Aprile 30th, 2011 Riccardo Fucile
DAL MANICOMIO ITALIA BERLUSCONI ASSICURA: “CON LA LEGA NESSUN PROBLEMA” , LA BRAMBILLA ANNUNCIA CHE LAMPEDUSA E’ RESTITUITA AL TURISMO PROPRIO MENTRE SBARCANO ALTRI 800 PROFUGHI E MARONI DELIRA: “I NUOVI SBARCHI CONSEGUENZE DELLE NOSTRE DUE BOMBE”
Il Senatùr è intervenuto ieri sera alla festa leghista nel capoluogo lombardo. Con lui il sindaco Letizia
Moratti.
Su Parmalat ha detto: “Non so se riusciranno a portarla via” (forse non gli hanno ancora notificato che ormai i francesi se la sono di fatto presa)
Umberto Bossi ha parlato a Milano durante la festa dei giovani padani organizzata al castello Sforzesco.
Le prime parole del Senatùr sono per la crisi libica e il contrasto con il premier.
”Oggi — ha annunciato — abbiamo presentato una mozione, la potete leggere domattina sulla Padania, in cui tra le altre cose si chiede di stabilire la data in cui si terminano le ostilità ”.
Certo, sono con le mozioni nel Parlamento italiano che si convince Gheddafi a terminare di massacrare il suo popolo.
Ma perchè il Senatur non va a farla firmare a Tripoli al suo compagno di merende, nonchè criminale di guerra e assassino di bambini, Gheddafi?
O pensa che i contendenti firmino un cessate il fuoco dopo la sua mozione patacca?
Poi Bossi ha attaccato l’opposizione: “Alla sinistra non gliene frega niente della guerra, gli interessa solo fare cadere il governo, noi siamo contrari alla guerra per un altro discorso”.
Certo, per continuare a far affogare i profughi da Gheddafi contro pagamento di 20 miliardi di euro.
Ma, chissà come mai, sulla crisi di governo il leader leghista non vuole strappi.
E così a un militante che dalla platea gli ha urlato “bisogna mandare a casa Berlusconi”, Bossi ha risposto: “Va pian”.
Parole di cautela che pochi minuti dopo sono state seguite da quelle di Berlusconi, intervenuto telefonicamente a un convegno Pdl a Gubbio. ”La nostra coalizione non corre rischi”, ha detto il premier che ha poi spiegato: “La Lega sta preparando una mozione per quanto riguarda il nostro doloroso impegno in Libia. E’ un problema questo che ha creato qualche scombussolamento e qualche fibrillazione, ma che stiamo assolutamente superando. Già ci sono le loro dichiarazioni che non hanno mai pensato di creare problemi alla nostra maggioranza”.
Intanto, velate minacce al Pdl arrivano anche dal ministro Maroni intervenuto in serata a Desio che la spara più grossa del solito: “I nuovi sbarchi sono conseguenza delle bombe”.
Peccato che i nuovi arrivati siano in gran parte partiti dalla Tunisia e pure prima che sganciassimo due-bombe-due: che c’entrano con i bombardamenti italiani lo sa solo lui.
Da Milano, poi, Bossi, archiviato l’argomento Libia, ha confermato il sostegno alla Moratti, ma con un avvertimento: “Questa volta ti controlliamo”.
Prima si vede che i leghisti hanno dormito per 5 anni.
Ridicoli.
E poi: “Penso che il sindaco di Milano che sarà eletto avrà un vantaggio rispetto a quelli precedenti: avrà un sacco di soldi in più grazie al federalismo fiscale”.
Ma certo: con le nuove tasse che applicherà ai cittadini grazie al federalismo, avrà più soldi da sputtanare, concordiamo.
Il manicomio Italia continua.
Tranquilli: quelli dalle poltrone non si smuovono neanche se Gheddafi li bombardasse con gli ordigni a grappolo.
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Aprile 24th, 2011 Riccardo Fucile
UNO STUDIO SINDACALE SUGLI EFFETTI DELLA RIFORMA VOLUTA DALLA LEGA PORTA A UNA VERITA’: BEN 3.500 COMUNI ITALIANI AUMENTERANNO LE ADDIZIONALI IRPEF PER RIENTRARE DEI TAGLI SUBITI DALLA FINANZIARIA
“Aumento delle tasse in vista per oltre 16 milioni di cittadini. E ad essere colpiti saranno, ancora una
volta, i lavoratori dipendenti e i pensionati dei circa 3.500 Comuni che dovranno, soffocati dai tagli, aumentare le addizionali Irpef, così come previsto dal federalismo municipale”.
A lanciare l’allarme è luno studio condotto dal Dipartimento politiche economiche della Cgil sugli effetti legati all’entrata in vigore del decreto sul federalismo fiscale municipale.
