“HO DETTO A LAURA ‘VAI AMORE, SEI LIBERA’. LEI HA RISPOSTO ‘CIAO AMORE, CIAO VITA’”: IL MARITO DI LAURA SANTI, STEFANO MASSOLI, RACCONTA GLI ULTIMI ATTIMI DI VITA DELLA DONNA MALATA DI SCLEROSI MULTIPLA, MORTA GRAZIE AL SUICIDIO ASSISTITO
“SONO USCITO DALLA STANZA NEL MOMENTO IN CUI HA COMINCIATO L’AUTOINFUSIONE. MA PRIMA MI HA CHIESTO. ‘VUOI CHE RIMANGA ANCORA UN PO’?’. ‘NO’, HO RISPOSTO IO. E SI È SENTITA LIBERA DI ANDARE. POI SONO SCOPPIATO A PIANGERE A DIROTTO”
Le sue ultime parole per Laura. «Le ho detto “vai amore, sei libera”. Lei ha risposto “ciao amore, ciao vita”. Poi sono uscito dalla stanza nel momento esatto in cui ha cominciato l’autoinfusione. Mi sono messo in disparte, come ha voluto lei, per evitare di condizionarla dal punto di vista emotivo. Prima che uscissi mi ha chiesto “vuoi che rimanga ancora un po’?”
“No”, ho risposto io, ma non nel senso che non volevo, nel senso di “sentiti libera”. Lei ha capito. E si è sentita libera di andare».
Quando è rientrato in stanza tutto era compiuto.
«Ho guardato il flussimetro, ho visto che non c’erano più segni di vita e sono scoppiato a piangere a dirotto. Un pianto vero, tosto. Ho realizzato che non mi era mai capitato. Avevo pianto sempre soltanto la notte, sommessamente, senza farmi mai sentire o vedere da lei. Stavolta ho lasciato che le lacrime andassero dove volevano; un pianto liberatorio».
Stefano Massoli, 63 anni, è il marito di Laura Santi. Erano insieme da 25 anni e hanno condiviso i giorni, i luoghi e i pensieri con la «nemica», la sclerosi multipla (diagnosticata nel 2000). La malattia, il prendersi cura di lei, la lotta per ottenere il suicidio assistito: Stefano c’era, c’è sempre stato.
È vero che prima del sì definitivo dell’Azienda sanitaria Laura aveva preso contatti per andare a morire in Svizzera?
«Sono stati ben più di semplici contatti. Abbiamo fatto tre prenotazioni e tutte e tre le volte abbiamo disdetto perché, quando eravamo vicino al giorno della partenza, arrivava qualche mezza risposta che ci faceva sperare in una soluzione qui, finalmente».
È stato in questi ultimi mesi?
«Sì. La seconda prenotazione è stata una richiesta di Laura per il suo compleanno. Avevamo già prenotato e disdetto una prima volta ma sembrava di nuovo tutto fermo e allora ricordo che lei mi disse: “Per festeggiare i miei 50 anni vorrei prenotare d
nuovo in Svizzera per il 13 gennaio, che era — appunto — il giorno del suo compleanno. Ma anche quella volta si mosse qualcosa e decidemmo di aspettare ancora. L’ultimo appuntamento è stato per il 30 giugno. Ma è arrivata la risposta definitiva dall’Azienda sanitaria e abbiamo ovviamente rinunciato».
Ha un significato particolare la scelta del 21 luglio?
«No, nessuno».
Chi era a conoscenza del giorno?
«Solo una cerchia ristrettissima di persone, fra le quali due sue amiche carissime, un amico mio e Filomena Gallo, dell’Associazione Coscioni.
Non sapevano niente nemmeno familiari e amici, non ha voluto vedere o salutare nessuno perché non voleva che qualcuno intervenisse per provare a dissuaderla. È morta alle 11.52 a casa sua, nel suo letto».
Che stato d’animo ha visto sul volto di sua moglie in quegli ultimi minuti?
«Felicità. Sembrerà un’eresia ma lei pensi a una persona che ha un cervello che va a 2000 ma è imprigionata nel suo corpo-involucro. Ogni santo giorno, con dolori e immobilità crescenti, infezioni continue, cateteri, con il tempo scandito da antibiotici, antinfiammatori, antidolorifici. Mi creda, morire e liberarti dalla prigione della vita può diventare il tuo sogno più grande. La felicità, appunto».
Laura era credente?
«Agnostica. Ha parlato con lei a lungo, ci è stato molto vicino e
siamo diventati anche amici dell’arcivescovo della diocesi di Perugia, Ivan Maffeis, una persona dal cuore d’oro che applica la pietas umana».
Ha cambiato la sua posizione sulla fede?
«Assolutamente no».
Che cosa le lascia questa esperienza?
«Un grande orgoglio per essere stato al fianco di una donna del genere e per aver combattuto e vinto assieme a lei questa battaglia. Ricordo la prima volta che le ho sentito dire “suicidio assistito”, è stato un pugno nello stomaco. E da quella volta in poi ne ho presi molti altri, ma ho capito quello che c’era da capire e sono contento di questo risultato. Ora so che voglio continuare a impegnarmi su questo fronte, in suo nome e in suo onore».
(da Corriere della Sera)
Leave a Reply