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ECCO COME SONO STATE MANTENUTE DA BERLUSCONI LE PROMESSE DEL PRIMO CONTRATTO CON GLI ITALIANI

FU PRESENTATO L’8 MAGGIO 2001 DA VESPA A “PORTA A PORTA”

1.Meno tasse per tutti

«Abbattimento della pressione fiscale
— con l’esenzione totale dei redditi fino a 22 milioni di lire annui [11.362 euro, nda];
— con la riduzione al 23% dell’aliquota per i redditi fino a 200 milioni [103.291 euro, nda];
— con la riduzione al 33% dall’aliquota per i redditi sopra i 200 milioni;
— con l’abolizione della tassa di successione e della tassa sulle donazioni.»
È l’8 maggio del 2001, mancano cinque giorni alle elezioni, quando Silvio Berlusconi, sulla scrivania di ciliegio offerta da Bruno Vespa a «Porta a Porta», mette la riduzione delle imposte al primo posto del suo «Contratto con gli italiani».

Cinque anni dopo, la promessa non è stata mantenuta.
Le due aliquote non sono entrate in vigore. La pressione fiscale complessiva è rimasta sostanzialmente immutata. Secondo il documento di programmazione economico e finanziaria del governo Berlusconi per il 2006-2009, era pari al 42,2% del prodotto interno lordo nel 2001; ed è scesa ad appena il 41,7% nel 2004.
Secondo altre stime più attendibili, è anzi complessivamente aumentata con le tasse degli enti locali e le ondate di rincari delle tariffe.
L’unico obiettivo centrato è l’abolizione della tassa di successione e di quella sulle donazioni.
Nel primo Consiglio dei ministri del Berlusconi-2, è stata approvata la riforma dell’imposta di successione. Una legge per super-ricchi. L’Ulivo aveva già  abbattuto la tassa fino ai 350 milioni di lire per ogni erede con un’aliquota del 4%.
Il 90% dei cittadini italiani era al di sotto della franchigia. A Berlusconi, però, non bastava. Mentre Bill Gates si batteva per mantenere la tassa in America, il nostro premier l’aboliva. Permettendo così ai suoi eredi di risparmiare in futuro, secondo una stima dello stesso Berlusconi, almeno 58 miliardi di lire.

2. Città  più sicure

«Attuazione del “Piano per la difesa dei cittadini e la prevenzione dei crimini” che prevede tra l’altro l’introduzione dell’istituto del “poliziotto, carabiniere o vigile di quartiere” nelle città  con il risultato di una forte riduzione del numero dei reati rispetto agli attuali 3 milioni.»
Nel 2001, quando Berlusconi mette nero su bianco la sua seconda promessa, i reati commessi ogni anno in Italia non sono 3 milioni, ma 2.163.826, contro i 2.205.782 del 2000 (fonte Istat). Negli anni seguenti non solo non diminuiscono, ma aumentano.
Dal rapporto Censis, reso pubblico il 3 dicembre 2004, si evince che nei primi 24 mesi di governo Berlusconi la criminalità  ha ripreso a correre: tra il 2001 e il 2003 si verifica un incremento del 6,7% e il numero dei reati toccherà  quota 2.456.826.
All’inaugurazione dell’anno giudiziario 2005 il procuratore generale Francesco Favara segnala un’ulteriore crescita: tra il luglio 2003 e l’agosto 2004, i reati denunciati per i quali è stata iniziata l’azione penale sono il 3,7% in più dello stesso periodo del 2002-2003.
Dunque i reati sono aumentati nonostante l’introduzione del poliziotto di quartiere.
Secondo il premier (a «Porta a Porta», 19 dicembre 2005), gli agenti e i militari impiegati in questo specifico servizio sarebbero 3701.
A metà  agosto del 2004, secondo il ministero dell’Interno, erano 1900 e operavano in 433 quartieri o zone da circa 10 mila abitanti.
A ferragosto dell’anno successivo il Viminale assicurava che il loro numero era salito a 2200.
In ogni caso, per garantire un poliziotto di quartiere ogni 10 mila abitanti in tutto il Paese servirebbero almeno 5900 uomini, che diventerebbero più di 16 mila volendo alternarli in turni di otto ore.
Lo stesso Berlusconi sembra rendersene conto. Infatti, in caso di rielezione, ha promesso di aumentarli fino a 10 mila.
Nell’attesa, ha mancato anche il secondo obiettivo del Contratto.

