IL GIORNALISTA, PREMIO NOBEL, MURATOV: “LA MORTE DI NAVALNY E’ UN OMICIDIO, SOTTOPOSTO A TORTURE PER TRE ANNI”
PERSEGUITATO ANCHE NEL CARCERE-GULAG DAGLI AGUZZINI DEL CREMLINO
Non usa mezze parole Dmitry Muratov. Per il giornalista Premio Nobel per la Pace, la morte in carcere di Alexey Navalny è “un omicidio”. “Alexei Navalny è stato sottoposto a tormenti e torture per tre anni. Come mi ha detto il medico di Navalny, il corpo non può sopportarlo. Alla condanna di Alexei Navalny è stato aggiunto l’omicidio”, denuncia Muratov sul sito di Novaya Gazeta, il giornale che ha guidato per anni denunciando la deriva autoritaria del governo di Putin.
E Muratov non è certo l’unico a vedere in Navalny un’altra vittima della dittatura di Vladimir Putin.
Da tempo Navalny denunciava continui soprusi in carcere. E il suo arresto, tre anni fa, è avvenuto al suo ritorno a Mosca dopo un avvelenamento per il quale si sospettano i servizi segreti russi. Parole di disperazione arrivano intanto dalla madre dell’oppositore. “Non voglio sentire alcuna condoglianza. Avevamo visto mio figlio nella colonia penale il giorno 12, avevamo una visita. Era vivo, sano, allegro”, ha dichiarato Lyudmila Ivanovna Navalnaya.
In carcere Navalny ha denunciato continui soprusi e di essere stato ripetutamente chiuso in un’angusta cella di isolamento con i pretesti più assurdi, come quello di un bottone slacciato. Due giorni fa la sua portavoce aveva denunciato che il dissidente era stato rinchiuso in una cella di punizione per la ventisettesima volta in un anno e mezzo e che nello stesso lasso di tempo aveva trascorso in isolamento oltre 308 giorni.
E secondo il Nobel Dmitry Muratov anche questo può aver contribuito alla morte. “Sono sicuro che la trombosi (se di questo si è trattato) è una diretta conseguenza della sua ventesima condanna a essere rinchiuso in cella di punizione. Cos’è una cella di punizione: immobilità, cibo ipocalorico, mancanza d’aria, freddo costante”, ha denunciato Muratov.
Questa situazione era già stata condannata da Amnesty International, che in passato aveva accusato la direzione del carcere di Melekhovo – dove l’oppositore era prima recluso – di voler “spezzare lo spirito di Navalny rendendo la sua esistenza nella colonia penale insopportabile, umiliante e disumanizzante”.
Per quasi tutto il mese di dicembre, non si è saputo dove fosse il dissidente. Il 6 dicembre il suo staff aveva denunciato di aver perso i contatti con lui e la settimana dopo la sua portavoce aveva fatto sapere che, secondo il centro detentivo di Melekhovo,non era più lì. Solo a fine mese, il regime di Putin ha annunciato che Navalny era stato trasferito in una remota colonia penale a regime speciale: la “Lupo Polare”, oltre il circolo polare artico. Stando a quanto riportano i media russi, sarebbe morto proprio in questo carcere.
(da La Stampa)
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