Agosto 10th, 2013 Riccardo Fucile
GIUDIZIO POLITICO NETTO SUL DIKTAT IMPOSTO DAL PDL
Il dossier del ministero dell’Economia, decisamente critico verso l’ipotesi di abolizione dell’Imu, ha aperto il fronte.
Poi sono arrivati il diktat di Berlusconi a Letta (che aveva tentato di minimizzare) e la controreplica di Epifani.
E ora scende in campo anche Mario Monti, che attacca senza mezzi termini il Pdl. Che il nodo Imu fosse il principale nervo scoperto delle larghe intese era cosa nota. Ma nelle ultime 48 ore il tema è tornato a essere il vero banco di prova per la tenuta del governo.
Con un fuoco incrociato tra tutti gli azionisti della maggioranza. Anche se, probabilmente, l’aut-aut del Cavaliere è più una prova di forza per mettre sul piatto il proprio salvacondotto dopo la condanna.
La notizia di oggi, comunque, è il ritorno sulla scena dell’ex premier Mario Monti nella versione “aggressiva” della campagna elettorale, quella che non risparmia giudizi e stoccate a B.
A differenza di Epifani, che nell’intervista a L’Unità si è limitato a smentire che l’abolizione dell’Imu fosse un punto concordato, Monti si concede un giudizio politico.
Una valutazione diretta sulla strategia berlusconiana: “Scelta Civica si opporrebbe, come altri, a richieste eccessive del Pdl in materia di Imu, non coerenti nè con la situazione economico-finanziaria del Paese, nè con gli impegni del governo e della maggioranza”, scrive Monti in un editoriale sul sito del suo movimento.
“Nessuno potrà trincerarsi dietro asserzioni apodittiche e venate di prepotenza. Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato nei giorni scorsi un’analisi sulla tassazione della casa che aiuterà a compiere una scelta politica ragionevole. E’ difficile dedurre da questo testo che il governo sia impegnato all’abolizione della tassazione sulla prima casa. Ogni altro elemento può aver fatto parte di promesse elettorali di questo o quel partito, ma non può impegnare il governo”.
Monti sostiene, come hanno fatto anche il premier e il ministro dell’Economia nei giorni scorsi, che la stabilità del governo è premesssa decisiva per la ripresa (che per ora non si vede, come ha certificato pochi giorni fa l’Istat): “Un’interruzione dell’opera del governo Letta, impegnato a proseguire le riforme strutturali e a sostenere l’economia con specifici provvedimenti ora resi possibili dagli sforzi precedenti, recherebbe danni particolarmente gravi alla situazione economica e sociale del Paese, oltre che seri rischi per l’Eurozona. Se poi una crisi di governo dovesse portare ad elezioni anticipate, il cumulo di macerie seppellirebbe in ugual misura vincitori, sconfitti e tutti i cittadini, compresi quelli ai quali si vorrebbe fra credere che si è arrivati alla rottura per tener fede alla promessa di liberarli dall’Imu”, sottolinea l’ex premier.
Parole chiaramente indirizzate a Berlusconi, che ieri ha parlato di abolizione dell’Imu come base del patto di governo con Letta.
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Luglio 31st, 2013 Riccardo Fucile
IL NODO DELLE ALLEANZE: IN DISCUSSIONE L’INCARICO DI COORDINATORE
Scelta civica arriva a un bivio e Mario Monti decide di fare chiarezza: questa sera alle 21 è convocata una riunione con all’ordine del giorno la nomina del presidente (l’ex premier stesso) e del coordinatore (Andrea Olivero).
Un’accelerazione che nasconde una forte irritazione contro quest’ultimo, reo di avere partecipato insieme a Lorenzo Dellai al convegno della scorsa settimana, dedicato al popolarismo.
Presenza interpretata da Monti non come una normale partecipazione amichevole a un convegno, ma come un gesto politico, che ammiccherebbe eccessivamente alle posizioni dell’Udc e a una direzione politica evidentemente non gradita.
Monti viene descritto come molto irritato per la mossa di Olivero: «Quello era un convegno dell’Udc – dice ai suoi l’ex premier -. E se Olivero fosse stato un semplice parlamentare non sarebbe stato un problema, ma è il coordinatore di Scelta civica. Andare lì vuol dire mettere in discussione la nostra linea fondativa, che è quella di unire le due anime».
