GELMINI STELLA DEL GARDA: VUOLE UNA MAXI FOGNA CON UN CLUB DI PREGIUDICATI
CANDIDATA A DESENZANO, E’ IL GRANDE SPONSOR DI UN DEPURATORE DA 220 MILIONI… TRA AMMINISTRATORI E PROGETTISTI C’E UNA SQUADRA DI CONDANNATI PER CORRUZIONE
Mariastella Gelmini paladina dell’ambiente. Con una bella squadra di pregiudicati. L’ex grande riformatrice della pubblica istruzione si è ricandidata per Forza Italia nel collegio bresciano del Lago di Garda, il suo feudo elettorale, dove è nata e cresciuta politicamente.
Prima di salire alla ribalta nazionale come parlamentare e ministro del quarto governo Berlusconi, infatti, Gelmini era stata presidente del consiglio comunale di Desenzano, poi assessore al territorio della provincia di Brescia, quindi consigliere regionale e coordinatrice lombarda di Forza Italia.
Dal 2015 è diventata anche presidente della Comunità del Garda, l’ente di rappresentanza che riunisce i tanti piccoli comuni che vivono di turismo attorno al più grande lago italiano.
In questi mesi, mentre si avvicinava la campagna elettorale, Mariastella Gelmini si è battuta come una leonessa per una grande opera ambientale: un nuovo mega-sistema di depurazione, per sostituire l’attuale sgangheratissima rete di raccolta fognaria.
Oltre cento chilometri di condutture divise tra Lombardia e Veneto, tutte da rifare. Un maxi-progetto da 220 milioni di euro.
Quando i governi Renzi e Gentiloni hanno stanziato i primi cento milioni di fondi pubblici, la leader bresciana di Forza Italia non ha nascosto la sua esultanza: accantonata ogni faziosità , ha ringraziato pubblicamente, in particolare, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e la parlamentare veronese del Pd Alessia Rotta.
Un impegno per il territorio senza confini di partito: tutti uniti per salvare il Lago di Garda.
L’idea di costruire un’unica colossale rete fognaria (chiamata in gergo “collettore”), per trasportare tutti gli scarichi lombardi e veneti fino al maxi-depuratore di Peschiera del Garda, risale agli anni Settanta e ha avuto un’esecuzione disastrosa: lavori mal fatti, tubazioni rotte, condutture che perdono liquami, spiagge inquinate, bagni vietati, con immancabili scandali, inchieste e processi.
Quindi dagli anni Ottanta ad oggi i due consorzi pubblici, veronese e bresciano, hanno dovuto continuare a tappare i buchi, sostituire le mega-condotte, rifare gli impianti anche più volte.
Nel frattempo molte amministrazioni locali, soprattutto di centrodestra, hanno approvato nuove devastanti colate di cemento: decine di migliaia di seconde case, residence e altre costruzioni di ogni tipo, che hanno intasato di scarichi il vecchio collettore, fino a provocare lo stop ai liquami.
Nei comuni più cementificati della riviera bresciana, ci sono nuovi quartieri residenziali che non possono più allacciarsi alle fognature pubbliche sovraccariche.
Di qui il nuovo maxi-progetto: rifare tutto, con un collettore-bis nuovo di zecca sulla sponda bresciana, separato rispetto al maxi-impianto veronese, a sua volta da rinnovare quasi completamente.
In tutta la zona, critiche e discussioni politiche si sono finora concentrate sull’impatto ambientale e sui costi del nuovo mega-progetto.
In Trentino, una regione verde dove è vietata da anni anche la navigazione a motore, i comuni del lago hanno propri depuratori, piccoli e perfettamente funzionanti.
Le amministrazioni venete e lombarde, sotto l’egida di alcuni big della politica, Gelmini in primis, insistono invece per rifare tutta la grande opera: il collettore deve raddoppiare.
Nei dibattiti pubblici, organizzati per pubblicizzare il maxi-appalto tra gli abitanti che dovranno tassarsi per pagare almeno metà della spesa, finora nessuno ha posto la domanda che in un paese come l’Italia di solito è decisiva: chi gestirà tutti questi soldi? Tecnici di specchiata onestà o personaggi discutibili?
Le prime risposte arrivano dal Veneto, dove il super-progetto è già decollato.
A gestirlo è l’Azienda gardesena servizi (Ags), che da qualche tempo ha un nuovo presidente: un illustre condannato di Tangentopoli.
