FOTO NAZI, GAFFE E GUAI: LA SCALATA AL PARTITO DI BIGNAMI ALL’OMBRA DI GIORGIA
IL LASCIAPASSARE: FAR PARTE DELLA GENERAZIONE DI 50ENNI CRESCIUTI CON LE SORELLE MELONI
Di Giorgia Meloni si sente dire che è brava e scaltra Ma poi regolarmente si leva al cielo la squalifica delle squalifiche, la delusione delle delusioni che ogni possibile virtù oscura e cancella: ah, ma quelli di cui si circonda!
Galeazzo Bignami, il capogruppo dai capelli ricci, è appunto uno di costoro. Senza fare di tutt’erba un fascio si tratta di cinquantenni più o meno coetanei della premier e di Arianna Meloni, facenti capo a una cosiddetta “generazione Atreju”; e come tali dotati, per volontà delle suddette sorelle, non solo di uno speciale lasciapassare che gli apre le impervie strade del potere, ma anche di un ancora più utile salvacondotto che in diversi casi, forse troppi (Lollo, Donzelli, Delmastro, Fidanza, Montaruli) li ha preservati dalle gaffe, dai guai e dagli inevitabili intoppi della carriera politica.
Tale appartenenza, seppur comprensibile sul piano dei rapporti umani, supera decisamente i normali vincoli di partito, collocandosi in una dimensione che l’odierna scienza politica, almeno quella senza troppi peli sulla lingua, qualifica di ordine neo-tribale — e non si tratta solo di essere invitati o meno al recente party per il compleanno di Arianna in un locale, peraltro non lontano dalla mitica sezione di Colle Oppio, dal nome a suo modo destinale: “The Sanctuary”.
A differenza di tutti gli altri ex giovanotti di derivazione fantasy-atrejuana il bolognese Galeazzi, figlio d’arte missino e precoce dirigente in Emilia, sconta agli occhi del grande pubblico un peccato di gioventù lontano ma irresistibilmente tragicomico. Perché circa vent’anni orsono, come l’odierno presidente del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia fu costretto a raccontare durante la campagna elettorale del 2016, alcuni suoi amici o forse meglio camerati, comunque molto cattivi, lo acchiapparono, gli misero un cappuccio sulla testa, lo infilarono dentro una macchina e una volta in campagna, a Brento, frazione di Bologna, prima tappa della Via degli Dei, lo fecero mascherare da nazista, con tanto di croce uncinata all’avambraccio. Dopo di che, non paghi, lo fotografarono: per ricordo, ahilui.
Anche dopo tanti anni, la cosa più singolare per chi non è dell’ambiente è che si trattava di un addio al celibato, molto probabilmente dello stesso Bignami, nazi-cosplay riluttante e in seguito proditoriamente inguaiato da qualche euforico delatore ottico — a riprova dei misteri di questa nostra Italia dove la vigilia delle nozze non è accompagnata solo da sregolatezze alcoliche, drogherecce e sessuali, ma anche storico-dittatoriali.
Da allora non c’è passo che egli compia senza che non gli venga rinfacciata quella foto; e siccome siamo nell’era del pop, il che vuol dire che bombardati dalle informazioni tutti scordano tutto, sarà bene ricordare che nel 2023 Fedez la strappò coram populo in pieno festival di Sanremo.
Dopo di che, fino a qualche mese fa la notorietà di Bignami, che di persona sarà senz’altro meglio dei suoi travestimenti, ma che la migliore sociologia (De Rita) potrebbe qualificare nel novero dei “gerarchi”, è rimasta limitata a livello locale, senza altri gustosi racconti. Se proprio occorre reperire qualche nota insolita e/o illuminante sul personaggio tocca accontentarsi del fatto che l’ultimo giorno della campagna elettorale del 2022, anzi durante il silenzio prima del voto, si fece promotore della visita di Meloni a un mercato ortofrutticolo e in quella sede le suggerì di prendere in mano due meloni, rendendoli protagonisti di un furbo e ammiccante siparietto, chissà quanto efficace.
Vai anche a sapere adesso, al di là del teatrino e del polverone, la precisa dinamica e gli scopi dell’attacco di Bignami al Quirinale. Ridotto all’essenziale, col massimo rispetto, però anche facendo conto dell’esperienza, il dilemma figurato è: kamikaze autonomo o sicario per conto di quale mandante?
Di solito, quando si tratta di dare un pestone non al primo che passa, ma a persona di fiducia del presidente della Repubblica, le gerarchie e le catene di comando che legano Palazzo Chigi ai capigruppo sconsigliano iniziative autonome e reazioni a caldo. Non di rado, quando il misfatto è ormai compiuto, si dà la colpa a un equivoco o a un quiproquo. L’errore è già un’altra cosa, mentre la colpa ha serie conseguenze.
(da agenzie)
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