La traduzione off the record di molti è questa: Pier Ferdinando Casini ha bruciato sul tempo Monti, lanciando l’idea di un nuovo partito popolare, che confluirà nel Ppe. Ipotesi resa ancora più concreta dal nuovo nome della festa di Chianciano, che si terrà a settembre: per la prima volta non sarà più la festa dell’Amicizia o dell’Udc ma si chiamerà «Festa popolare» o «Prima festa popolare», come ha proposto Ferdinando Adornato.
Non che l’ex premier sia favorevole all’entrata nell’Alde, il gruppo europeo dei liberaldemocratici.
Semplicemente ritiene «prematura» la scelta e aspettava il momento giusto per conciliare le due anime del suo partito.
L’accelerazione di Casini lo ha colto di sorpresa e rischia di indebolirne l’immagine, non più paragonabile ai tempi d’oro della premiership.
Ma l’appiattimento sui «neo popolari», come vengono chiamati gli esponenti dell’Udc ma anche degli altri cattolici di Scelta civica, a cominciare dalla comunità di Sant’Egidio, non piace a tutti.
Sono in diversi a preferire l’approdo nell’Alde, soprattutto tra gli esponenti di Italia Futura.
Perchè entrare nel Ppe vorrebbe dire entrare nello stesso gruppo del Pdl di Silvio Berlusconi e ipotecare, sia pure simbolicamente, una possibile alleanza con il centrodestra anche alle Politiche nazionali.
Alleanza che non piace all’ala liberale del partito e che rappresenta il vero snodo da affrontare.
Quello che è certo è che Scelta civica è divisa in molti rivoli e la sfida si gioca anche sui personalismi.
Casini ieri ha replicato a Monti: «Olivero ha partecipato ad un incontro dove io ero spettatore, non è un reato, non siamo agli anni 40. Rispetto Monti e i problemi di Scelta civica non mi riguardano, ma credo che con l’Udc possa essere parte di un disegno più alto e che l’approdo sia il Ppe, che non significa l’alleanza con Berlusconi»
Stasera non è detto che si vada davvero al voto sulle cariche.
Monti chiede a Olivero un chiarimento politico: solo se non ci fosse, nella forma di una retromarcia o di un cambio di direzione, ci sarebbe la richiesta di un passo indietro.
E non è escluso che, se fosse messo in minoranza, il passo indietro lo faccia lo stesso Monti.
Molto più probabilmente, però, il dibattito vero e proprio, e quindi lo show down, verrà rinviato a settembre.
Olivero replica, un po’ piccato per le accuse, anche se ribadisce «assoluta lealtà » a Monti: «È ridicolo che si riduca tutto a un confronto tra me e lui. Se mi chiede di dimettermi, lo faccio: a patto, però, che ci sia un confronto politico vero».
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Luglio 26th, 2013 Riccardo Fucile
L’ASSOCIAZIONE DEI NOTAI: “SOFFOCATE DALLA STRETTA SUI FINANZIAMENTI”… LA MISURA NON E’ SERVITA A NULLA
Dopo quello sulle start up, un altro dei provvedimenti simbolo del governo Monti per i giovani rischia di rimanere incompiuto.
L’Associazione sindacale dei notai della Lombardia punta i riflettori sulle società a un euro per gli under 35, affossate sul nascere dalla difficoltà di accedere al credito.
Il rapporto diffuso oggi evidenzia che il 60% delle 12.973 nuove aziende, tra srl semplificate e a capitale ridotto iscritte nel registro delle imprese al 31 maggio 2013, è inattivo ed “è quindi ragionevole sollevare il dubbio che molte siano scatole vuole che stentano a partire anche a causa della bassa capitalizzazione e della conseguente difficoltà a trovare finanziamenti”.
“A quasi un anno dalla loro entrata in vigore le nuove tipologie di srl debuttano per rilanciare economia e occupazione, ma i risultati destano non poche perplessità sulla reale efficacia della normativa che le ha introdotte”, spiega il dossier, sottolineando che al 31 marzo 2013 il 90% delle società costituite ha dichiarato di non avere personale.
E che, quanto alla capitalizzazione, le società costituite con un euro di capitale sociale sono il 17% del totale, il 45% delle nuove srl è stato costituito con meno di 500 euro di capitale sociale e il 19% delle società ha un capitale sociale compreso tra i 500 ed i 900 €.