3. Pensioni più dignitose

«Innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione di lire al mese.»
Il terzo punto del «Contratto con gli italiani» non ammette repliche.
Già  nella finanziaria 2001 il governo stanzia 2 miliardi e 169 milioni di euro per cercare di mantenere l’obiettivo. I soldi però non bastano.
È lo stesso governo, in una relazione tecnica, a stimare che quel denaro è sufficiente a «coprire» solo 2 milioni e 200 mila pensionati.
Alla fine però solo un milione e 800 mila incasseranno effettivamente l’aumento.
Ma gli aventi diritto, stando alla lettera della promessa, sono appunto il quadruplo.
La Uil infatti calcola che gli anziani che nel 2001 ricevono ogni mese meno di 516 euro (pari a un milione di lire) sono 5.901.244.
Secondo l’economista Tito Boeri, alla fine del 2002 sono addirittura saliti a 8 milioni.
Insomma, per il 75% dei pensionati con meno di un milione di lire al mese l’impegno di Berlusconi non vale. Il perchè è presto detto.
Per mantenere la parola servirebbero ogni anno dagli 11,5 ai 17 miliardi di euro.
Fino a un punto e mezzo del Pil. Una soluzione possibile sarebbe quella di aumentare le pensioni minime a tutti coloro che hanno compiuto 65 anni.
Ma anche in questo caso il piatto piange: servirebbero 8,67 miliardi euro.
Per questo si decide di aumentare solo la pensione minima a chi ha più di 70 anni, semprechè non cumuli un reddito di coppia superiore ai 6800 euro annui.
In barba al Contratto con gli italiani, che non faceva alcuna distinzione. «Fatto l’annuncio, gabbato l’anziano», commenterà  nel gennaio 2004 Dario Di Vico sul Corriere della Sera.
Il risultato è particolarmente odioso.
Nei primi mesi del nuovo governo, centinaia di pensionati telefonano all’Inps reclamando inutilmente l’aumento. E alla fine qualcuno decide di passare alle vie legali.
Nel 2006 Berlusconi viene citato in giudizio da una pensionata, Ida Severini, che gli contesta l’inottemperanza del Contratto.
Il presidente del Consiglio dovrà  presentarsi, accompagnato dai testimoni Bruno Vespa e Roberto Maroni (ministro del Welfare), il 28 febbraio davanti al giudice di pace di Roma.
La Severini, 78 anni, nata a Recanati e residente a San Cesareo (Roma), lamenta la mancanza di 138 euro sulla sua pensione e rivela di aver votato Berlusconi alle Politiche del 2001: «Ho deciso di votarlo — spiega — proprio dopo averlo sentito annunciare il terzo punto del Contratto: l’innalzamento delle pensioni minime ad almeno 1 milione di lire al mese».
Ha atteso quasi cinque anni invano. Poi ha deciso, appoggiata dall’Italia dei Valori e dalla Lista Consumatori, di trascinare il premier in tribunale per il mancato adempimento di una «promessa al pubblico», secondo quanto previsto dal Codice civile.
Cause simili vengono intentate anche da pensionati di Udine e Bolzano.

