quanto innanzi, comunque, soltanto a determinate condizioni.
Ed invero, dovrà trattarsi di paziente: 1) «tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale»; 2) «affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili»; 3) «pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Nel relativo comunicato, la Corte ha spiegato: 1) di aver subordinato la non punibilità al rispetto della legge sul testamento biologico; 2) che la non punibilità è subordinata anche alla verifica delle condizioni richieste e «delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente».
All’inerzia ed alla carenza di coraggio delle forze politiche e, quindi, del Legislatore, ha supplito l’audacia, fervente ed illuminata, dei giudici, insomma.
Per quanto si tratti della sentenza “di un caso singolo”, “la tutela della fragilità umana” ha, finalmente, prevalso sul principio della “sacralità della vita”: nelle more di un doveroso intervento da parte del Parlamento, o del legislatore delegato, saranno dunque i giudici a dover giudicare, singolarmente, e caso per caso.
Da pochi giorni, però, avranno uno strumento in più per far sì che il diritto, applicato alla realtà , diventi una “giusta giustizia”.
Salvatore Totò Castello
Right BLU – La Destra liberale
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Dicembre 28th, 2019 Riccardo Fucile
“SAREBBE UN BEL SEGNALE SE LE SARDINE PORTASSERO IN PIAZZA ANCHE IL DIRITTO A LIBERARE DALLA SOFFERENZA”
«Mi hanno dato dell’assassino, mi hanno paragonato a Caronte. Dicevano che godevo a
convincerli a morire per mettermi in mostra. Calunnie più o meno stupide, più o meno insidiose. Ma a poco a poco tutti hanno capito. E ora mi scrivono anche i preti per ringraziarmi».
Sono queste le parole di Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, dopo l’assoluzione decisa dalla corte d’Assise d’Appello di Milano per il suicidio assistito di Dj Fabo.
«È stata lunga e dura. E non è certo finita», confessa nel corso di un’intervista a La Repubblica.
«Non ho visto morire nessuno. Neppure Fabo. Aveva accanto la fidanzata e la madre. Con un cenno mi chiese di andarmene. Mi misi dietro la porta e gli sono grato per questo — racconta Cappato che poi cita l’ultimo sondaggio Swg sull’eutanasia, secondo il quale il 93% degli italiani — anche se in forme diverse — «è comunque con noi, favorevole all’eutanasia».
«Evidentemente anche i cattolici», aggiunge con un tono di stupore riferendosi ai messaggi ricevuti dagli uomini di Chiesa. «Speriamo allora che il Parlamento si metta in sintonia con gli italiani e faccia una legge come chiede la Corte. I numeri ci sono».
Poi esprime dispiacere. Non tanto per la posizione della Lega e di Salvini «che condanna il suicidio di Stato», quanto per la posizione del Pd che non sembra essere chiara: Zingaretti, che si era apertamente schierato a favore di una legge per l’eutanasia, adesso in politichese dice: “Trovare una sintesi”.
Infine, Cappato lancia un messaggio alle sardine: «Essendo libere dalle necessità elettoralistiche, sarebbe un bel segnale se portassero in piazza anche il diritto a liberare dalla sofferenza il corpo fisico nel quale credono così tanto. L’uso del corpo per nobilitare la politica e il consumo del corpo per salvare la politica in Italia hanno avuto un nome, un cognome e due occhi stralunati: Marco Pannella».
(da Open)
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Dicembre 22nd, 2019 Riccardo Fucile
“IL VIMINALE E’ MOLTO ATTENTO ALLE CONDIZIONI DI VITA DI TUTTI I SOGGETTI COINVOLTI E ALLE ESIGENZE DEI COMUNI CHE LI OSPITANO”
Il Ministero dell’Interno assicura che «nessuno dei 1.428 titolari di permesso di soggiorno
per motivi umanitari, attualmente presenti nel nuovo Sistema di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati (SIPROIMI), perderà l’assistenza».
Il Viminale precisa inoltre che «in vista della scadenza il prossimo 31 dicembre dei progetti in corso, per dare continuità all’azione di assistenza, l’Autorità Responsabile dei fondi europei FAMI ha già pubblicato due specifici avvisi riservati agli Enti Locali per finanziare iniziative di accompagnamento all’autonomia e all’inclusione».
La nota del dicastero guidato dalla ministra Luciana Lamorgese continua dicendo:
«Al momento i progetti finanziati sono 39 ed un nuovo bando verrà a breve pubblicato. Le progettualità avranno inizio dopo una fase accelerata di selezione».
«La continuità all’assistenza dei titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari potrà essere garantita anche utilizzando le strutture già destinate dai Comuni nell’ambito del SIPROIMI»
Spiega il ministero che la «possibilità di mantenere la sede di accoglienza attuale rientra nella discrezionalità dell’Ente Locale titolare del progetto ed è consentita dal FAMI. Rimane inoltre confermata la possibilità , qualora ne ricorrano i presupposti, di rilasciare loro un permesso di soggiorno per cure mediche o per i casi speciali previsti dalla legge (es. vittime di tratta)».
«In attesa di definire le modifiche al quadro normativo, in corso di valutazione politica, il Ministero dell’Interno è molto attento, in questa delicata fase, alle condizioni di vita di tutti i soggetti coinvolti e alle esigenze dei comuni italiani che li ospitano e delle organizzazioni che gestiscono i relativi progetti», conclude il ministero degli Interni.
(da agenzie)
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