“CORROTTI IMPUNITI E PORTE GIREVOLI PER I BOSS IN CARCERE”: L’INTERVENTO DEL PROCURATORE GENERALE DI PALERMO SCARPINATO ALL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO
“GIUDIZIO ABBREVIATO E PENE RIDOTTE: COSA NOSTRA NON SUBISCE COLPI”… “NELLE CARCERI POVERI CRISTI COME NEL 1860, COLLETTI BIANCHI “SALVI”
Pubblichiamo un estratto dell’intervento del procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, all’inaugurazione dell’anno giudiziario
Da un recente e documentato studio statistico condotto dal Dipartimento Amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, pubblicato nella rivista Rassegna Penitenziaria e Criminologica, risulta che l’attuale composizione sociale della popolazione carceraria è per molti versi analoga a quella dell’Italia del 1860.
Oggi come ieri in carcere a espiare la pena finiscono soprattutto esponenti dei ceti popolari e coloro che occupano i gradini più bassi della piramide sociale, oltre che gli esponenti della criminalità organizzata.
La quota di colletti bianchi in espiazione di pena è statisticamente irrilevante (…).
Manca la voce “Reati contro la Pubblica amministrazione” a causa dell’irrilevanza numerica del dato statistico.
Quanto ai detenuti in custodia cautelare, nell’audizione del ministro della Giustizia alla Camera del 13 ottobre 2013 si segnalava che su un numero complessivo di 24.744 unità , le persone in stato di custodia cautelare per reati di corruzione a ottobre 2013 erano 31 (…). La mafia intatta.
L’incessante turn over tra i mafiosi arrestati che entrano in carcere e quelli che ne escono per espiazione pena, continua a garantire la tenuta dell’organizzazione sul territorio. I capi arrestati vengono sostituiti da reggenti in attesa di riprendere il loro posto.
Agli estorsori condannati ne subentrano di nuovi, che talora richiedono le rate arretrate non riscosse a causa degli arresti eseguiti. (…)
Lo sconto di pena derivante dall’accesso quasi generalizzato al giudizio abbreviato, nel sommarsi all’ulteriore sconto di pena derivante dall’applicazione dell’istituto della continuazione della pena in sede di condanna, riduce l’entità delle pene in concreto inflitte in maniera così significativa da perdere in molti casi la loro efficacia deterrente. Dalla relazione della Procura di Palermo, emerge una articolata casistica di capi e di gregari di Cosa Nostra che grazie a tali sconti di pena subiscono condanne minimali non solo per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., ma anche per altri gravi reati fine, tra i quali quelli di estorsione aggravata.
Per citare un solo esempio tra i tanti: in esito a un processo su una serie di estorsioni perpetrate dal 2007 al 2013 in danno del presidente di Confindustria di Trapani, uno storico esponente di vertice della famiglia mafiosa di Castellammare del Golfo, grazie al duplice sconto di pena del giudizio abbreviato e della continuazione con altri reati per i quali era stato già condannato, ha subìto una condanna di appena 3 anni e 8 mesi.
Come se non bastasse, le pene così ridotte subiscono un’ulteriore decurtazione grazie all’applicazione in sede esecutiva della liberazione anticipata che prevede, anche per gli esponenti della criminalità mafiosa, lo sconto di pena di 45 giorni ogni semestre.
Così in concreto i 3 anni e 8 mesi si riducono ulteriormente a poco meno di 2 anni, 7 mesi e 15 giorni.
Ma, a parte tali fattori di debolezza giuridica nella risposta repressiva alla criminalità mafiosa, ai quali potrebbe porsi rimedio con una celere e mirata riformulazione delle norme vigenti in materia di reato continuato e di liberazione anticipata, a destare preoccupazione è il mutato clima sociale.
La sfiducia sistemica alla quale prima accennavo, comincia a serpeggiare sottotraccia anche sul terreno della cultura antimafia (…).
La recessione economica e i tagli drastici alla spesa pubblica nel mettere in ginocchio l’economia dell’isola falcidiando posti di lavoro stanno radicando nell’immaginario collettivo di molti la convinzione che la promessa di coniugare legalità e sviluppo sia stata ancora una volta tradita o sia una mera chimera. (…)
Nell’assenza di risposte ai bisogni primari di sussistenza da parte del Welfare state legale, molti tornano a bussare alle porte del Welfare mafioso.