4. Più lavoro per tutti

«Dimezzamento dell’attuale tasso di disoccupazione con la creazione di almeno 1 milione e mezzo di nuovi posti di lavoro».
Nei cinque anni di governo Berlusconi, i disoccupati sono diminuiti, ma di poco.
Non certo dimezzati.
Secondo Eurostat, nel gennaio 2001 il tasso dei senza lavoro era pari al 9,9%. Cinque anni dopo è sceso al 7,1%.
Per dimezzarlo bisognerebbe toccare quota 4,95, obiettivo ormai irraggiungibile.
Anche guardando i dati numerici, il milione e mezzo di nuovi posti è ben lontano dall’essere realizzato.
Secondo i dati del Sole-24 Ore dell’8 gennaio 2006, l’incremento totale degli occupati tra il 2001 e il 2005 è stato in tutto di 1 milione e 74 mila unità .
A questa cifra, già  lontana dalla promessa iniziale, vanno oltretutto detratti gli immigrati clandestini che un lavoro l’avevano già  prima del 2001 e che Berlusconi infila tra i «nuovi occupati» solo perchè hanno regolarizzato la loro posizione uscendo dal sommerso: 343 mila persone sulle oltre 650 mila ammesse alla sanatoria.
I nuovi posti scendono così a 731 mila: meno della metà  di quelli promessi.
Comunque la si guardi, insomma, la clausola del contratto non è stata rispettata, anche se il ministro del Welfare Maroni assicura che sono stati creati «circa 2 milioni di posti di lavoro», senza peraltro specificare che nello stesso periodo ne sono andati perduti centinaia di migliaia. Ma non è tutto.
Anche l’apparente crollo della percentuale dei disoccupati ha una spiegazione tutt’altro che incoraggiante: visto che il lavoro non si trova, molti iscritti alle liste di collocamento smettono di cercare un impiego e si cancellano dagli elenchi.
Lo dice a chiare lettere proprio l’Istat nella sua relazione sulla disoccupazione: «Il motivo principale del calo è lo scoraggiamento dal cercare lavoro».

5. Più cantieri per tutti

«Apertura dei cantieri per almeno il 40% degli investimenti previsti dal “Piano decennale per le Grandi Opere” considerate di emergenza e comprendente strade, autostrade, metropolitane, ferrovie, reti idriche e opere idro-geologiche per la difesa dalle alluvioni.»
Secondo Il Sole-24 Ore del 6 gennaio 2006, nemmeno questo obiettivo — peraltro generico (aprire i cantieri non è la stessa cosa che costruire le opere) — è stato raggiunto.
Alla luce dei dati disponibili forniti dal ministero delle Infrastrutture, si è raggiunto appena il 21,4% degli investimenti previsti dalla legge.Infatti sono stati appaltati cantieri per 51,2 miliardi su un totale di 173. E se anche nel giugno 2006 ci si arriverà , come garantito dal ministro Pietro Lunardi nel suo «bilancio sulla legge obiettivo a quattro anni dalla sua approvazione», si toccherebbe al massimo quota 25,4%.
Ben lontana dal traguardo del 40%.
Il ministero però sostiene che a giugno l’obiettivo sarà  raggiunto e superato, arrivando al 45% delle opere «affidate e/o cantierate». Ma l’affidamento di un’opera, pur rappresentando per molti versi un punto di non ritorno, è qualcosa di molto diverso dall’apertura di un cantiere. Esempio: l’appalto per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina.
Il 24 novembre 2005 la realizzazione dell’opera è stata assegnata a Impregilo, ma prima che le ruspe si mettano al lavoro passerà  molto tempo: si arriverà  a fine 2006, secondo le stime della stessa impresa appaltatrice, o forse molto più tardi se ci saranno intoppi nella progettazione definitiva e/o esecutiva, nella verifica di impatto ambientale, nella successiva approvazione del Cipe, previo consulto con le regioni. In ogni caso, anche se il governo Berlusconi ha fatto qualcosina in più degli esecutivi precedenti, non si può certo sostenere che abbia mantenuto la quinta promessa.

6. Se non mantengo vado a casa

«Nel caso in cui al termine dei 5 anni di governo almeno 4 su 5 di questi traguardi non fossero stati raggiunti, Silvio Berlusconi si impegna formalmente a non ripresentare la propria candidatura alle successive elezioni politiche.»
Pur avendo mancato tutti e cinque i traguardi, Silvio Berlusconi si ricandida.
Così non mantiene nemmeno il sesto e ultimo impegno.

(da “Le Mille balle blu” (edizioni Bur) di Peter Gomez e Marco Travaglio)

This entry was posted on lunedì, Febbraio 4th, 2013 at 00:03 and is filed under Berlusconi. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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BERLUSCONI PROMETTE I SOLDI INDIETRO, MA SBAGLIA PURE I CONTI »

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