CILE: OGGI IL BALLOTTAGGIO PER LE PRESIDENZIALI, FAVORITO IL CONSERVATORE KAST
I SONDAGGI LO DANNO AL 51% CONTRO IL 35% DELL’ESPONENTE DI SINISTRA JARA… RITORNANO I NOSTALGICI DI PINOCHET
Si svolge oggi, 14 dicembre, il ballottaggio delle elezioni presidenziali in Cile, nel quale gli
elettori decideranno chi tra la comunista Jeanette Jara e il conservatore José Antonio Kast sarà il presidente per il quadriennio 2026-2029.
Una sfida che apparentemente non dovrebbe riservare sorprese: stando ai pronostici che analisti e sondaggisti effettuano da dopo il primo turno del 16 novembre, solo un evento inatteso potrebbe togliere la vittoria a Kast. La media dei sondaggi realizzati prima dello stop imposto per legge il 1 dicembre, assegna al conservatore un 51,1 per cento dei consensi, contro il 34,9 per cento destinato a Jara. Dall’11 marzo 2026, giorno dell’insediamento ufficiale, il Cile potrebbe quindi voltare decisamente pagina dopo i quattro anni del progressista Gabriel Boric, arrivato alla presidenza sullo slancio delle proteste indette nel 2019 per limare le consolidate differenze tra le classi sociali. Al suo terzo tentativo di diventare presidente (l’ultimo è stato proprio quello perso con Boric) Kast rappresenta l’ala ritenuta più conservatrice della destra cilena, interprete delle richieste di ordine e “mano dura” contro la criminalità, ma nel mirino dei progressisti per la reticenza a condannare apertamente il periodo della dittatura.
Le chance di vincere la sfida con Jara sono irrobustite dal sostegno esplicito garantito dagli altri due candidati di destra che non hanno superato il primo turno: al 23,9 per cento ottenuto a novembre, Kast potrebbe aggiungere fino al 14 per cento dei voti andati ad Evelyn Matthei – in campo da indipendente ma con il sostegno di forze riconosciute dello schieramento conservatore – e il 13 per cento dei consensi ottenuto da Johannes Kaiser, titolare di un’agenda iper liberista e anima “ribelle” della destra cilena. Numeri di cui Jara, vincitrice del primo turno con solo il 26,8 per cento, non sembra poter disporre. Il leader conservatore, peraltro, ha deciso di non partecipare ai dibattiti televisivi, opponendo alle critiche di voler evadere il confronto, le ragioni di un maggior impegno “sul terreno”. La lettura ricorrente di questa scelta è stata quella di voler evitare di riaccendere le polemiche sulla dittatura e di lavorare proprio a un consolidamento dell’intesa con i potenziali alleati.
Le uniche incognite rilanciate dai media sono quelle relative alle scelte che vorranno fare gli elettori di Franco Parisi, l’outsider “anti-casta” che a novembre ha conquistato un inatteso terzo posto, con il 19,7 per cento di voti. Il suo Partito della gente (Pdg) ha deciso dopo una consultazione online che alle urne – fedele alla lotta alla “politica tradizionale” proclamata dal leader – non appoggerà nessuno dei due contendenti. L’ultimo sondaggio dell’istituto Cadem segnala che almeno un terzo del suo elettorato potrebbe comunque optare per Kast.
I sostenitori di Jara confidano in alcuni errori di comunicazione fatti da Kast nella retta finale della campagna, durante la quale – però – il leader conservatore pare essere riuscito a organizzare il fronte unico della destra contro lo “spauracchio” della candidata di sinistra. Ministra del Lavoro e della previdenza sociale nel governo Boric, Jara ha vinto le primarie che la sinistra ha fatto – contrariamente alla destra – per formulare una candidatura unica. L’aspirante presidente ha però dovuto impiegare gran parte della sua campagna elettorale a difendersi dalle critiche centrate sulla sua appartenenza al Partito comunista, provenienti non solo dai tradizionali avversari di destra, ma anche da quella parte dello schieramento progressista che – come ha fatto lo stesso Boric -, intende smarcarsi dalle istanze più estreme della sinistra latinoamericana. Per il resto, il Paese – pur con indici di violenza ben sotto la media regionale – si è avvicinato alle elezioni discutendo soprattutto di controllo dell’immigrazione e lotta all’insicurezza, temi centrali nei programmi dei candidati di destra.