“L’analisi e i numeri dimostrano come queste società non risultano ancora funzionali ai propositi di creare occupazione, rilanciare l’economia o attrarre nuovi capitali dall’estero”, ha dichiarato Domenico Chiofalo, presidente di Federnotai Lombardia, segnalando che “occorre eliminare le ombre e le perplessità che ancora persistono con l’attuale normativa”. Mentre Enrico Sironi, consigliere nazionale del Notariato, ha precisato che “al di là della gratuità dell’intervento del notaio non sono al momento previste altre agevolazioni nella filiera”.
Sironi ha poi spiegato che “gli imprenditori restano soffocati da tempi autorizzativi decisamente superiori agli standard europei, da fisco e oneri contributivi eccezionalmente alti e da fonti di finanziamento molto ridotte”.
Occorre quindi “migliorare gli strumenti a disposizione e siamo pronti come interlocutore tecnico a contribuire alla soluzione dei problemi, in un percorso di collaborazione con il decisore politico nel comune interesse del Paese”.
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Luglio 25th, 2013 Riccardo Fucile
IL PROFESSORE CONDIVIDE MOLTE DENUNCE DEI GRILLINI, MA “HO SOLUZIONI COMPLETAMENTE DIVERSE DA LORO”
Usa l’ironia, ma il colpo va a segno.
L’ex presidente del Consiglio Mario Monti mette nel mirino Silvio Berlusconi e sulla possibilità di una restituzione dell’Imu pagata nel 2012 spiega: “In materia fiscale non c’è larghezza di mezzi oggi in Italia e su questo aveva avuto una grande intuizione in campagna elettorale il presidente Berlusconi quando addirittura voleva rimborsare l’Imu pagata nel 2012 e aveva detto: sapete che cosa? Se lo Stato non ha abbastanza soldi ce li metto io personalmente. Questa possibilità è ancora aperta”.
A Unomattina il leader di Scelta Civica racconta di aver suggerito al suo successore Enrico Letta di “preparare un contratto di coalizione per regolare la vita di questa coalizione, perchè la gente parla di mesi o di settimane, il Parlamento è stato eletto per cinque anni, non c’è ragione al mondo perchè dobbiamo autolimitarci”.
Ma sembra dare una sponda anche al Movimento Cinque Stelle: “Quello che dicono i grillini lo condivido largamente — dice il Professore — I grillini hanno ragione nel sottolineare molte carenza della politica, ma il vero costo della politica è il non decidere o prendere le decisione sbagliate. Ho la stessa critica dei grillini nei confronti della partitocrazia tuttora regnante in Italia. Ho però soluzioni completamente diverse dalle loro”.
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Luglio 5th, 2013 Riccardo Fucile
E’ QUESTA LA CIFRA PAGATA AL GURU AMERICANO CHE GLI HA CURATO LA CAMPAGNA ELETTORALE… LO HA CONSIGLIATO DI ESSERE PIU’ AGGRESSIVO FACENDOGLI CROLLARE I CONSENSI
David Axelrod, il guru americano della comunicazione ingaggiato da Mario Monti per
aiutarlo in campagna elettorale, è costato molto caro al professore: ben 450mila euro.
Una cifra astronomica – che ancora grava sulle casse di Scelta Civica – soprattutto se paragonata ai risultati ottenuti.
Data inizialmente sopra il 20, alla fine ha raccolto un ben più modesto 10 per cento.
Raccontano poi che Axelrod a Roma si sia visto solo un paio di volte e che fosse un pool di giovanotti arrivati freschi dagli States a suggerire le mosse della breve campagna.
Spronando l’ex premier ad essere “more tough” (più duro) verso gli avversari, ed in particolare con il Cavaliere.
La stessa ricetta consigliata a Obama nelle ultime presidenziali, dove riuscì a recuperare su Romney screditandone l’immagine.
Un’aggressività che nel caso di Monti non ha pagato. Anzi, molti ritengono che proprio i toni accesi del professore abbiano disorientato l’elettorato.
Sempre da Oltreoceano gli arrivò il suggerimento di mostrare il “volto umano”, portandolo a comparsate tv come quella da Daria Bignardi dove adottò il cucciolo Empy.
Anche i suoi collaboratori ritengono che senza il guru, oltre a risparmiare, il risultato avrebbe potuto essere diverso.