Il provvedimento, approvato con voto di fiducia, “prevede infatti la possibilità per i Comuni di aumentare le addizionali Irpef, ovvero l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Una possibilità però, come prevede il decreto, non concessa a tutti i Comuni ma solo a quelli che attualmente applicano un’aliquota addizionale inferiore allo 0,4%. A questi infatti il decreto sul federalismo municipale dà una possibilità di incremento annuo dello 0,2% (potenzialmente per due anni fino allo 0,4%, che sembra rappresentare il tetto del massimo aumento possibile). Una eventualità concessa ai soli Comuni che non hanno sforato già tale tetto perchè in tanti hanno già deliberato addizionali superiori allo 0,4% (fino allo 0,9%, come per il comune di roma) e quindi non hanno la possibilità di incremento nè tantomeno l’obbligo di riduzione”.
Questo nei fatti si tradurrà “in un ovvio consolidamento delle addizionali comunali in ogni Comune d’italia senza nessuna prospettiva di risparmio fiscale per i cittadini e, soprattutto, in modo del tutto disparato e diseguale”.
In questo senso, “tra aumenti e mancate riduzioni, si tratta di una misura che interessa tutti i Comuni”.
Dati i tagli realizzati dal governo, anche con l’ultima manovra estiva (pari a 1,5 miliardi di euro nel 2011 e 2,5 miliardi nel 2012 solo per i municipi), lo studio sostiene che “i Comuni si avvarranno di questa facoltà per recuperare almeno parte di queste minori entrate”.
In particolare, quelli che probabilmente aumenteranno le addizionali sono circa 3.500: il 44% del totale dei comuni italiani, che vede coinvolti oltre 16 milioni di cittadini.
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Aprile 24th, 2011 Riccardo Fucile
I PRIMI FRUTTI DEL FEDERALISMO LEGHISTA, PIU’ TASSE PER TUTTI: NEL DECRETO LEGGE APPROVATO DAL GOVERNO FORTI AUMENTI PER L’IPT, L’IMPOSTA PER LA TRASCRIZIONE AL PRA
Stangata federalista per gli automobilisti italiani.
Dopo lo sblocco delle addizionali comunali Irpef e l’introduzione della tassa di soggiorno, il decreto legge sul federalismo fiscale regionale e provinciale, approvato in via definitiva il 31 marzo dal Consiglio dei ministri, riserva una amara sorpresa per chi comprerà una autovettura: prima dell’estate scatteranno salati rincari dell’Imposta provinciale di trascrizione, quella che si paga sui passaggi di proprietà delle autovetture nuove e usate.
Rincari che arriveranno, in alcuni casi, fino 600% delle attuali tariffe.
La sorpresa è contenuta all’articolo 13 (Tributi connessi al trasporto su gomma), comma 5-bis del decreto che sta per uscire sulla Gazzetta Ufficiale. Il decreto dovrà essere oggetto solo di un ulteriore provvedimento attuativo da parte del ministero dell’Economia che entro fine maggio farà scattare gli aumenti.
Il testo abolisce il vantaggio fiscale che gli automobilisti hanno oggi quando acquistano un veicolo nuovo o usato da un concessionario: attualmente chi compra un’auto da un soggetto Iva, un concessionario o un salonista, paga semplicemente l’Imposta provinciale di trascrizione (in sigla l’Ipt) in cifra fissa. Varia, a seconda delle province, da 151 a 196 euro ed è indipendente dai kilowatt dell’auto acquistata.
Diverso, e più oneroso, è attualmente il trattamento per chi compra un’auto da un privato che non è soggetto all’Iva.
Chi segue questa strada è tenuto a pagare l’Ipt in modo proporzionale.
Se l’auto è sotto i 54 kw (è il caso, ad esempio, di una Fiat Panda) paga 196 euro.
Ma se la potenza massima cresce, allora la tassa provinciale sale proporzionalmente fino ad arrivare a prevedere – per un passaggio di proprietà di una Bmw X6, ad esempio – ben 1.026 euro di imposta.
Tra circa un mese le cose cambieranno e l’aggravio previsto per chi compra da un privato si allargherà anche a coloro che compreranno auto nuove o usate da un concessionario o da un salonista.
Con la nuova norma, i compratori dovranno prepararsi a sborsare molto di più di quanto contano di spendere oggi.
Solo le piccole utilitarie sotto i 54 kw si salveranno; per le altre auto gli aumenti saranno stratosferici: si andrà , ad esempio, da oltre il 100 per cento per cento in più di Ipt per una Golf Volkswagen, al 423 per cento di una Mercedes Classe Cls, fino al 683 per cento per i fortunati che possono permettersi una Ferrari California.
Al di là delle macchine più costose, la gran massa degli aumenti colpirà le medie cilindrate con aumenti che raggiungeranno il 100 per cento.
Nel mirino anche le piccole imprese di trasporto: rincari del 300 per cento per gli autocarri oltre gli 80 quintali.
Per le Province, di cui molti auspicano l’abolizione, arrivano così nuove risorse: gli aumenti della Ipt dovrebbero consentire di incamerare circa 300-400 milioni che si sommeranno ai circa 3 miliardi che le Province, tra l’imposta sulla Rc auto e Ipt, spremono dall’automobilista.
Sono i primi frutti della patacca federalista.