E non è un caso che negli appuntamenti in vista del ballottaggio, Kast ha insistito nell’articolare il programma relativo a questi temi chiave. In un documento di 39 pagine, l’avvocato 59enne scrive di voler “gettare le basi e definire gli assi fondamentali per ripristinare l’ordine, il progresso economico, la libertà e la speranza”. Non si tratta di sgranare “un lungo elenco di misure, ma di affrontare con urgenza e determinazione le emergenze che consentano di riportare solidità alle fondamenta della società”. Tra le “emergenze” individuate da Kast ci sono – oltre a sicurezza e crisi migratoria – il rilancio dell’economia (con un Paese che “perde produttività” e genera centinaia di migliaia di disoccupati) e una “decadenza morale” nel settore pubblico. “Le emergenze non si affrontano con misure timide”, annuncia Kast promettendo un “governo d’emergenza, che si faccia carico dello Stato divenuto inefficace, che promuova cambi profondi con decisione, rapidità e senza complessi”.
Con la presidenza Kast, si promette, “lavoreremo per ridurre drasticamente gli omicidi”, si metterà fine “alla mancanza di controllo migratorio e chiuderemo la porta agli ingressi clandestini”.
In un confronto diretto con una comunità di migranti, molti dei quali in fuga dalla crisi in Venezuela, Kast ha però dovuto promettere di non ricorrere alle espulsioni di massa, ma ha invitato gli stessi stranieri a uscire volontariamente per poi procedere, “con ordine”, a verificare chi abbia i titoli per risiedere nel Paese. Si tratta di “ristabilire il la supremazia del diritto e della legge in tutto il territorio nazionale”, di “proteggere e sostenere coloro che esercitano l’autorità” e di “rafforzare la fiducia sociale”, recita il programma immaginando un esecutivo la cui definizione di “eccezionalità” si misura comunque con più di una critica formulata da politologi e costituzionalisti.
Quella di un “governo di emergenza” è divenuto – per sostenitori e detrattori – un tema di dibattito soprattutto perché, come detto, il nome di Kast rappresenta una sfida per la giovane democrazia sudamericana: José Antonio è il figlio minore di Michel Kast Schindele e Olga Rist Hagspiel, tedeschi emigrati in Cile negli anni 50. Il padre, come diversi connazionali dell’epoca, era iscritto al partito nazista, mentre uno dei fratelli, Michael, è stato ministro durante la dittatura di Augusto Pinochet e presidente della Banca centrale. Rimane da vedere, convengono diversi opinionisti, quale sarà la reazione della sinistra ad un eventuale governo Kast: se, in linea con l’atteggiamento più aggressivo sfoderato da Jara nell’ultimo segmento di campagna, ne misurerà la “legittimità” democratica o se, nel segno della tradizione di alternanza ostentata dal Paese negli ultimi decenni, richiamerà il presidente ai propri doveri istituzionali.
Kast, avvocato e a lungo deputato, è stato anche per tutte queste ragioni accostato ad altri leader decisionisti della destra regionale: il brasiliano Jair Bolsonaro, l’argentino Javier Milei, passando dal salvadoregno Nayib Bukele e arrivando all’inquilino della Casa Bianca, Donald Trump.
Per dare forza al messaggio di uomo d’azione, scrive il portale “Ex-Ante”, Kast ha accelerato i lavori di preparazione del centro operativo in cui, se tutto va come previsto, da lunedì 15 inizierà a lavorare per la transizione: oltre 700 metri quadri, 98 postazioni di lavoro, 31 uffici privati, 18 bagni due sale da pranzi e una cucina. Unico inconveniente, il fatto che la struttura – ribattezzata “piccola Moneda”, per richiamare il palazzo presidenziale – è circondata da edifici di dodici piani, dato che pare abbia messo in allarme la sicurezza privata, non certa di poter offrire adeguata protezione al probabile presidente.
Per quanto riguarda la composizione del parlamento, le elezioni generali del 16 novembre hanno garantito alle coalizioni di destra la possibilità di controllare la Camera dei deputati (155 seggi). A Cambio per Cile – lo schieramento che ha sostenuto Kast -, vanno 42 deputati, ben 18 in più di quelli di cui dispongono i partiti nella legislatura uscente. Di questi, ben 17 vanno al Partito repubblicano dello stesso Kast. In questo blocco confluiscono anche i rappresentanti del Partito nazionale libertario (Pnl), la forza guidata da Kaiser. Altri 34 deputati – ben 15 in meno sulla legislatura uscente – spettano a Cile grande e unito, la coalizione di forze conservatrici che ha sostenuto Matthei. La maggioranza relativa dell’Aula, anche se con otto deputati in meno rispetto a oggi, rimane alla coalizione di centrosinistra Unità per il Cile, con 61 seggi. Ma determinanti, per delineare le maggioranze della prossima legislatura, potranno essere i 14 deputati del Partito della gente, la forza creata dal candidato “anti-casta” Parisi.
(da Agenzia Nova)
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