Ed ora che il professore è tornato a fare la voce grossa nel governo qualcuno teme che dietro la scelta ci sia ancora il retaggio del mago Usa
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Giugno 25th, 2013 Riccardo Fucile
MOLTI ESPONENTI “MONTIANI” ORMAI GUARDANO PER IL FUTURO AL SINDACO DI FIRENZE… E RENZI HA BISOGNO DI NUOVI SOSTENITORI ESTERNI AL PD STRUTTURATO
Pezzo per pezzo, giorno dopo giorno, Matteo Renzi sta costruendo la sua corsa alla segreteria.
Senza lasciare nulla al caso.
Le regole per l’elezione, innanzitutto: i suoi sostenitori chiederanno che la platea degli iscritti sia allargata anche a chi chiederà la tessera il giorno prima delle assise.
Niente norme capestro per cristallizzare la situazione pre-Bersani.
Secondo obiettivo: le primarie.
Dalla Lombardia alla Sicilia «Scelta civica» sta terremotando e molti dei suoi dirigenti (e dei suoi elettori) si stanno buttando su Renzi.
Ad Agrigento il sindaco ex Udc, Marco Zambuto, sta per approdare al Pd di rito renziano.
Spiega il deputato siciliano Davide Faraone, supporter del sindaco: «Un po’ dovunque nell’isola “Scelta civica” sta smottando. Viene con noi la componente dell’Udc ma anche quella laica. Tutti dicono: vi votiamo solo se c’è Matteo».
Il quale Matteo c’è, eccome se c’è.
Sta già pensando al fatto che alle primarie i suoi elettori aumenteranno di grosso grazie a questo smottamento.
Saranno voti nuovi, voti che non sono giunti alle precedenti primarie, quelle in cui Renzi è stato sonoramente battuto da Bersani.
E il sindaco ha anche i sondaggi che lo confortano: il centrosinistra con lui alla guida avrebbe il 41 per cento e il centrodestra dieci punti di meno, mentre senza di lui lo schieramento Pd e cespugli arriverebbe al 30 e gli avversari avrebbero il 35 per cento. Non a caso personaggi come Irene Tinagli e Andrea Romano stanno pensando di andare con Renzi.
Ma il lavorìo del sindaco non si limita a questo.
Sta preparando anche un documento politico che dovrebbe intitolarsi il «nuovo Pd», in cui i temi del lavoro e dell’economia la faranno da protagonisti.
Ma è su un altro punto che in questi giorni il sindaco sta incentrando la propria attenzione: sul tema della forma partito.
«Dobbiamo interrogarci – è il suo ragionamento – su come si possa costruire un partito senza tutti quei finanziamenti che noi vogliamo abolire, sperando che il governo e il partito vogliano fare altrettanto, senza limitarsi agli annunci».
Perciò il Pd che sogna Renzi è un partito «aperto, privo di una struttura organizzativa rigida», in cui saranno «benvenute» anche le «iniziative locali autonome». L’importante è che ci sia un «coordinamento di fondo» ma senza un apparato che soffochi e che non consenta alla periferia di esprimersi.
«Abbiamo tanti sindaci e amministratori locali bravissimi a cui dobbiamo affidarci se vogliamo che il Pd diventi sul serio un nuovo Pd», è il ritornello del sindaco.
E non finisce qui: Renzi pensa anche a «organizzare dei think tank e delle aree di lavoro in Rete», che bypasseranno gli iter tradizionali, consentendo a ognuno di partecipare al lavoro di elaborazione del partito, escludendo, di fatto, la creazione di «correnti cristallizzate» e di «rendite di posizione».
Un partito in Rete, dunque, in cui una «squadra gioca per il leader e non contro, come è stato finora».
Ma i maggiorenti del Pd tentano ancora di stoppare Renzi.
I bersaniani immaginano un tandem con il sindaco candidato premier ed Epifani segretario, però la risposta dei diretti interessati è significativa. Dice Renzi: «Che cavolata». Sostiene Epifani: «Questa storia non l’ho mai sentita».
Anche il tentativo di dividere le figure del segretario e del candidato premier sembra destinato a fallire.
Tant’è vero che uno dei sostenitori di questo schema, D’Alema, capita l’antifona, fa un passo indietro e si butta sulla Roma.
Paolo Cento, presidente dell’associazione giallorossa in Parlamento gli offre il posto di presidente onorario che fu di Andreotti.
L’ex premier accetta e rilancia: «Per caso non posso fare anche il presidente effettivo?».
