COME FINIRA’ IL CASO ALMASRI? TRANQUILLI IL MINISTRO NORDIO NON SI DIMETTERA’, C’E’ ANCORA IN BALLO LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA. CI ANDRA’ DI MEZZO LA “ZARINA” DI VIA ARENULA, GIUSI BARTOLOZZI (CON LA PROMESSA DI UN “RISARCIMENTO” FUTURO PER IL “SACRIFICIO”?)
A FAR CAPIRE AL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA CHE IL TORTURATORE ALMASRI DOVEVA ESSERE RIMPATRIATO E’ STATO PALAZZO CHIGI… LE CARTE CHE SMENTISCONO NORDIO E UNA CERTEZZA: NON TRATTENERE ALMASRI È STATA UNA SCELTA POLITICA NON UN DISGUIDO TECNICO
C’è una domanda a cui il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, e il governo Meloni dovranno rispondere nei prossimi giorni ai magistrati di Roma, se il Tribunale dei ministri dovesse decidere di chiedere l’autorizzazione a procedere per il reato di omissione di ufficio nei confronti di Nordio (già indagato) o di altri esponenti dell’esecutivo.
Perché tra il 19 e il 21 gennaio il ministero decise di non seguire le sollecitazioni dei tecnici e di non procedere con un nuovo mandato d’arresto, quello che avrebbe impedito la scarcerazione del criminale libico, il generale Almasri?
Dalle mail tra il direttore del dipartimento Affari di giustizia, il magistrato Luigi Birritteri, poi dimessosi nelle scorse settimane, e la capa di gabinetto, Giusi Bartolozzi, pare infatti chiaro quello che accadde in quelle 48 ore.
E cioè che la scelta di liberare Almasri fu presa dai giudici della corte d’appello di Roma, è vero. Perché convinti che fosse stata commessa un’irritualità nelle procedure di arresto. Ma la volontà fu determinata proprio dal ministero che scelse di non sanare quell’irritualità non rispondendo alle richieste dei giudici romani.
E non fu una scelta tecnica, come poi il governo italiano ha
provato a spiegare alla Corte penale internazionale, per giustificare la scelta. Nelle ultime delle quattro versioni, infatti, Palazzo Chigi ha spiegato di non aver proceduto con la richiesta dell’Aia perché nel frattempo era arrivata una richiesta di estradizione della Libia. Che aveva chiesto di arrestare Almasri. Un evidente escamotage, dice la Cpi. Smentito tra l’altro dalla corrispondenza interna al ministero.
Già nelle ore immediatamente successive al fermo accadono tre cose che documentano come la scelta di non estradare Almasri fosse stata presa nell’immediato: gli uffici avvisano il ministero che sono necessari «atti urgenti» per risolvere la questione ed evitare che il torturatore e assassino libico fosse liberato.
Il ministero dice però di non muovere un dito subito, ben prima che arrivasse la richiesta di estradizione libica, con la capa di gabinetto Bartolozzi che informa gli uffici di essere già a conoscenza della cosa (chi l’abbia informata non è chiaro) e intima di non parlarne con nessuno e di usare solo comunicazioni criptate: «Parlate su Signal», dice. E invita a non usare il protocollo.
In realtà gli uffici non raccolgono l’invito perché 24 ore dopo preparano un nuovo mandato d’arresto che avrebbe potuto sanare la situazione. Viene formalmente inviato. Ma resta lettera morta, sulla scrivania della Bartolozzi.
L’Italia non ha mai notificato alla Cpi di aver ricevuto una «richiesta concorrente» dalla Libia. E ancora: Nordio ha sostenuto di non aver mai ricevuto il fascicolo con l’ordine di arresto.
Ma dagli atti risulta che il 18 gennaio la Cpi ha inviato all’ambasciata italiana in Olanda una nota con il mandato di arresto, il nome, numero di telefono e mail del funzionario da contattare «qualora le autorità italiane dovessero individuare problemi che possano impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione». Se anche vizi ci fossero stati, l’Italia avrebbe potuto (e dovuto) sanare tali vizi.
(da agenzie)
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