Le intercettazioni ambientali effettuate in taluni procedimenti ritraggono file di questuanti che pregano i boss mafiosi dei quartieri di far loro ottenere una qualsiasi occupazione per sfamare la famiglia.
Corruzione e dintorni.
Tale disillusione delle attese collettive è imputabile solo in parte alle ricadute locali di fattori macroeconomici globali. E in buona misura a un grave tradimento della fiducia collettiva e delle speranze di un intero popoloperpetrato da quei settori delle classi dirigenti che hanno continuato a depredare sistematicamente le risorse pubbliche destinate a creare lavoro e sviluppo.
Le relazioni delle Procure del distretto sui procedimenti per reati di corruzione, di concussione, di abuso del potere pubblico, ricompongono un quadro globale di devastante gravità per il numero dei soggetti coinvolti, per i loro ruoli apicali, per la serialità delle condotte, per la vastità e il radicamento delle reti corruttive, per l’omertà blindata che continua a coprire la pratiche corruttive, quasi superiore a quella mafiosa, per la straordinaria e ingentissima entità dei fondi pubblici depredati e distolti dalle loro finalità istituzionali.
Basti considerare che in uno dei procedimenti in corso, i fondi pubblici depredati ammontano a 100 milioni di euro, e che in tanti altri processi le cifre sono di poco inferiori e, nel loro insieme, assommano a miliardi.
Si tratta di una corruzione le cui ricadute macroeconomiche negative sono molto più gravi rispetto a quelle della Prima Repubblica. (…)
Se in passato la corruzione poteva essere finanziata con l’innalzamento della spesa pubblica, oggi, a causa dei vincoli europei, è finanziata con i tagli lineari alla spesa sociale: 100 milioni in più alla corruzione equivalgono a 100 milioni in meno per i servizi dello Stato sociale.
E a proposito di responsabilità collettive, non posso che ritornare ai guasti prodotti da un politica criminale che nell’ultimo ventennio ha sistematicamente ridotto e quasi azzerato i rischi e i costi penali per tutta la costellazione dei reati legati ai fenomeni corruttivi, creando di fatto una sorta di statuto impunitario.
“Ce lo chiede l’Europa”.
Ciò è avvenuto e continua ad avvenire in contrasto con le direttive europee in materia. L’inderogabile esigenza di adeguarsi alle direttive europee, riassunta nella frase “Ce lo chiede l’Europa”, ripetuta come un mantra quando si tratta di giustificare i tagli lineari alla spesa sociale e il depotenziamento dei diritti del lavoro, viene invece ignorata quando l’Europa ci chiede una efficace legislazione contro la corruzione.
Ben 13 anni è durata l’inerzia del Parlamento prima che venisse finalmente ratificata (…) la Convenzione di Strasburgo contro la corruzione del 1999. Ed è stata necessaria la minaccia di sanzioni europee perchè venisse finalmente emanata (…) una riforma dei reati contro la PA che non solo ha lasciato in buona misura irrisolti molti dei problemi preesistenti, ma anzi ha contribuito a indebolire ulteriormente la risposta repressiva sul fronte cruciale del reato di concussione per induzione prevedendo una riduzione delle pene edittali e la criminalizzazione con la pena della reclusione sino a 3 anni del concusso che denuncia il concussore.
Così, mentre sul fronte antimafia si prevedono provvidenze e sostegni economici per gli imprenditori che denunciano gli estorsori mafiosi rompendo il vincolo di omertà , all’opposto sul fronte della corruzione si minacciano sanzioni penali a chi denuncia gli estorsori in guanti gialli, rafforzando il vincolo di omertà .
Neanche l’incessante susseguirsi di scandali nazionali sembra sufficiente per una riforma legislativa di svolta che incida sui nodi cruciali per restituire efficacia dissuasiva all’azione repressiva.
Nell’elenco dei processi che ai sensi dell’art. 132 bis delle disposizioni di attuazione del c.p.p. devono essere trattati in via prioritaria, sono previsti i processi per i reati in materia di circolazione stradale e di immigrazione, ma significativamente non quelli per i reati contro la PA.
Prescrizione. I progetti di riforma in cantiere continuano a eludere i punti cruciali. In particolare per quello concernente la riforma della prescrizione, va ricordato che la Commissione europea, nella relazione del 2013 sulla corruzione in Italia, ha individuato nella disciplina normativa della prescrizione una delle principali cause dell’inefficacia del contrasto alla corruzione e ha sollecitato lo Stato italiano ad allineare tale fallimentare normativa a quella di tutti gli altri paesi europei.