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Aprile 18th, 2011 Riccardo Fucile
GOVERNO PDL-LEGA: GRAZIE ALLE ADDIZIONALI LOCALI ALL’IRPEF PREVISTE DALLA LEGGE SUL FEDERALISMO, VOLUTA DALLA LEGA E AVALLATA DAL PDL…UNA RIFORMA INCOMPIUTA CHE NON GIUSTIFICA CERTO ENTUSIASMI FUORI LUOGO: SI PARLA DI MAGGIORI TASSE PARI A 1000 EURO A TESTA
Il numero segreto del federalismo è 10 miliardi di euro. 
E’ questo il conto che i cittadini onesti, quelli che pagano le imposte sui redditi, potrebbero ritrovarsi a saldare per garantire quel principio di autonomia delle comunità locali che sta alla base della riforma più importante del governo in carica.
Qui non si tratta di tasse e imposte che già si pagano a Roma e che, con la rivoluzione architettata dai ministri Roberto Calderoli e Giulio Tremonti, verranno almeno in parte dirottate su città , Province e Regioni.
I 10 miliardi sono una cosa diversa. Sono il prezzo della libertà .
Sono i quattrini che i sindaci e i presidenti delle Regioni potranno chiedere in più alle persone che abitano nei loro municipi, nei loro territori.
Per questo si chiamano “addizionali”: sono maggiorazioni che Comuni e Regioni possono introdurre sull’Irpef, l’imposta sui redditi.
Le addizionali, in realtà , esistono già dal 1998.
Negli ultimi anni, però, il loro incremento era stato bloccato per legge, facendo storcere il naso agli autonomisti più convinti, al fine di impedire che gli enti locali avessero sul fisco una mano troppo pesante.
Con la riforma ormai giunta al dunque gli aumenti sono stati nuovamente autorizzati, in virtù del principio fondamentale che dovrebbe valere per ogni federalismo: il poter godere della libertà di spendere le risorse che gli amministratori hanno il coraggio di chiedere – sotto forma di imposte o di tasse – ai loro elettori.
L’autonomia responsabile, come la chiamano gli esperti.
I sindaci che non l’avevano ancora fatto in passato potranno così esigere fino a un tetto massimo dello 0,4 per cento del reddito delle persone fisiche.
Da parte loro i governatori regionali potranno invece inasprire il balzello (ma solo a partire dal 2013) con quote variabili fra l’1,4 e il 3 per cento, a seconda delle fasce di reddito dei contribuenti.
Quale sia l’effetto ipotizzabile di questo “liberi tutti” ha provato a calcolarlo l’ufficio studi della Cgia di Mestre, l’associazione degli artigiani e delle piccole imprese della provincia veneziana.
Nel 2010 le addizionali regionali in vigore, quelle congelate da tempo, hanno garantito un gettito fiscale di 7,1 miliardi per le casse delle Regioni e di 2,7 miliardi per quelle dei Comuni.
Se d’ora in poi sindaci e governatori ricorreranno a questa possibilità nella misura massima consentita, nel 2015 il flusso complessivo delle addizionali salirà a 19,7 miliardi.
A regime il grosso andrà sempre ai governatori (16,6 miliardi, più del doppio del livello del 2010), mentre i sindaci dovranno accontentarsi di un semplice ritocco di 400 milioni (fino a 3,1 miliardi).
Queste tabelle sintetizzano quale potrà essere l’effetto per persone con tre diversi livelli di reddito delle due addizionali: comunale e regionale.
Un milanese che guadagna 25 mila euro lordi l’anno e che nel 2010 aveva pagato in tutto 263 euro potrà arrivare a 850 nel 2015.
Così suddivisi: 100 al sindaco Letizia Moratti, alla quale finora non aveva versato nulla, e 750 al governatore Roberto Formigoni, che fino adesso gli aveva chiesto 263 euro.
Per rimanere agli esempi elaborati dalla Cgia di Mestre, i più fortunati – si fa per dire – sono i cittadini di Roma e Palermo con un reddito di 15 mila euro l’anno.
A loro, che già pagano addizionali al top, il federalismo riserva la magra consolazione di chiedere un conto pari a zero, almeno sul fronte delle addizionali Irpef.
A Bari, Firenze e Milano, invece, l’opzione di aumentare l’imposta riaperta per sindaci e presidenti regionali potrebbe costare parecchio: oltre mille euro l’anno in più per quei contribuenti che dichiarano un reddito di 50 mila euro.
Questi numeri danno spazio a diverse considerazioni.
La prima è che non è fin d’ora scontato che tutti gli amministratori applichino le addizionali previste.
Certo, il drastico taglio negli ultimi anni delle risorse distribute da Roma agli enti locali rende l’ipotesi probabile, almeno in molti casi.
Chi vorrà farlo, però, dovrà assumersi la responsabilità di chiarire agli elettori quali siano i suoi obiettivi.
Tremonti ha lasciato la possibilità di aumentare le addizionali a chi, ad esempio, ridurrà l’Irap, l’imposta sulle attività produttive, molto mal vista dagli imprenditori e da quei lavoratori autonomi che sono tenuti a pagarla. Assecondare i desideri di una parte così influente dell’elettorato, tuttavia, vorrebbe dire trasferirne il costo a chi, come i lavoratori dipendenti e gli autonomi onesti, è già oggi costretto a versare allo Stato più del 50 per cento dei propri guadagni, come ha calcolato Giuseppe Bortolussi nel libro “Tassati e mazziati”, da poco giunto in libreria.