Maria Teresa Meli
(da “il Corriere della Sera“)
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Giugno 22nd, 2013 Riccardo Fucile
FINISCE DOPO DUE ANNI L’ALLEANZA CENTRISTA TRA RECIPROCHE ACCUSE…LE RISPETTIVE STRATEGIE FUTURE
L’incontro tra Casini e Monti è ad alta tensione. 
All’insegna della «delusione personale» che i due si rinfacciano a vicenda.
Finisce così la storia di un’alleanza politica nata nel novembre 2011, quando il presidente della Bocconi sbarcò a Palazzo Chigi, rinvigoritasi man mano che il governo tecnico procedeva ma riempitasi di crepe dopo le elezioni dello scorso febbraio.
Il tradimento è ormai consumato, il divorzio è inevitabile. Ma i tempi non sono ancora stati decisi. Per ora si vive da separati in casa.
Quando fare le valigie probabilmente lo deciderà Casini.
Di buon mattino Casini e Cesa si recano a Palazzo Giustiniani per incontrare Monti, Olivero e Dellai.
Chi ha una vaga dimestichezza con il linguaggio della diplomazia racconta di un incontro «franco».
Gli altri parlano di «scontro durissimo» con reciproche recriminazioni.
È stato Cesa ad aprire le danze. Il segretario dell’Udc ha ricordato a Monti il ruolo del suo partito nel far cadere Berlusconi, nel sostenere il governo tecnico, l’assenza di lamentele di fronte alle scelte su nomine e linea politica che dopo le elezioni Monti ha preso senza mai consultare l’alleato.
«Più leali di così non potevamo essere, chiedevamo la fusione tra Udc e il tuo partito, era girata una road map ma poi ci hai scaricati accusandoci di volere quote di potere».
Con Casini che a quel punto non ha esitato a dire: «Mario, questa è una delusione personale». Fredda la reazione di Monti, che ha invitato tutti a essere razionali, ha ricordato il sostegno che lui ha dato a Casini, parlando anch’egli di delusione, ma ribadendo che Sc non è pronta alla fusione.
Lo scontro viene nascosto in un comunicato di maniera che parla di «ritorno all’autonomia» dei due partiti «in attesa di una riflessionesu un possibile progetto comune» da fare più avanti «visto che ora i toni sono troppo esasperati».
La verità la racconta con disincanto un pontiere tra il mondo cattolico e quello montiano.
Monti e i suoi non si sentono pronti alla fusione con i centristi perchè se in Parlamento hanno più uomini, sul territorio non sono radicati quando l’Udc.
«Sarebbero i centristi ad annettere i montiani, non viceversa ». Per questo Monti punta a strutturare e rilanciare (congresso e tesseramento in luglio) un partito in crisi di consensi e di visibilità apparentandosi a mondi della società civile, dell’associazionismo cattolico e, perchè no, agli ex adepti di Oscar Giannino.
Casini non vuole aspettare che i rapporti di forza si ribaltino e se deve preferisce prendere il largo subito. I centristi come prima cosa chiederanno che i gruppi unici in Parlamento non si chiamino più Scelta Civica ma Sc-Udc.
Poi cercheranno di rubare quanti più parlamentari a Monti.
Infine, quando il momento sarà ideale per riposizionarsi politicamente, l’addio.
Alberto D’Argenio
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Giugno 21st, 2013 Riccardo Fucile
VOLANO I PIATTI, OGGI L’INCONTRO DELL’ADDIO: RITORNA L’UDC TRA RECIPROCHE ACCUSE
L’unica cosa su cui entrambe le parti concordano è che non sarà formalmente un divorzio.
Visto che, come spiegano i montiani Benedetto Della Vedova e Andrea Olivero, «Scelta civica non può rompere quello che non c’è mai stato, cioè il soggetto comune con l’Udc».
Ma tolti i tecnicismi, l’unica cosa certa è che – a meno di colpi di scena dell’ultimo secondo – le strade di Pier Ferdinando Casini e Mario Monti stanno per separarsi. Per sempre
L’ex presidente della Camera e il Professore dovrebbero incontrarsi oggi, nel disperato tentativo di ricomporre una frattura che pare sempre più insanabile.
Dopodichè sabato, giorno in cui Casini ha convocato i suoi per l’annuncio di «una svolta», lo strappo potrebbe essere formalizzato.
Inutile chiedersi se la separazione sarà consensuale. Basta ascoltare le parti. «Dovevamo fare un partito insieme e all’improvviso quello va in conferenza stampa e osa pure dire che noi dell’Udc cerchiamo solo quote di potere», sbotta il segretario centrista Lorenzo Cesa.
