COME PRIMA, PIÙ DI PRIMA
CON L’EXPO SI ASSISTE AL SOLITO COPIONE: RITARDI, ACCELERAZIONI, TANGENTI
Per piacere: evitateci lo stupore scandalizzato, «chi se lo immaginava?», «non ‘avrei mai detto…». Tutto sono, gli arresti di ieri per ‘Expo 2015, tranne che una clamorosa sorpresa. Perchè, ferma restando l’innocenza di tutti fino alle sentenze, le cose stavano procedendo esattamente come era andata troppe altre volte.
Il solito copione. Recitato per i Mondiali di nuoto, le Universiadi, la World Cup di calcio, l’Anno Santo…
Anni perduti nei preliminari, discussioni infinite sui progetti, liti e ripicche sulla gestione e poi, di colpo, l’allarme: oddio, non ce la faremo mai!
Ed ecco l’affannosa accelerazione, le deroghe, il commissariamento, le scorciatoie per aggirare lacci e lacciuoli, le commesse strapagate, i costosissimi cantieri notturni non stop.
Sono sei anni, dal 31 marzo 2008, che sappiamo di dovere organizzare l’Expo 2015.
E anni che sappiamo, dopo i trionfi di Shanghai 2010 dove il nostro padiglione fece un figurone, che l’impresa è difficile se non temeraria.
Eppure solo Napolitano, all’ultimo istante, si precipitò alla grandiosa esposizione cinese per ricevere il passaggio del testimone e mettere una toppa sulle vistose assenze del nostro governo. Dopo di allora, tanti proclami, annunci, rassicurazioni…
Mentre cresceva, nonostante l’impegno generoso di tanti, la paura di non farcela.
È una maledizione, la fretta. E ci caschiamo sempre. O forse è peggio ancora: c’è anche chi scommette sui ritardi e sulla accelerazione febbrile col cuore in gola.
Quando il rischio che salti tutto fa saltare le regole che erano state fissate e i prezzi schizzano sempre più su, più su, più su
Proprio come previde nel 2010 la presidente degli architetti milanesi denunciando «perplessità in merito al rispetto delle scadenze per il completamento dei lavori, alla trasparenza delle procedure e alle modalità che saranno utilizzate per affidare gli appalti».
Già la prima di quelle gare, del resto, fu un’avvisaglia: vinse un’impresa con un ribasso enorme da 90 a 58 milioni ma l’anno dopo già batteva cassa per averne 88.
Per non dire delle infiltrazioni nei subappalti di imprese in odore di mafia: il capo della polizia Pansa, mesi fa, comunicò che 23 aziende erano state escluse.
Lo stesso sindaco Pisapia, però, spiegò d’essere sulle spine: troppi, sei mesi di analisi burocratiche, per verificare la serietà di una ditta. Tanto più se la fretta si fa angosciosa.
L’unica sorpresa, nella retata di ieri che segue il fermo un mese fa del direttore generale di Infrastrutture Lombarde Giulio Rognoni, sono i nomi di alcuni degli arrestati.
Già tirati in ballo vent’anni fa, nella stagione di Mani pulite, come se non fosse cambiato niente. Dal costruttore Enrico Maltauro all’ex pci Primo Greganti fino all’ex dicì Gianstefano Frigerio, poi candidato da Forza Italia (lifting anagrafico…) col nome d’arte di Carlo.
Ma come, direte: ancora? Ancora, accusano i magistrati.
E parlano d’«una cupola» che «condizionava gli appalti» in favore di «imprese riconducibili a tutti i partiti».
Cosa significa «tutti»? Mancano solo un paio di settimane alle elezioni europee. E un anno all’apertura dell’Expo: i dubbi su quello che è oggi il più grande investimento nazionale e rischia di trasformarsi da vetrina della speranza e del rilancio in una vetrina infangata devono essere spazzati via in fretta.
Gian Antonio Stella
(da “il Corriere della Sera”)
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