La seconda considerazione è che i 10 miliardi di sacrifici che la riforma potrà chiedere ai contribuenti italiani in nome dell’autonomia fiscale sono, per certi versi, una cifra troppo modesta, almeno agli occhi dei federalisti più convinti. “A ben vedere stiamo parlando del 5 per cento dei 200 miliardi di costi che, nel complesso, le Regioni arriveranno con ogni probabilità a sostenere nel 2015”, dice Gilberto Muraro, professore di Scienza delle Finanze a Padova, che vede proprio nei troppi limiti all’autonomia degli enti locali la grande delusione della riforma Calderoli-Tremonti, colpevole di lasciare il grosso del gettito fiscale di ogni territorio eccessivamente vincolato alle scelte del governo centrale.
“Purtroppo dobbiamo parlare di una riforma incompiuta: per questo motivo è preoccupante l’attesa quasi miracolistica che la Lega ha creato attorno al federalismo, come se da un giorno all’altro le regioni settentrionali dovessero ritrovarsi a nuotare nell’oro e quelle meridionali a cavarsela con le proprie forze”, dice Muraro.
Per l’economista, al contrario, gli effetti della riforma rischiano di essere fin troppo lenti: “Credo che, al massimo, darà qualche frutto se riuscirà a creare nel Mezzogiorno una classe politica più adeguata e onesta, permettendo alle regioni del Nord di ridurre progressivamente il costo dell’assistenzialismo”, spiega.
Per toccare con mano questi paradossi può essere utile qualche calcolo.
A elaborarli è stata una fonte ufficiale, la Ragioneria dello Stato, su richiesta della Commissione tecnica per l’attuazione del federalismo (detta Copaff).
I calcoli mostrano l’applicazione della riforma della sanità secondo la ricetta voluta da Calderoli e Tremonti.
Risultato: con le nuove regole le Regioni del Nord avrebbero avuto meno risorse per la sanità di quelle che avevano ottenuto nel 2010; quelle del Sud ne avrebbero avute di più.
La reazione dei governatori del Nord, e di Formigoni in particolare, pare sia stata immediata: non se ne fa nulla, le regole appena decise vanno cambiate. Così i tecnici di Tremonti hanno dovuto rimettersi al lavoro.
(da “L’Espresso“)
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Aprile 9th, 2011 Riccardo Fucile
LA CORTE COSTITUZIONALE BOCCIA I DIVIETI ANTI-ACCATTONAGGIO E ANTI-LUCCIOLE ADOTTATI DA DIVERSI COMUNI, IN SEGUITO ALLA LEGGE DEL 2008…IN PASSATO ERA GIA’ STATO BLOCCATO IL REATO DI CLANDESTINITA’ INTESO QUALE AGGRAVANTE
Nuovo stop della Consulte alle misure contenute nel pacchetto sicurezza
varato dal governo nel 2008.
Questa volta a finire nel mirino dei giudici costituzionali sono stati i poteri che la legge attribuiva ai “sindaci-sceriffi” e che ne avevano approfittato per prendere misure anti-accattonaggio o anti-lucciole in numerose città d’Italia. La Corte Costituzionale ha infatti bocciato la legge 125 del 2008 nella parte in cui consente che il sindaco adotti provvedimenti “a contenuto normativo ed efficacia a tempo indeterminato” per prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano la sicurezza urbana, anche al di fuori dai casi di “contingibilità e urgenza”.
A sollevare la questione dinanzi alla Consulta è stato il Tar del Veneto, cui si era rivolta l’associazione ‘Razzismo stop’ contro l’ordinanza anti-accattonaggio del sindaco di Selvazzano Dentro.
I giudici costituzionali, con la sentenza n. 115 scritta da Gaetano Silvestri, hanno ritenuto violati gli articoli 3, 23 e 97 della Costituzione riguardanti il principio di eguaglianza dei cittadini, la riserva di legge, il principio di legalità sostanziale in materia di sanzioni amministrative.
Le ordinanze dei sindaci, così come previste dal ‘pacchetto sicurezza’ – scrive la Consulta – incidono “sulla sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate, ponendo prescrizioni di comportamento, divieti, obblighi di fare e di non fare, che, pur indirizzati alla tutela di beni pubblici importanti, impongono comunque, in maggiore o minore misura, restrizioni ai soggetti considerati”.
Ma – fa notare la Corte – “la Costituzione italiana, ispirata ai principi fondamentali della legalità e della democraticità , richiede che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, possa essere imposta, se non in base alla legge”, così come previsto dall’art. 23 della Carta.
Pertanto – sottolinea la sentenza – “nel prevedere un potere di ordinanza dei sindaci, quali ufficiali del Governo, non limitato ai casi contingibili e urgenti”, il ‘pacchetto sicurezza’ “viola la riserva di legge relativa” perche ‘ non prevede una qualunque delimitazione della discrezionalità amministrativa in un ambito, quello della imposizione di comportamenti, che rientra nella generale sfera di libertà dei consociati”.
