E L’ULTIMA APERTURA DEL PAPA VERSO I GAY SMONTA L’ALIBI DEI PARTITI SUI DIRITTI CIVILI
MOSTRI DI IPOCRISIA SPARSI IN TUTTI GLI SCHIERAMENTI
I piccoli mostri, che fanno accapponare la pelle a papa Francesco, sono tra noi. In Parlamento. Da decenni.
E sono quei cattolici di convenienza o impelagati nello scambio elettorale, che da sempre bloccano qualsiasi progresso nei diritti civili.
Poi ci sono i cattolici muti, quelli che hanno tutti gli strumenti culturali per capire che lo Stato moderno deve regolare i nuovi fenomeni sociali, ma preferiscono non parlare e svicolare, agitando lo slogan che “non è il momento”, perchè temono di urtarsi con la gerarchia ecclesiastica.
Dal dopoguerra a oggi li abbiamo conosciuti tutti.
Prima c’erano i democristiani di facciata — non parliamo di quelli di convinzioni profonde alla De Gasperi o alla Dossetti o a qualsiasi corrente appartenessero — democristi di casacca, che in privato sguazzavano in ogni trasgressione come nell’indimenticabile film “Signore e Signori” di Germi, ma in pubblico plaudivano ipocritamente ai bavagli in Rai, alle censure cinematografiche e al blocco in Parlamento di leggi immorali come il divorzio e l’interruzione di gravidanza.
Svanita la Democrazia cristiana è iniziata l’era dell’alleanza tra Vaticano e Berlusconi per arginare naturalmente il “comunismo” e quel nemico per il quale si è inventato un neologismo privo di senso: il “laicismo radicale”.
Dunque, auspice il Vaticano di Wojtyla e quello ratzingeriano, andava bene il premier delle Olgettine, che produceva leggi a favore dei falsari di bilanci, evasori fiscali, delinquenti di vario tipo favoriti da prescrizioni ammazza-sentenze, purchè facesse da scudo contro le terribili leggi tipo unioni civili o testamento biologico.
Se poi, in un sussulto di decenza e ascoltando soprattutto la voce schifata di milioni di cattolici, l’Avvenire si permetteva qualche timido rimbrotto, si litigava un po’ e si decapitava il direttore Boffo. Capitolo chiuso, l’alleanza riprendeva.
La variante sofisticata era rappresentata dagli “atei devoti”, persone di allegro cinismo, ma convinte della necessità di schierarsi con il cristianesimo nella sua versione più integralista sempre per bloccare la minaccia laica.
A loro andava bene Benedetto XVI con i suoi “principi non negoziabili”, ignorati da tutte le democrazie cristiane europee, ma in Italia agitati dalla Conferenza episcopale per sabotare il referendum sulla procreazione assistita, la legge sulle unioni civili, il testamento biologico, il divorzio breve, le norme anti-omofobia.
Bisogna dire, però, che i piccoli mostri di ipocrisia si sono sparsi in tutti gli schieramenti dell’ultimo ventennio. A destra come a sinistra.
E ogni volta che arriva in parlamento un progetto di legge, che faccia uscire l’Italia dal sonno medievale, si precipitano in tv, pontificando che non è il momento, che si indebolisce la famiglia, che la vita è sacra (l’inizio e la fine, pare di capire, perchè del periodo di mezzo in termini di lavoro, di servizi, di funzionamento dello stato, di moralità pubblica, uno se ne può anche infischiare…).
Insomma, che è sempre meglio rimandare.
Ora però c’è una novità . È arrivato sul trono papale un prete di nome Francesco.
Che non ha modificato di una virgola la “dottrina” e dunque (se capita) parla del diavolo, considera negativamente l’aborto, è contrario ai matrimoni gay, ma ha chiarito nero su bianco che la Chiesa non deve svolgere “ingerenza spirituale”. Dunque basta con le manovre di una Cei che organizzi l’astensione al referendum sulla procreazione assistita o precetti l’associazionismo cattolico per indire un Family Day.
La rivoluzione di Francesco significa una cosa molto semplice: la Chiesa si impegna a formare coscienze cristiane e con il dialogo a stimolare anche quelle agnostiche, ma non vuole e non deve — il papa lo ha chiarito espressamente — mettersi a fare lobby e meno che mai alleanze partitiche per imporre il suo punto di vista in parlamento.
Non si capisce allora in nome di chi parlano i soliti improvvisati “difensori della fede”.
Se Francesco invita il clero a prendersi cura dei casi concreti delle coppie divorziate, delle donne che hanno abortito, dei bambini — lo ha detto recentemente ai superiori degli ordini religiosi — che vivono con la mamma e la “fidanzata di mamma”, a maggior ragione il Parlamento deve finalmente legiferare sui diritti civili e su fenomeni sociali che attendono di essere regolamentati.
Sapendo che da decenni la maggioranza dei cattolici in tutte le inchieste ha ribadito il suo sì al divorzio, il suo no alla restrizione della legge sull’aborto, il suo sì alle convivenze e alle unioni civili etero e omosessuali.
La verità è che i parlamentari pseudo-religiosi non hanno nessun contatto con i cittadini cattolici in carne e ossa.
Chi vuole, può anche fare un salto a Buenos Aires e informarsi. A Bergoglio non piacciono le nozze gay, ma quando nella Capitale argentina si discusse una legge locale per le unioni civili, l’arcivescovo Bergoglio non mosse un dito.
E la norma passò senza ingerenze.
Marco Politi
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