Il «quello» in questione è Monti. Che prima, incrociando i giornalisti all’uscita di un faccia a faccia con Enrico Letta, dice apertamente sono «altri i temi su cui dobbiamo concentrarci in questa fase», non il rapporto con l’Udc.
Poi, incontrando i suoi, ripete a voce alta le riflessioni elaborate a più riprese dopo le elezioni. «E dire che per difendere l’alleanza con Casini ho respinto pressioni di tutti i tipi», è il ragionamento del Professore.
E ancora, riferiscono i suoi: «Ma come fa Casini a sostenere che senza l’alleanza con noi avrebbe preso più voti? L’unico dato certo è che è entrato in Parlamento con l’1,7 per cento…»
Il travaso di bile reciproco, esploso dopo il tesseramento lanciato da Monti in vista della trasformazione di Scelta civica in un partito vero e proprio, spinge Cesa a scrivere ai suoi iscritti una lettera che assomiglia a un punto di non ritorno.
«È giunto il momento di riprendere l’iniziativa politica dell’Udc. È il momento di ripartire. Vi invito a una mobilitazione generale».
Il fronte montiano, col tandem composto da Della Vedova e Olivero, risponde per le rime: «Oggi, dopo l’1,7 conseguito alle Politiche, l’Udc vorrebbe consumare frettolosamente una fusione che suonerebbe artificiale e sarebbe palesemente insostenibile per un movimento come Scelta civica, che si sta dando una struttura compiuta».
Dietro le quinte, l’atmosfera è ancora più tetra.
Tolto qualche ragionamento sull’ipotesi (ai limiti dell’impossibile) di mettersi d’accordo al Senato aggiungendo alla denominazione del gruppo un trattino e la parola «Udc», della «cosa» montian-casiniana non rimane nulla se non la rabbia reciproca. Lorenzo Dellai, capogruppo alla Camera, tenta una mediazione invocando la ricomposizione «immediata» della «deriva» coi centristi.
Ma ormai è tardi. Il deputato-scrittore Edoardo Nesi, che in bacheca ha un Premio Strega, sembra lui stesso il protagonista di un romanzo.
«L’altro giorno ho visto questo onorevole Cera dell’Udc mentre stava per andare a menare un grillino. E guardi – aggiunge – che è bello grosso. Gli avrebbe fatto male di brutto, sa?».
E pensare, sorride, «che Cesa giura di aver letto i miei libri…».
Ed è un sorriso amaro.
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera”)
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Giugno 9th, 2013 Riccardo Fucile
E’ SENATORE A VITA, MA A PALAZZO MADAMA NON VA QUASI MAI: 94% DI ASSENZE… SU TWITTER ERA LOQUACISSIMO, ORA TACE, IN BOCCONI NON FA LEZIONE
Monti dov’è? Ovunque sia, non dove dovrebbe, cioè a Palazzo Madama, dopo che Napolitano —
con inatteso coup de thèà¢tre — lo nominò (il 9 novembre del 2011) senatore a vita tre giorni prima dalle concordate dimissioni di Berlusconi.
Secondo i dati forniti da Openpolis ha ignorato il 94% delle sedute d’Aula della nuova legislatura, nè s’è visto granchè in commissione Esteri, presieduta proprio da un parlamentare del suo gruppo, Pier Ferdinando Casini, già presidente di Montecitorio, fu democratico e cristiano.
Ma allora dov’è? Non su Twitter, dove sgarzolino salutò i suoi primi 100 mila follower con telematico “wow”, lasciandoli dopo il voto — più che raddoppiati— a bocca asciutta con speranzoso “grazie ai vostri voti è nata una start-up della politica”.
Citazione – questa – di Passera memoria che delle start-up fece il suo fiore all’occhiello e che poi scaricò Monti Mario a mezzo Corsera, lamentandone la mancanza di coraggio; non è, dunque, di certo dalle parti del suo ex generale.
Nè nei pressi di Facebook dove, addì 6 marzo corrente anno, confermava “soddisfazione per il risultato conseguito” alle elezioni; buon per lui.
Non fa il giornalista, pur avendo avuto in dono l’iscrizione all’albo, e non fa lezioni d’economia in facoltà .