“Questi ultimi – aggiunge la Corte – sono tenuti, secondo un principio supremo dello Stato di diritto, a sottostare soltanto agli obblighi di fare, di non fare o di dare previsti in via generale dalla legge”.
Ma c’è di più: la “assenza di una valida base legislativa” nell’amplio potere di ordinanza conferito ai sindaci non solo “incide negativamente sulla garanzia di imparzialità della pubblica amministrazione” ma – afferma la Consulta – lede anche il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge (art. 3 della Costituzione).
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Marzo 31st, 2011 Riccardo Fucile
DALL’ARRIVO DELLA GIUNTA ZAIA VENGONO LIQUIDATI SOLO GLI ACCONTI, OVVERO IL 60% DELLA CIFRA…I PAGAMENTI SONO IN RITARDO PERCHE’ MANCANO I SOLDI: TAGLI AL SOCIALE, MA AUMENTI DEGLI STIPENDI DEI CONSIGLIERI REGIONALI
Quanto costa in Veneto mantenere una madre malata e invalida al 100 per cento, se si aggiunge magari anche un padre da assistere?
Mamma e papà anziani costano ai familiari 2.500 euro solo di assistenza, poi c’è il resto.
Oltre la metà se ne va per la madre, che ha 79 anni e la necessità di due badanti straniere (“pagate in nero perchè per metterle in regola si arriva a tirar fuori il doppio, e non ce lo possiamo permettere”).
La prima badante, una ragazza serba da qualche anno a Vicenza, si occupa della mamma invalida giorno e notte con qualche ora di riposo al pomeriggio, due o tre ore al massimo durante le quali viene sostituita dall’altra badante, serba pure lei.
Quindi?
Siamo a Vicenza, ma potremmo essere in qualsiasi altro luogo del Veneto e d’Italia.
Ecco la storia.
Una mamma anziana si ammala, ha il morbo di Parkinson.
All’inizio i figli decidono di assisterla facendo turni settimanali, notti comprese. Poi il morbo degenera, e la fatica di andare al lavoro per chi ha assistito di notte la mamma diventa pesantissima.
Si decide di prendere una badante; ma presto anche lei avrà bisogno di alternarsi qualche ora con un’altra badante, per riposare e seguire le proprie cose.
“Dobbiamo ringraziare queste persone che curano i nostri anziani con amore e professionalità , senza di loro saremmo disperati” racconta uno dei figli dell’invalida, sposato e padre di una ragazza di 20 anni, un lavoro da dipendente in un’azienda privata e un mutuo sulle spalle. “Come me anche gli altri fratelli hanno famiglia, figli e mutuo; tutti abbiamo molte spese, ma per la mamma nessuno si è mai tirato indietro”.
Quando la situazione peggiora e la signora diventa invalida al 100 per cento i fratelli decidono di fare domanda in Regione per un aiuto. “Eravamo tutti allo stremo delle forze e dei soldi”.
La signora di Vicenza viene inserita, come molti altri nelle sue condizioni, in un finanziamento erogato dai servizi sociali regionali, un “assegno di cura” destinato alle persone non autosufficienti allo scopo di “sostenerle nella scelta di continuare a vivere nel proprio domicilio”, si legge nel bando.
Tradotto in cifre, l’inferma riceve 320 euro mensili per essere curata tra le mura domestiche.
Poca cosa rispetto ai costi reali, ma è già qualcosa.
Negli ultimi due anni però la cifra si assottiglia.
“Dall’arrivo della giunta Zaia in Regione — racconta uno dei figli — ci vengono liquidati solo degli acconti, circa il 60 per cento dell’intero importo”.
Da due anni arrivano in casa 190 euro in due soluzioni semestrali, per coprire tutte le spese di un’invalida che necessita di cure costanti giorno e notte.
Un giorno forse arriverà il saldo.
“Siamo andati all’ufficio servizi sociali di Vicenza — raccontano i familiari — dove una signora gentile ci spiega che non ci sono soldi, e quindi in Regione sono indietro di un anno e mezzo con il saldo”.
L’ultima di queste visite è la più preoccupante: “L’impiegata ci ha spiegato che forse dalla fine dell’anno non riceveremo più nemmeno l’acconto al 60 per cento, perchè i fondi sono terminati”.
In Regione non confermano e non smentiscono ufficialmente. “Ci hanno detto che sono in ritardo con il saldo per mancanza di fondi ma arriverà — dice uno dei figli — non capiamo però la compatibilità tra tagli al sociale e aumento sostanzioso di stipendio dei consiglieri regionali appena varato”.
Per quanto riguarda la cessazione dell’assegno, la risposta è ancora più vaga: “Sarà una decisione politica in cui verranno coinvolti anche i sindaci”.
In sostanza i sindaci decideranno se la Regione dovrà investire sulle case di cura per anziani, dove ci sono liste d’attesa lunghissime e costi che arrivano a 1.500 euro a testa, o sui contributi da dare per essere curati a domicilio.