Non pare coerente con tale sollecitazione il progetto governativo di riforma in cantiere, che invece prevede solo il temporaneo congelamento biennale della prescrizione dopo la sentenza di primo grado e annuale dopo quella di secondo grado.
Si tratta di una soluzione palesemente inadeguata ove solo si consideri che, come dimostrano i dati statistici di questo distretto e quelli nazionali, una percentuale elevatissima di prescrizioni si verifica nel segmento processuale antecedente la sentenza di primo grado a causa del decorrere dei termini di prescrizione non dalla data di accertamento del reato, ma da quello della sua consumazione (in Italia i procedimenti penali estinti per prescrizione sono stati circa l’11,4% nel 2007 e il 10,16% nel 2008, contro una media Ue nello stesso periodo che va dallo 0,1 al 2%).
Eppure una soluzione rapida ed efficace sarebbe a portata di mano.
Tenuto conto che oggi la corruzione costituisce una emergenza nazionale che provoca danni macroeconomici pari se non superiori a quelli della criminalità mafiosa, basterebbe estendere ai più gravi reati di corruzione lo speciale regime di prescrizione previsto dal comma 6 dell’art. 157 c.p. che contempla termini di prescrizione raddoppiati (…). Responsabilità civile.
Non posso concludere senza fare cenno alla ulteriore riforma in cantiere sulla responsabilità civile dei magistrati.
Si tratta di una legge ordinaria, ma di sostanza e portata costituzionale, per la sua idoneità a incidere sul delicatissimo sistema di bilanciamento dei poteri previsto dalla Costituzione, compromettendo le garanzie di indipendenza e autonomia dell’ordine giudiziario.
Non può che destare viva inquietudine in chiunque abbia a cuore l’ordine democratico, che nella relazione di accompagnamento a un progetto di legge che dovrebbe limitarsi a disciplinare le forme risarcitorie previste per i cittadini che hanno subìto un danno da provvedimenti giudiziari, sia invece esplicitamente enunciato che il tema della responsabilità civile dei magistrati merita di essere riesaminato in ragione “della esigenza di un riequilibrio delle posizioni politico-istituzionali coinvolte e del superamento definitivo del conflitto ancora in corso”.
Spiace constatare che trovi legittimazione culturale in una sede istituzionale (…) la falsificazione storico-concettuale secondo cui le condanne definitive per corruzione e accertati rapporti collusivi tra mafia ed esponenti del mondo politico, siano state non doverosa applicazione della legge, ma capitoli di un asserito conflitto tra ordine giudiziario e politica (…).
Viene da chiedersi dove e tra chi si starebbe svolgendo tale asserito conflitto. A noi risulta che nel Paese non vi sia alcun conflitto in corso, ma siano in corso solo doverose inchieste penali su scandali corruttivi come la vicenda Expo di Milano, il Mose di Venezia, Mafia Capitale a Roma, e ancora processi da Milano a Palermo sulle collusioni tra colletti bianchi e mafia; inchieste e processi anche su personaggi che, sebbene già condannati in passato per fatti analoghi, hanno avuto la possibilità di continuare a delinquere come e più di prima perchè rimasti pienamente inseriti in un mondo politico che non ha mai ritenuto di doverli emarginare.
Il cavallo di Troia.
Se questo è l’animus del legislatore o quantomeno di larghe componenti del mondo politico, resta forte il pericolo che, come ha evidenziato il Csm nella suo parere al disegno di legge, tale riforma possa divenire un occulto cavallo di Troia per ridisegnare gli equilibri costituzionali mediante la costruzione di una trama normativa che nelle pieghe di sofisticate tecnicalità giuridiche, incomprensibili alla pubblica opinione, metta nelle mani dei poteri forti, tra i quali anche quelli criminali, obliqui strumenti di condizionamento dell’indipendenza dei magistrati.
Non resta che fare appello e affidamento al senso di responsabilità collettivo e istituzionale.
Compromettere oggi l’indipendenza e l’autonomia dell’ordine giudiziario rivelatosi alla luce della lezione della storia come il più efficace, se non l’unico anticorpo, contro il dilagare pervasivo dell’illegalità , dell’uso distorto del potere pubblico, come ultima spiaggia per la difesa dei diritti, non sarebbe solo un vulnus inferto allo Stato democratico di diritto, ma una ferita forse mortale inferta nel corpo vivo della Nazione.
Roberto Scarpinato
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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