COSA IMPEDISCE ALL’ITALIA DI PROMUOVERE UNA COALIZIONE DI VOLENTEROSI PER ESFILTRARE VIA MARE CHI E’ CONDANNATO A MORTE ATROCE?
LA GRANDE IPOCRISIA DELL’OCCIDENTE DEVE FINIRE PRIMA CHE MUOIA L’ULTIMO PALESTINESE
La grande ipocrisia dello Stato palestinese deve finire prima che muoia l’ultimo palestinese. Eppure di fronte allo sterminio dei gaziani per mano israeliana alcuni governanti non solo europei sanno solo ripetere il ritornello “due popoli due Stati”. Arrivando a “riconoscere” lo Stato che non c’è né può esserci mentre quello che c’è s’industria a massacrarne il popolo minando ragioni e fondamenta della sua stessa esistenza. È lecito domandarsi se costoro siano in buona fede oppure no. Nel primo caso, vivono in un loro mondo. Nel secondo, il loro cinismo non ha confini. Poco importa.
Conta invece ricordare a noi stessi — tutti noi, perché di innocenti qui proprio non ce ne sono — che la vita ha sempre precedenza sulla terra. In chiaro: se per decreto divino sorgesse in futuro una Palestina sovrana accanto a un altrettanto sovrano Israele, quanti superstiti delle stragi o loro figli e nipoti potrebbero abitarvi? Quale miracolosa terapia consentirebbe a vittime e carnefici di trattarsi da buoni vicini?
Il segno dei tempi è la rimozione della realtà. Surrogata da narrazioni autistiche. Incapaci di considerare i punti di vista altrui. L’altro non esiste o scade a nemico permanente. Da persona a essenza. Il conflitto fra arabi palestinesi ed ebrei israeliani è ormai meccanico. Inumano. Sfigurato da fanatismi irreligiosi in lizza per spezzoni di terra insanguinata. Così si va dritti alla soluzione finale secondo Netanyahu: noi o loro. Illusione: sarà loro e noi. I vinti palestinesi e gli israeliani “vincitori”, barricati nel piccolo Grande Israele allargato a Gaza e Cisgiordania più coriandoli di Siria e Libano. Giungla nella giungla. Stato paria circondato da vicini tanto più vendicativi quanto più umiliati. Molto peggio: popolo inversamente eletto perché bollato genocida. Triste deriva del sionismo. Da rifugio per l’ebreo perseguitato a sua nemesi.
Ben-Gurion, patriarca di Israele, si rivolta nella tomba. Quando nel 1949 sull’onda della disfatta araba il generale Allon gli propose di fissare il confine dello Stato al Giordano, il primo ministro obiettò: «Vincolarci in territorio arabo ostile ci imporrebbe una scelta intollerabile: accettare centinaia di migliaia di arabi fra noi oppure espellerli in massa con i metodi di Deir Yassin» — villaggio palestinese presso Gerusalemme celebre per il massacro compiutovi l’anno prima da terroristi israeliani. Nulla in confronto a Gaza oggi.
Netanyahu vuole sgombrare la Striscia dai palestinesi in quanto bestie. Non una parola di tardiva contrizione per aver
cofinanziato — vantandosene — Hamas in quanto guardiano di Gaza.
La de-umanizzazione del popolo terrorista ne legittima la liquidazione. Spiega l’attore israeliano Gil Kopatz: «Se nutri gli squali finiscono per mangiarti. Se nutri i gaziani finiscono per mangiarti. Sono per l’estinzione degli squali e per lo sterminio dei gaziani. Non è genocidio. È pesticidio». Sindromi individuali? No. Quattro israeliani su cinque vogliono svuotare Gaza dei suoi abitanti, vivi o morti. I ministri Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir incitano ad affamare i palestinesi che occupano la Terra di Israele. Tutti colpevoli del 7 ottobre.
Questa non è guerra. È regolamento di conti fra una potenza nucleare e un nucleo di persone condannate a morte perché fra loro ci sono i colpevoli dell’orribile pogrom scatenato da Hamas. Solo Israele può fermare la strage dei palestinesi e il suo suicidio morale prima che sia troppo tardi. Qualcosa si muove nell’opinione pubblica. Alcuni militari rifiutano di sparare sui civili in fila per il pane che non c’è. Allargare questi spiragli significa salvare vite palestinesi e aiutare gli israeliani a non finire di punirsi. Serve una scossa.
Per esempio evitando che la desertificazione di Gaza comporti lo sterminio dei suoi ultimi sopravviventi. Per contribuire a evacuarne il più possibile, a cominciare dai feriti esposti ai bombardamenti degli ospedali, poi anche donne, bambini e anziani. In cambio degli ostaggi israeliani. Il tutto in regime di
tregua senza limiti. Che cosa impedisce all’Italia di promuovere una coalizione di volenterosi — compresi quelli della guerra alla Russia da combattere fino all’ultimo ucraino — per esfiltrare via mare chi è condannato a morte atroce? Se ogni Stato dell’Unione Europea salvasse un gaziano ogni diecimila dei suoi 450 milioni di abitanti ne avremmo 45 mila in meno anche sulla nostra coscienza. Gancio per gli israeliani che non si rassegnano ad imbarbarirsi, rendendosi involontario strumento dell’odio antiebraico in tutto il mondo. La soluzione finale non è inevitabile.
Sogno? Forse. Ma le alternative sono incubi: genocidio dei palestinesi e/o guerra civile israeliana nel contesto di conflitti spaventosi con turchi a Damasco e persiani atomici.
Sognatore non era certo Giulio Andreotti, cui spetta il copyright di questa proposta. Il 18 luglio 2006 l’anziano statista pronunciò in Senato un intervento ricordato per l’autoidentificazione con i rifugiati palestinesi in Libano: «Credo che ognuno di noi, se fosse nato in un campo di concentramento e non avesse da cinquant’anni nessuna prospettiva da dare ai figli, sarebbe un terrorista». Meno citato il seguito: «È possibile ipotizzare per questa comunità di rifugiati che sono nel Libano un insediamento da qualche parte nel mondo che crei una vita nuova?». Di più: secondo Andreotti si sarebbe applicato ai palestinesi lo schema caro al fondatore del sionismo, Theodor Herzl. Il quale nel 1903 era incline ad accettare la proposta britannica di un insediamento ebraico in Africa orientale (Piano Uganda, in realtà Kenya), perché la meta «non è né potrà mai essere Sion». Idea bocciata dagli ebrei russi: prima il sacro suolo poi la vita. Herzl ne morì di crepacuore l’anno dopo. Chissà che ne penserebbe oggi.
Lucio Caracciolo
(da rapubblica.it)
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