Un’emergenza destinata a triplicarsi, mentre la scure dei tagli si abbatte soprattutto sulle spese destinate al sociale, almeno 50 milioni in meno nell’ultimo bilancio.
“Noi li tiriamo fuori con il cuore i soldi per la mamma — concludono i figli dell’inferma di Vicenza — ma quando non ce la faremo più chi ci aiuterà ?”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 21st, 2011 Riccardo Fucile
SBLOCCATE LE ADDIZIONALI REGIONALI, NUOVE TASSE SUL RUMORE E SUI SUV…PIU’ TASSE IN MEDIA DI 230 EURO A TESTA….CHI HA UN REDDITO SUPERIORE A 28.000 EURO NEL 2015 PAGHERA’ 862 EURO IN PIU’…GRAZIE LEGA!
Si appesantisce la stangata che il federalismo porterà nelle tasche degli italiani.
Il nuovo testo sul fisco regionale e provinciale, contenuto nel parere del relatore di maggioranza al provvedimento, Massimo Corsaro (Pdl), scongela anche l’ultimo ostacolo rimasto sulla strada dell’aumento delle addizionali regionali: i governatori avranno mani libere fin da quest’anno.
In sostanza quelle Regioni che non hanno sfruttato la possibilità di portare l’aliquota al tetto massimo dell’1,4 per cento adesso potranno farlo liberamente avendo a disposizione un anticipo di un anno rispetto alla precedente stesura del provvedimento che apriva le porte agli aumenti solo dal 2012.
Come è noto la corsa dei rincari non si fermerà qui: il decreto conferma la scalettatura delle possibilità di aumento delle aliquote che stabilisce il tetto del 2 per cento nel 2014 e del 3 per cento nel 2015.
Secondo uno studio della Uil, se tutte le Regioni si avvalessero della possibilità di portare l’aliquota al 3 per cento nel 2015, l’aggravio sarebbe di 226 euro pro-capite (82,8 per cento) con punte che possono arrivare, per le fasce sopra i 28 mila euro, a 862 euro.
Lo scongelamento delle aliquote regionali fa il paio con quello delle addizionali comunali, contenuto nel contrastato decreto sul federalismo municipale: in base a questo testo già da quest’anno sono possibili gli aumenti delle addizionali comunali in quei municipi sotto lo 0,4 per cento (0,2 nel 2011 e 0,2 nel 2012).
In totale, se tutti i Comuni facessero scattare i rincari, per il contribuente medio ci sarebbe un esborso di 94 euro (+63,9 per cento).
Il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha tenuto a sottolineare il senso dell’intera operazione.
“Non è un esercizio finanziario ma politico e di democrazia”, ha detto il ministro a Cernobbio ed ha aggiunto che il federalismo “non si fa solo sulle entrate ma anche sulle uscite” e ci “mette in linea con la morale pubblica”.
Beati lui che pensa sia morale pagare sempre più imposte.
La partita delle tasse tuttavia non è finita.
Il nuovo testo del decreto prevede che le Regioni potranno disporre anche delle imposte sulle “emissioni sonore degli aeromobili”, la cosidetta “tassa sul rumore”. A
rriva anche la possibilità per le Province (così come previsto per i Comuni) di introdurre una tassa di scopo per la costruzione di opere pubbliche.
Tra i tributi propri delle Regioni rispunta anche la maxi tassa sui Suv che potrebbe essere applicata riscuotendo 8 euro su ogni kw eccedente i 130: sarà destinata a finanziare il trasporto pubblico locale.
La misura potrebbe essere presentata lunedì nel nuovo testo che il ministro Roberto Calderoli si appresta a portare in Commissione e potrebbe essere già oggetto di valutazione nella Conferenza delle Regioni e delle Province autonome che si riunirà il giorno successivo.
Il via libera al federalismo rimane infatti, per le Regioni, condzionato ai finanziamenti per il trasporto pubblico locale: se non verranno ripristinati i 420 milioni tagliati alle Regioni per il 2011, è possibile che queste trasformino il parere sul federalismo in “contrario”.
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Marzo 15th, 2011 Riccardo Fucile
INDEGNO SPETTACOLO DEI CIALTRONI LEGHISTI ALLA PRIMA SEDUTA INTRODOTTA DALL’INNO DI MAMELI…IL PDL FA FINTA DI LAMENTARSI E LA RUSSA PARLA DI “VIGLIACCHI”: MA I VIGLIACCHI VERI SONO QUELLI CHE CONTINUANO A GOVERNARE CON LA FECCIA PADAGNA
Alla «prima» dell’inno di Mameli eseguito nell’aula del Consiglio regionale della Lombardia
in onore dei 150 anni dell’Unità d’Italia, i leghisti, come annunciato alla vigilia, non hanno partecipato.
Gli esponenti della Lega Nord nel Consiglio, che si erano opposti alla legge regionale che prevedeva l’esecuzione dell’inno nazionale nella seduta di oggi, sono usciti dal’Aula prima dell’esecuzione patriottica che ha dato il via alla seduta per celebrare il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia.
Per il Carroccio era in Aula solo il presidente del Consiglio regionale, Davide Boni, per svolgere il suo ruolo istituzionale.
