DISOCCUPAZIONE RECORD DAL DOPOGUERRA IN EUROPA: 17 MILIONI DI PERSONE IN PIU’, IN ITALIA I SALARI PIU’ BASSI
IL TASSO DI DISOCCUPAZIONE DAL 5,8% DEL 2007 E’ SALITO ALL’8,7%… LA BUSTA PAGA MEDIA IN ITALIA E’ DI 31.462 EURO, CONTRO LA MEDIA UE DI 37.172 EURO…80 MILIONI DI EUROPEI IN DIFFICOLTA’
Partito dal 5,8% a fine 2007, il tasso di disoccupazione nell’area Ocse è cresciuto fino al punto massimo del dopoguerra, l’8,7%, nel primo trimestre 2010, che corrisponde a 17 milioni di persone disoccupate in più.
Lo denuncia l’Employm ent outlook 2010 dell’Ocse, presentato a Parigi, che sottolinea come questo calo del tasso di occupati sia stato di intensità differente nei vari Paesi membri.
Nel documento si ribadisce anche come i salari italiani siano agli ultimi posti tra quelli dei paesi avanzati.
Nel 2008 si attestano in media a 31.462 euro (-0,1% rispetto al 2007), contro i 37.172 euro dei paesi Ocse (+0,1%) e i 37.677 dei paesi Ue (+0,5%).
Dietro di noi solo Polonia (11.786 euro), Ungheria (12.462), Repubblica Ceca (13.613), Corea (20.838), Grecia (25.177) e Spagna (28.821).
Nettamente meglio Stati Uniti (40.243 euro), Francia (39.241) e Germania(37.203)
“I paesi Ocse devono creare 17 milioni di nuovi posti di lavoro per tornare ai livelli precedenti la crisi, ha detto il segretario generale dell’organizzazione Angel Gurrìa.
“Rudirre insieme la disoccupazione e i deficit pubblici è una sfida molto difficile, ma antrambe le cose sono necessarie. Nonostante i segni di ripresa nella maggior parte dei paesi, rimane il rischio che milioni di persone perdano contatto con il mondo del lavoro. L’alta disoccupazione non può essere accettata come una nuova normalità e bisogna adottare una strategia politica di integrazione”.
Il “job gap”, ha proseguito Gurrìa, varia a seconda dei paesi. Gli Stati Uniti hanno bisogno di creare 10 milioni di nuovi posti, nella piccola Irlanda ne bastano 318.000, ma è un aumento del 20%; in Spagna mancano due milioni e mezzo di posti per tornare ai livelli pre-crisi di fine 2007.
Nel complesso dell’area Ocse i disoccupati sono oggi 47 milioni. Ma aggiungendo le persone che hanno smesso di cercare lavoro o sono a part-time e vorrebbero un impiego a tempo pieno, cioè i sotto-occupati, si arriva alla stratosferica cifra di 80 milioni.
In queste condizioni, ha concluso Gurrìa, i governi devono attentamente bilanciare le politiche di consolidamento fiscale e quelle, che devono essere perseguite contemporaneamente, di aiuto alle persone in stato di necessità , che sono soprattutto i giovani e disoccupati di lungo termine.
E cosa succederà in Italia?
L’impatto della crisi sul mercato del lavoro italiano è stato fino a oggi moderato rispetto a molti altri paesi Ocse.
Tuttavia, il Rapporto sull’occupazione suggerisce un peggioramento delle condizioni del mercato del lavoro nell’ultimo anno.
A maggio, il tasso di disoccupazione ha raggiunto l’8,7% in Italia, vale a dire un incremento di due punti percentuali dall’inizio della crisi, inferiore alla crescita media degli alti paesi nello stesso periodo (2,8 punti percentuali). Inoltre la ripresa dell’attività economica non porterà probabilmente a una creazione significativa di occupazione nel breve periodo: infatti, le proiezioni Ocse suggeriscono che la disoccupazione rimarrà pressochè costante sino alla fine del 2011.
La principale risposta del governo italiano alla crisi occupazionale è stata il sostegno ai redditi dei lavoratori non aventi diritto a un sussidio di disoccupazione ed, in particolare, il maggior ricorso alla cassa integrazione (Cig).
Nella fase di ripresa economica è però essenziale creare incentivi adeguati alle imprese ad assumere lavoratori e quindi ridurre la disoccupazione.
Il Rapporto suggerisce che, da un punto di vista internazionale, l’Italia è tuttora caratterizzata da un ordinamento del mercato del lavoro piuttosto rigido e da una mobilità del lavoro limitata.
Per promuovere la produttività e una più ampia creazione di posti di lavoro, sarebbe necessaria una riforma dei contratti di lavoro, tale da rendere più efficace la riallocazione dei lavoratori nella fase di ripresa.
Tuttavia, una tale strategia di riforma potrebbe generare una maggiore mobilità subita per alcuni lavoratori con contratti permanenti e si dovrebbe quindi coniugare con ulteriori sforzi nelle politiche del welfare volti a rafforzare il sostegno di reddito per i disoccupati.
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