“CI SERVONO VOLONTARI”: L’APPELLO DELLA CROCE ROSSA
INTERVISTA A FRANCESCO ROCCA, IL PRESIDENTE: “TANTI RISCHIANO IL BARATRO”
In ogni video, in ogni immagine delle nostre città trasformate in trincee dalla pandemia, la Croce Rossa c’è. C’è nelle ambulanze a biocontenimento, nelle figure imbardate nelle tute protettive, nell’impegno e nella dedizione di migliaia di volontari.
Medici, infermieri, operatori sanitari, ma anche tantissime persone comuni che invece di abbrutirsi sul divano hanno scelto di offrire il proprio aiuto alla comunità .
Persone come Fausto – elettricista per mestiere, volontario per vocazione — morto pochi giorni fa a Brescia, dove prestava servizio per il trasporto di pazienti Covid-19, lo stesso mostro che se l’è portato via.
Persone che si danno da fare per gli altri – chi facendo la spesa, chi consegnando farmaci, chi immaginando come rispondere allo “tsunami sociale” che deriverà dagli effetti economici dell’epidemia.
Perchè questo rischia di essere il Post Coronavirus: “uno tsunami sociale, un’emergenza molto più grande di quella che possiamo intravedere ora”, secondo i timori di Francesco Rocca, dal 2013 presidente della Croce Rossa Italiana e dal 2017 presidente della Federazione Internazionale delle Società della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.
In cosa consistono e come sono strutturate le vostre attività di supporto sanitario all’emergenza Covid-19?
“Abbiamo centinaia di ambulanze a supporto del servizio sanitario di emergenza nelle aree più colpite, ma anche nel resto d’Italia. Ci siamo stati fin dall’inizio – il paziente numero 1, il famoso Mattia, lo abbiamo preso noi — e da quel momento non ci siamo più fermati. Siamo presenti nel supporto logistico e in tutte le attività di biocontenimento, dallo sbarco di navi da crociera al trasporto nelle strutture ospedaliere. Abbiamo mandato diverse decine di medici e infermieri a supportare gli ospedali del Nord, in particolare il Papa Giovanni a Bergamo, dove ci sono già una trentina di nostri volontari; con le nostre infermiere abbiamo preso in carico alcune case di cura dove il personale era malato e gli anziani in difficoltà ”.
Poi ci sono gli interventi al fianco della Protezione Civile, il numero verde, l’assistenza alle fasce più vulnerabili. Ci parli anche di questo.
“Abbiamo messo a disposizione della Protezione Civile centinaia di volontari per il controllo della temperatura: lo stiamo facendo in tutti gli aeroporti d’Italia, ma anche in altri siti come il mercato ortofrutticolo di Fondi, divenuta pochi giorni fa zona rossa, dove monitoriamo la temperatura di chi entra e chi esce. Abbiamo rafforzato il nostro numero verde Cri per le Persone (800.065510) attivo in tutta Italia 7 giorni su 7, 24 ore su 24, per richieste di pronto farmaco e spesa a domicilio: stiamo facendo in modo di evitare che anziani, immunodepressi e persone fragili escano di casa. Stiamo proseguendo le nostre attività per i senza fissa dimora e le persone che non trovano riparo: ci sono delle squadre, soprattutto nelle grandi aree metropolitane, che continuano a uscire e prendersi cura di loro. Un impegno enorme a 360 gradi”.
Per questo avete lanciato un appello al volontariato temporaneo. A chi è rivolto? Che riscontri avete avuto?
“È un appello che si rivolge a tutte le persone di buona volontà , chiunque voglia mettersi a disposizione della propria comunità . Chiaramente si tratta di compiti per i quali non è necessaria una formazione specifica, ma che in questo momento sono di fondamentale importanza, come fare la spesa, consegnare farmaci, aiutare nei centralini o nella pulizia delle sedi. Abbiamo 150mila volontari in tutta Italia, ma il lavoro è immenso. Un altro appello specifico si rivolge invece a medici e infermieri: anche qui abbiamo raccolto centinaia e centinaia di disponibilità ”.
Quali sono le difficoltà più grandi per chi è in prima linea in questa emergenza?
“Il fatto di doversi immergere quotidianamente nel dolore senza poter dare nè ricevere il conforto di un abbraccio. I racconti dei volontari che vanno nelle case a prendere i pazienti con sintomi di Covid-19 sono struggenti. Il saluto avviene sulla porta, dove spesso è necessario bloccare i parenti che chiaramente non possono seguire il loro caro. Il volontario lo fa ed è preparato per questo, ma di solito trova sempre il sollievo di un rapporto umano: avviene così anche nei terremoti, prima c’è solo il dolore, ma poi, nei giorni successivi, arriva il conforto all’altro e dell’altro. Nel caso della pandemia, questo è un aspetto che sta mancando alle famiglie ma anche a noi. Oggi al volontario viene chiesto uno sforzo enorme: portare via una persona dalla propria casa e dai propri cari, senza sapere se ci sarà un ritorno e senza la consolazione di un contatto. Il volontario è abituato a un rapporto molto umano col paziente, mentre qui è bardato come un astronauta: gli è negata tutta la dimensione del contatto, lo sguardo profondo, la mano che stringe… Sono mancanze che i volontari, quando finiscono il turno la sera tardi o al mattino, hanno bisogno di verbalizzare: per questo abbiamo messo insieme un team di volontari psicologi a loro disposizione”.
Pochi giorni fa è morto uno dei vostri volontari, Fausto Bertuzzi, stroncato dal Coronavirusnella provincia di Brescia, dove ha prestato servizio per 22 anni. Ha avuto contatti con la sua famiglia?