Gli esponenti della Lega, si sono fermati a prendere un caffè alla buvette.
Un gesto abbastanza prevedibile, quello della Lega già contraria alla festa del 17 marzo, ma che comunque ha creato scalpore prima ancora di venir messo in pratica.
Il governatore Roberto Formigoni, come annunciato, era invece in aula, con una spilla con il simbolo 150 sulla giacca.
«Settanta secondi di Inno di Mameli non fanno male a nessuno, sono un simbolo importante di quello che siamo», ha commentato, all’uscita dei consiglieri leghisti. «Da lombardi partecipiamo alla festa del tricolore. La Lombardia ha avuto una parte molto grande nella costituzione dell’Unità di Italia, abbiamo dato un contributo di sangue e di ideali e oggi continuiamo ad essere la locomotiva dello sviluppo dell’Italia in Europa e nel mondo».
Il presidente Boni, presente in aula «suo malgrado», ha poi commentato: «Purtroppo non ho potuto bere il cappuccino con gli altri del mio gruppo. Ero in Aula perchè sono il presidente di tutti, ma idealmente non l’ho sentito”
Boni ha infine dato ordine ai commessi di evitare che durante l’esecuzione dell’Inno venissero sventolati Tricolori. «Queste cose – ha ribadito – vanno fatte con sobrietà e solennità nel rispetto di tutti, non come se fossimo una squadra contro l’altra».
«Penso che il miglior modo per onorare le istituzioni sia lavorare nell’interesse dei lombardi». Così il vicepresidente della Regione Lombardia, Andrea Gibelli, mentre sui leghisti si scatena la bufera delle polemiche.
«È gravissimo che i consiglieri regionali lombardi della Lega siano usciti oggi durante l’esecuzione dell’inno di Mameli. È un vero e proprio schiaffo al Paese. Se non si sentono italiani si dimettano e rifiutino il lauto stipendio che gli arriva puntuale a fine mese», afferma il portavoce dell’Italia dei Valori, Leoluca Orlando.
«Chi non riconosce lo Stato che governa – afferma in una nota Alessandro Maran, vicepresidente dei deputati del Pd – dovrebbe trarne le conseguenze. Non si può essere ministri, governatori, sindaci, assessori, consiglieri di un esecutivo nazionale, di una regione, di una provincia e di una città se non si approva l’ordinamento dal quale queste articolazioni discendono.
Dal canto suo Alessandro Pignatiello, coordinatore della segreteria nazionale del PdCI-Federazione della sinistra, ritiene «intollerabile che i consiglieri regionali lombardi della Lega siano usciti oggi durante l’esecuzione dell’inno di Mameli.
I leghisti che fanno parte del governo o si dissociano pubblicamente da quanto fatto dai loro colleghi di partito a Milano o escano immediatamente dal governo nazionale della Repubblica italiana, che come recita la Costituzione è una e indivisibile, e sulla quale hanno giurato prima di fare i ministri. La Lega è secessionista. Chi non lo ha ancora capito continua a fare del male al Paese e alla sua unità , che ipocritamente festeggia ma che nei fatti calpesta ogni giorno».
Dura presa di posizione dell’assessore lombardo alla Sicurezza e coordinatore provinciale milanese del Pdl, Romano La Russa, contro la decisione leghista di disertare l’aula. «Oggi è una data importante e significativa per la nostra regione, giorno di gioia e di orgoglio, ma per qualcuno è anche la più triste della vita politica lombarda – sostiene il fratello di Ignazio La Russa, in una nota – Totale disprezzo per il gesto inqualificabile di quei consiglieri che si sono rifiutati di entrare in aula durante l’esecuzione dell’inno nazionale».
«Chi non rende onore alla propria bandiera – continua – al proprio inno e alla Patria non può che essere definito vigliacco e la sua esistenza meschina».
Ma allora qualcuno ci spieghi chi è più vigliacco: chi lascia l’aula durante la esecuzione dell’inno nazionale della propria Nazione o chi condanna l’episodio ma dopo due minuti è al governo regionale con simile feccia?
Caro La Russa, sei senza palle: se fossimo stati al tuo posto, stamane avrebbero dovuto chiamare il reparto mobile per sedare la rissa in Consiglio e stai tranquillo che domani sarebbe già indette nuove elezioni.
Da una parte i pataccari padagni, dall’altra tutti gli altri partiti, uniti in una coalizione di liberazione dai razzisti.
E poi vediamo come andrebbe a finire: magari qualcuno che oggi è andato al bar sarebbe costretto a tornare a lavorare, ammesso che abbia mai lavorato in vita sua.
argomento: Berlusconi, Bossi, Costume, denuncia, elezioni, emergenza, federalismo, governo, LegaNord, PdL, Politica, radici e valori, Regione | 5 commenti presenti »
Marzo 14th, 2011 Riccardo Fucile
BOSSI VUOLE MANI LIBERE E CANDIDATURE PROPRIE SOLO NEI COMUNI NON CAPOLUOGO….MA NELLE SEZIONI DELLE CITTA’ PIU’ GRANDI SCOPPIA LA PROTESTA: “ALLORA ANCHE NOI VOGLIAMO CORRERE DA SOLI”… E SALVINI A MILANO VIENE MESSO NELL’ANGOLO
La Lega molla il Pdl nelle città non capoluogo e si prepara a correre da sola alle
amministrative di maggio.
