GIORGIA MELONI E’ IN BRODO DI GIUGGIOLE ALL’IDEA DI FARSI FOTOGRAFARE ACCANTO A TRUMP AL VERTICE DI SHARM SU GAZA (URSULA VON DER LEYEN E KAJA KALLAS PER L’UE NON CI SARANNO) LA DUCETTA NON HA CAPITO CHE IL TYCOON RISCUOTE SEMPRE LA “TASSA”: ORA PRETENDE CHE L’ITALIA MANDI 500 CARABINIERI A GERICO PER ADDESTRARE LE FUTURE FORZE DI SICUREZZA PALESTINESI
IL GOVERNO E’ DISPONIBILE A MANDARNE 250: IL MINISTRO DELLA DIFESA CROSETTO E IL COMANDO DELL’ARMA RICORDANO BENE GLI ATTACCHI ISRAELIANI CONTRO LE BASI UNIFIL IN LIBANO, E PRETENDONO REGOLE DI INGAGGIO LIMPIDE, COPERTURE POLITICHE E UNA TREGUA STABILE PRIMA DI RIMETTERE PIEDE IN UN’AREA RISCHIOSA
L’Italia ci sarà. È questa, ai vertici dell’esecutivo, l’unica certezza. In prima fila, ad applaudire Donald Trump quando annuncerà la tregua a Gaza. E poi sul campo, quando le fanfare si spegneranno e comincerà il lavoro vero, quello della ricostruzione della Striscia e delle garanzie per l’intera Palestina.
La foto di Sharm el-Sheikh è nella testa di Giorgia Meloni da quando il ministro degli Esteri egiziano ha comunicato ad Antonio Tajani l’invito: tra le 15 e le 18 di lunedì, stretta tra Emmanuel Macron, Friedrich Merz, Keir Starmer e gli altri 18 invitati, con la consapevolezza – da rivendicare in Italia – di aver scommesso sul piano di pace del tycoon prima degli altri. In Egitto, però, alla sottoscrizione dell’accordo tra Usa, Qatar,
Egitto, Emirati Arabi e Turchia non ci sarà Benjamin Netanyahu: troppo rischioso per lui sfilare accanto ai leader dei Paesi arabi.
Subito dopo, se tutto dovesse andare come deve, potrebbe toccare ai Carabinieri. I militari italiani torneranno dove avevano lasciato il campo il 7 ottobre 2023: al valico di Rafah, nel quadro della missione Eubam, per controllare e ispezionare i seicento tir carichi di aiuti umanitari che attraverseranno il confine tra Gaza ed Egitto
Roma però non si limita a gestire la frontiera, ma prova a recitare un ruolo importante per il futuro della Striscia. Gli Stati Uniti chiedono di mandare cinquecento Carabinieri a Gerico, per riattivare l’addestramento delle forze di sicurezza palestinesi nel quadro della missione Miadit.
L’Italia ragiona e, per ora, si dice disponibile a inviarne circa 250 (magari includendo quelli che saranno a Rafah), consapevole che oggi nei pressi del fiume Giordano ne operano appena venticinque, benché il Parlamento abbia già autorizzato fino a 1.650 unità. Ma non è una questione di numeri
Crosetto e il comando dell’Arma ricordano bene gli attacchi israeliani contro le basi Unifil in Libano, nonostante gli appelli di Roma. E dunque pretendono regole di ingaggio limpide, coperture politiche e una tregua davvero stabile prima di rimettere piede in un’area ancora fumante. Vogliono sapere dove iniziano i limiti e chi risponde se qualcosa va storto.
A Washington – com’è noto – la pazienza è poca. La Casa
Bianca considera Miadit un pilastro del futuro assetto palestinese: il laboratorio in cui costruire la nuova forza di sicurezza che dovrà sostituire, anche simbolicamente, l’ordine imposto da Hamas anche a Gaza. Per questo la pressione cresce [
Nel frattempo la diplomazia italiana tesse la sua tela. Ieri i contatti si sono moltiplicati a tutti i livelli per consolidare il ruolo dell’Italia nel “day after” della guerra. Non solo sul fronte militare
C’è anche la partita umanitaria, quella che la premier considera decisiva per mettere la bandiera italiana sulla pace, e – pro futuro – sulla ricostruzione. Dopo i voli organizzati dalla Farnesina per curare i bambini gazawi in Italia, il governo prepara la seconda fase: curarli là, sul posto. Due ospedali – uno in Giordania, uno in Egitto – saranno ristrutturati e potenziati per assistere i palestinesi nella fase della ricostruzione.
Nella foto di Sharm el-Sheikh dovrebbe trovare posto anche l’Unione europea, che figura nella lista dei 22 invitati stilata dal Cairo. L’Alto Rappresentante Kaja Kallas ha fatto sapere che non potrà esserci per altri impegni, così come Ursula von der Leyen: la presidente della Commissione ha confermato proprio ieri il suo tour nei Balcani Il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, dovrebbe invece riuscire a modificare la sua agenda per essere presente. In questi giorni è tornata a girare tra i diplomatici la battuta «vogliamo essere dei “player” e non soltanto dei “payer”»: l’Ue vuole giocare un ruolo e non soltanto
pagare. Bruxelles rivendica con orgoglio di essere il principale donatore per la Palestina
(da agenzie)
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