“Purtroppo non ho conosciuto Fausto personalmente, ma solo attraverso le parole della moglie, Paola, che è anche lei una nostra volontaria. Mi ha scritto un messaggio meraviglioso, di commozione per come Fausto viveva i nostri principi fondamentali e il suo servizio, che è stato anche un esempio per i loro due figli adolescenti. Ora sono soli a casa con la mamma, non possono piangere il papà e avere un funerale, come tutte le altre famiglie che hanno subito un lutto in questa tragedia. Non possono ricevere l’abbraccio degli amici, ma sono molto orgogliosi del loro papà ”.
Avete una stima delle persone contagiate tra i vostri volontari?
“Quando si vive in zone dove il virus ha raggiunto una diffusione molto ampia è difficile individuare l’origine dei contagi. Di certo Fausto ha fatto servizio di ambulanza con i casi di Covid. In Lombardia abbiamo almeno quattro volontari intubati in terapia intensiva e diverse decine quarantenati. È la stessa situazione che stanno vivendo i sanitari…”.
L’elevato numero dei contagi tra gli operatori sanitari è proprio uno dei dati che più impressionano dell’epidemia in Italia: siamo quasi a 5000, più del doppio della Cina. Quanto impatta la difficoltà nel reperire i dispositivi di protezione? Quali sono le regole e le accortezze da mettere in campo per ridurre al mimino i rischi?
“Le accortezze sono quelle che cercano di prendere tutti attraverso l’uso dei dispositivi. Il problema centrale è proprio l’approvvigionamento, che è uno dei punti più drammatici di questa crisi. Non si tratta solo di mascherine, ma anche di tute, scudi facciali, tutto ciò che serve a proteggersi. Per quanto si faccia attenzione nel momento della vestizione e per quanto dopo ogni servizio il mezzo venga sterilizzato, è sempre una situazione difficile. E poi bisogna tenere presente che, nelle zone più colpite, il contagio è impennato prima delle ordinanze”.
Qual è la strada per affrontare la carenza di questi dispositivi? Come se ne esce?
“La questione mascherine e dispositivi di protezione resta estremamente critica. Su tutta Italia il consumo è nell’ordine di milioni al giorno. Gli annunci di questi giorni — “un milione di mascherine in arrivo!”- sono un sollievo momentaneo perchè il fabbisogno è qualcosa di enorme. Su questo gli appelli non servono: è una crisi produttiva di cui paghiamo lo scotto, finchè non ci sarà una riconversione industriale. Fca ad esempio lo sta facendo, così come tante altre realtà produttive. Il guaio è che serve tempo, e nel mentre la gente muore e il contagio va avanti. Per questo è fondamentale restare-a-casa, restare-a-casa e restare-a-casa”.
L’epidemia ci chiama ad aprire gli occhi anche sul degrado e l’abbandono che nascono dalla marginalità sociale. Su Roma si inizia a parlare, con preoccupazione, della situazione dei campi rom, dove non c’è neanche l’allaccio all’acqua corrente. Come si fa a contrastare l’epidemia in questi contesti?
“Si deve cominciare fornendo gli strumenti essenziali, a cominciare dall’acqua. E poi bisogna entrare nell’ottica che l’allarme, purtroppo, non riguarda ‘solo’ il contagio. L’epidemia sta aggravando tutti i contesti di marginalità ed esclusione sociale. In questi giorni emergeranno situazioni legate al sommerso: persone che vivevano e vivono di piccoli lavoretti quotidiani, sbarcando il lunario con quei 20-30 euro che però danno da mangiare a una famiglia, consentendo di arrivare con estrema difficoltà a fine mese, adesso non hanno nemmeno questa possibilità e rischiano di cadere in un baratro. Purtroppo in Italia è un dato di fatto: parte del Paese viveva di sommerso, di lavoro nero, e adesso, sotto il profilo del bisogno, questa parte uscirà fuori. Stiamo lavorando per cercare di dare delle risposte, c’è un dialogo in corso con la grande distribuzione, ma è chiaro che i nostri aiuti saranno gocce nel mare rispetto alle tantissime persone che avranno necessità di questo aiuto”.
Quale sarà l’impatto sociale di questa apnea del sommerso?
“Personalmente sono molto preoccupato sulla tenuta sociale di queste persone. Qui non si tratta di fare la morale su come vivevano: penso al padre che deve dare da mangiare ai suoi figli, al parcheggiatore abusivo… Parlo del problema oggettivo e odierno di come poter proteggere la dignità di tutti coloro che comunque sono colpiti da questa pandemia, sia attraverso il contagio, sia attraverso l’isolamento in assenza di mezzi di sostentamento. Ci sono intere aree del Meridione in cui il sommerso è una realtà , contesti in cui fermarsi anche solo per qualche giorno toglie il pane dalla tavola”.
Chi ci governa è consapevole di questa bomba sociale? Sono state previste o studiate misure di contenimento?
“Il mio appello alla politica è di adottare misure urgenti che tengano conto di queste situazioni di vulnerabilità sociale. Mi sono confrontato con altri responsabili di organizzazioni nazionali che si occupano di assistenza: nei vari provvedimenti che sono stati adottati nelle ultime settimane non abbiamo individuato misure specifiche per queste categorie. Non basta dire ‘erano assistite dai servizi sociali’: in questo momento è ovvio che la domanda si amplifica perchè molti se la cavavano da sè. Ora non sarà più così: prima ce ne rendiamo conto, meno devastanti saranno gli effetti”
(da “Huffingtonpost”)
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