Se a livello nazionale l’arma di ricatto di Bossi per ottenere il federalismo è la richiesta di nuove poltrone e la minaccia di elezioni, sul territorio il Senatur fa pesare i voti della Lega passando allo scontro frontale con il partito di Berlusconi.
E, in qualche modo, agevolando il centrosinistra.
Lunedì sera il consiglio federale della Lega Nord ha deciso: mani libere, non solo nei comuni sotto i 15mila abitanti, ma anche nelle città più grosse, che non sono capoluogo di provincia.
Comuni anche medio-grandi, in alcuni casi oltre i 50mila abitanti.
Una scelta che però rischia di creare un effetto domino.
Anzi lo sta già creando.
A Varese, per esempio.
Il feudo storico della Lega, terra d’origine di Bossi e Maroni, è in subbuglio, perchè nel capoluogo, a differenza delle città principali della provincia, la corsa del sindaco uscente Attilio Fontana dovrà essere in coabitazione con il Pdl “per accordi sovra provinciali”.
Il segretario cittadino Carlo Piatti non vuole sentire ragioni: “La sezione è compatta nel voler correre da sola”, spiega al quotidiano La Provincia di Varese. “L’umore della base è di sicuro quello della corsa solitaria”.
Aggiunge il carico un assessore uscente, Fabio Binelli: “Non si vede perchè, se la possibilità di correre da soli è stata data a tutti, debba essere esclusa la sezione più grossa e combattiva della Lombardia”.
Insomma, la base leghista, se potesse scegliere, non avrebbe dubbi e mollerebbe il Pdl. Ovunque.
E Bossi, questa reazione, non può non averla messa in conto.
Forse l’ha addirittura auspicata.
L’unico escamotage architettato dai vertici leghisti per passare alle vie di fatto anche nelle città capoluogo è l’ipotesi di tradimento del Popolo della libertà : Bossi ha infatti posto un veto politico su Udc e Fli, colpevoli di ostacolare il federalismo a Roma e quindi non meritevoli di alleanze in comuni e province. Se il Pdl proponesse alleanze anche con i centristi e i finiani, allora l’accordo sovra-provinciale salterebbe.
E la Lega sarebbe pronta a lanciare la sfida anche nelle realtà più grosse.
La rottura nei territori governati da sindaci leghisti (sostenuti finora da tutto il centrodestra) riporta la memoria a 14 anni fa. 1997.
Allora, come nel ’93, la Lega secessionista del periodo post-ribaltone sfidò apertamente Forza Italia. E in molti casi trionfò.
Il Pdl, dal canto suo, non digerisce l’idea delle mani libere padane nei comuni di media dimensione.
Maurizio Lupi, vicepresidente della Camera, lo dice chiaramente: “L’alleanza di centrodestra deve vivere in tutti i comuni sopra i 15mila abitanti, per dare continuità tra governo ed enti locali”
Ma se, come dice Bossi, “l’intesa per le amministrative in linea di massima è stata trovata e si deciderà lista per lista”, è proprio nelle gerarchie del suo partito che il Senatùr deve mettere ordine.
Perchè il rischio è che la base non veda di buon occhio anche certe imposizioni apparentemente immotivate.
Ad esempio l’uscita “a freddo”, in cui il ministro delle Riforme ha bocciato la candidatura a vicesindaco di Milano di Matteo Salvini.
“Non credo proprio”, ha detto il Senatùr sull’eventualità di una candidatura del direttore di radio Padania.
E già poche ore dopo i giornali facevano salire le quotazioni di Davide Boni, attualmente presidente del consiglio regionale lombardo.
Ma perchè Bossi ha bocciato senza giri di parole un nome che ha sicuramente un buon bacino elettorale tra i milanesi?
Una risposta prova a darla Barbara Ciabò, esponente finiana e presidente della commissione Casa in Comune: “Bossi fa fuori tutti quelli che in futuro potrebbero competere con suo figlio, Renzo Bossi “il Trota”. Sta preparando il campo per lui. Non per questa tornata elettorale, ma per il futuro. Così accompagna alla porta tutti quelli, come Salvini, che sono ben radicati a Milano e che in futuro potrebbero assumere una leadership cittadina”. Secondo Ciabò questa decisione “è frutto di una faida interna alla Lega. Un partito che è fuori dalla democrazia, ha una logica monarchica, esattamente come il Pdl”.
Dichiarazioni che trovano una conferma nel silenzio tombale in cui si è chiuso l’europarlamentare e consigliere comunale Salvini. “Gli elettori leghisti, però — conclude Ciabò — cominciano a non sopportare più le manovre di palazzo e i veti”.
Così la Lega, con la sua strategia equivoca rispetto al Pdl e con quella (meno equivoca) rispetto ai posti di potere all’interno del movimento, rischia di confondere i suoi elettori.
E di stancare buona parte dei suoi dirigenti di punta.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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