Si chiama Angelo Cresco, è stato un parlamentare del Psi di Craxi, fino a quando, tra il 1993 e il 1994, l’allora procuratore veronese Guido Papalia ha scoperchiato il sistema della corruzione locale.
A Verona, come a Milano, le tangenti venivano spartite a livello centrale, con percentuali prestabilite tra le correnti più forti della Dc, da una parte, e il Psi dall’altra. Quindi Cresco è rimasto coinvolto in una mezza dozzina di indagini, come beneficiario politico della fetta di mazzette di volta in volta destinate al suo partito.
A quel punto ha confessato, ha patteggiato varie condanne e ha risarcito i danni accertati.
In un memoriale straziante, al culmine di Tangentopoli, si era anche impegnato a cambiare vita e dire addio alla politica. Poi, però, ci ha ripensato.
Nel 2001 è rispuntato come segretario regionale veneto del Nuovo Psi, che nel 2005 ha svoltato a destra, garantendo il suo appoggio a Forza Italia.
Che in Veneto ha riportato alla vittoria l’allora governatore Giancarlo Galan, poi condannato come recordman delle tangenti per il Mose di Venezia: il più grave scandalo di corruzione degli ultimi vent’anni.
Ora proprio Cresco dovrà guidare la vigilanza politica sui grandi appalti del Garda, per evitare che il collettore possa diventare un nuovo Mose.
Sulla riviera veronese le gare sono già partite.
Il 30 gennaio scorso l’Ags di Cresco ha pubblicato il bando per la progettazione definitiva del nuovo collettore, nel troncone nord che va da Malcesine a Torri del Benaco. Costo previsto: 74,9 milioni.
Solo per il disegno finale dell’opera, l’azienda pubblica presieduta dall’ex onorevole Cresco ha stanziato 928 mila euro.
Per gli studi professionali interessati, però, i tempi sono strettissimi: il progetto definitivo va consegnato già entro il prossimo 13 marzo. Il 14 mattina, dieci giorni dopo le elezioni, si apriranno le buste.
E il percorso tecnico è già segnato: la base della gara è un «progetto preliminare» già assegnato nel 2011.
Sui documenti è regolarmente stampigliato il nome della società privata che da allora ha studiato e impostato il nuovo collettore: Technital.
Esattamente la stessa ditta che ha progettato, tra mille polemiche, le barriere subacquee del Mose, che finora sono costate alla casse statali ben cinque miliardi di euro, ma non hanno ancora cominciato a salvare Venezia dall’alta marea.
Sulla qualità dei progetti targati Technital, sono agli atti del processo di Venezia, in particolare, le critiche feroci messe a verbale da Piergiorgio Baita, l’ex manager della Mantovani spa, nelle sue confessioni-fiume dopo l’arresto.
Mister Mose si è assunto la responsabilità di dichiarare ai magistrati che «la Technital lavorava malissimo, ma era intoccabile», perchè «protetta politicamente» da alcuni big nazionali di Forza Italia.
Che sia la stessa società , lo riconferma il sito aziendale, che a tutt’oggi sbandiera le foto dei principali progetti in cantiere: dal Mose di Venezia, appunto, al nuovo maxi-collettore del Garda.
Ancor prima dello scandalo Mose, la Technital era stata al centro di aspre critiche per l’oscurità della sua struttura proprietaria: l’intero capitale, infatti, è intestato a fiduciarie, cioè ad apposite società -paravento che permettono di tenere segreti, legalmente, i nomi degli azionisti.
Soltanto le indagini veneziane (e quelle milanesi sui vari appalti dell’Expo) hanno poi rivelato l’effettivo titolare della misteriosa Technital: Alessandro Mazzi, il patron del colosso Fincosit, arrestato e condannato a quattro anni per le maxi-corruzioni del Mose.
Negli incontri pubblici con i cittadini del Garda, beninteso, il progetto del nuovo collettore è stato presentato non dagli azionisti, ma dagli ingegneri della Technital: tecnici preparati ed esperti, che non hanno mai avuto problemi giudiziari.
Mentre l’ex onorevole Cresco, dopo le condanne di Tangentopoli, non è più ricaduto nel vizio della mazzetta.
Vista l’esperienza passata delle grandi opere all’italiana, però, un interrogativo s’impone: per gestire la maxi-fognatura tanto cara alla Gelmini e agli altri sponsor politici veronesi e bresciani, non si poteva trovare qualche incensurato?
(da “L’Espresso”)
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