Ci sarebbe quasi da preoccuparsi, dopo settimane elettorali in cui si contese con Berlusconi ogni mezzo terracqueo messo a disposizione dalla tecnologia mediatica; anche così l’Italia scoprì che il nipotino era stato impreziosito dal nomignolo “spread” dagli amichetti a scuola e che Trozzy, il cucciolo di bolognese nano che la Bignardi gli appioppò in grembo in diretta, era stato fatto segno di coccole bocconiane.
Immortalato e in lana cotta valtellinese e in completino fumo di Londra, fu presenza fissa nelle routine quotidiane dei concittadini, che cercò di convincere della bontà del “salire” in politica, con premonizione parabolica del successivo tonfo che l’ha fatto scomparire dalle scene.
Ma non c’è da preoccuparsi più di tanto.
Da qualche settimana, passata la sbornia di soddisfazione per i risultati elettorali (9,8%), ha ricominciato a riaffacciarsi qua e là .
Anche se in pochi sembrano aver voglia di immischiarsi con il mentore del tempo che fu, derubricato poi a dead man walking. Partendo dagli (ex) alleati.
Fini al solo nome ringhia, anche se i suoi si limitano a descrivere “rapporti tesi, certo non idilliaci”.
Ricambiato dall’ostinato senso di ininfluenza che il Professore appioppa all’ex leader futurista.
Asperità acuite nelle ultime ore dalle notizie sul senatore di Scelta Civica, già fido finiano, Aldo Di Biagio, indagato a Roma per associazione a delinquere e fulmineamente scaricato dal gruppo parlamentare che, fiducia nella magistratura alla mano, ha puntigliato che “i fatti riguardano un periodo di gran lunga antecedente la costituzione di Scelta civica”. Adios guapo.
Casini, dal canto suo, continua a riunire ciò che resta dell’ex-Udc in Parlamento senza informare gli ortodossi della Scelta Civica.
Ricambiato da altrettante riunioni separate dei “montones”.
Un garbuglio di dispetti che si dovrà iniziare a sbrogliare in vista delle elezioni europee del 2014, allorquando toccherà decidere se correre con gonfalone unito o ciascun per sè.
Sullo sfondo, tra l’altro, resterà , una volta chiusa la battaglia su Roma, la difficoltà di capire se i voti presi da Marchini possano esser marcati Udc o Monti.
Certo è che il Professore pare aver perso lo smalto frigio da Re Mida: il suo endorsement al candidato romano doveva essere decisivo e non è tuttavia riuscito a fargli raggiungere neanche le due cifre percentuali.
Anche per rimettere un po’ di puntini sulle “i” il Professore ha bisogno, quindi, di rifare nei prossimi giorni capolino nell’agone politico, mollato il giorno dopo il voto.
Dopo una visitina al Festival dell’Economia di Trento e una ospitata di buon mattino a Omnibus, ricomincerà , intanto, a tessere la tela dei buoni rapporti internazionali, che gli funzionarono da neon per il Governo d’ottimati. In buona compagnia con Franco Bernabè e Lilli Gruber, ha passeggiato nella campagna londinese per il Bilderberg 2013, l’incontro annuale che per i cospirazionisti raggruma “i più diabolici potenti, provenienti da tutti gli angoli del pianeta, e che mira al supergoverno mondiale”, ma che è un’occasione di prim’ordine per spiegare a politici, media, banchieri e finanzieri mondiali, che esiste ancora.
Che non possa più contare a tutto servizio sulla fidata Betty Olivi, temutissima portavoce al piano nobile di Palazzo Chigi, lo si vede anche dalla picchiata che dalla copertina glamour di ‘Time’, che lo accreditò come possibile salvatore d’Europa, l’ha strapiombato alla sfiducia del Financial Times, che lo scaricò come inadatto a guidare l’Italia.
La Olivi, che intanto girovaga tra le stanze della Scelta Civica, gli ha al più procacciato la tribuna del Mattino, dove il Monti che fu ha gufato con aplomb su presidenzialismo e riforma elettorale, proponendo, come la ricetta della nonna, l’aggregazione con Casini, Montezemolo, gruppi e personalità che vogliono modernizzare l’Italia.
Un’uscita lenta e forzata dall’oblio, che, a diciotto mesi dalla fiducia al suo governo di tecnici, lo poterà , tra diciotto mesi, a capire che fare nel caso (probabile) di un ritorno alle urne e con un antagonista che s’è già prenotato il campo, sempre sul Corsera: Corrado Passera.
Giovanni Manca
(da “l’Espresso”)
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