IL GOVERNO SI PREPARA ALLA RESA DEI CONTI. E SARANNO CAZZI: CON LA MANOVRA D’AUTUNNO, IL CENTRO-DESTRA RISCHIA DI PERDERE LA FACCIA SU DUE PROMESSE ELETTORALI FINORA NON RISPETTATE: PENSIONI ANTICIPATE E TAGLIO DELLE TASSE. LE CASSE DEL TESORO SONO VUOTE, LO SPAZIO DI INTERVENTO È MININO
SULLE PENSIONI ADDIO A QUOTA 103, CHE SI È RIVELATO UN FLOP. ORA L’OBIETTIVO È 64 ANNI E 25 DI CONTRIBUTI PER TUTTI … PER IL TAGLIO DELLE IMPOSTE, SUL TAVOLO CI SONO PROPOSTE SENZA COPERTURE E IN CONTRADDIZIONE TRA LORO (STOP ALL’IRAP, TAGLIO IRPEF MA ANCHE FLAT TAX PER I DIPENDENTI)
Pensioni anticipate e taglio delle tasse. Nei prossimi mesi il governo si gioca un bel pezzo di credibilità rispetto a due punti fondamentali di quello che era il programma elettorale. A ottobre, al giro di boa dei tre anni della legislatura, per attuare le promesse l’esecutivo dovrà accelerare con la legge di bilancio.
Il mantra salviniano di picconare la legge Fornero si è scontrato con la dura realtà: la flessibilità è diventata più rigida e il sistema delle Quote si è rivelato un fallimento. Quest’anno termina Quota 103 (62 anni di età, 41 di contributi e l’assegno soggetto al ricalcolo contributivo) dopo che nel 2024 sono state solo 1.153 le persone che ne hanno usufruito.
Stesso discorso per Opzione donna che lo scorso anno ha garantito la pensione anticipata a meno di 3.500 lavoratrici. L’obiettivo di Quota 41 (in quiescenza con 41 anni di contributi indipendentemente dall’età anagrafica) è sparito dai radar, il
nuovo miraggio adesso è una sorta di Quota 89, ovvero 64 anni di età e 25 di contributi per accedere alla pensione anticipata, uno strumento che esiste già per i contributivi puri ma che la Lega vorrebbe estendere anche a chi sta nel sistema misto, e quindi ha iniziato a versare prima del 1996.
I tecnici del ministero del Lavoro e del Mef ci stanno lavorando, ma è presto per fare le prime simulazioni. Sicuramente sarebbe un meccanismo oneroso per le casse dello Stato, se non accompagnato da penalizzazioni sull’assegno.
Per quanto riguarda il taglio delle imposte, sul tavolo ci sono proposte senza coperture e in contraddizione tra loro. Il governo si è dato un altro anno di tempo per completare la delega fiscale, fino al 29 agosto 2026.
Il piano di trasformazione del fisco studiato dal viceministro delle Finanze Maurizio Leo è lungo e complesso, già 16 decreti sono stati approvati in via definitiva, ma tra gli obiettivi del testo originario della riforma ci sono due progetti che ormai sembrano irrealizzabili: l’abolizione dell’Irap e la flat tax per tutti.
Se veramente il governo volesse mettere in campo queste due misure dovrebbe cercare le coperture fin da subito, e invece da mesi il centrodestra litiga perché non ci sono i soldi per tagliare di due punti l’aliquota Irpef del 35% per i redditi tra 28 mila e 60 mila euro.
Perché alimentare un derby continuo tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia tra la riduzione del carico fiscale sul ceto medio e la rottamazione delle cartelle, quando l’obiettivo è un’aliquota unica per tutti? Perché quello è un obiettivo irrealizzabile in questa legislatura.
Tuttavia, il testo della delega parla chiaro e all’articolo 5 prevede «la transizione del sistema verso l’aliquota impositiva unica» per tutti i lavoratori dipendenti. Al momento ci sono due ipotesi di scuola: la flat tax al 15% (come quella leghista che si applica alle Partite Iva) o al 23% (proposta da Silvio Berlusconi nel 2018).
Entrambe comporterebbero una mancanza di entrate tale da far saltare il bilancio dello Stato. A meno che, suggerisce l’Istituto Bruno Leoni, il minore gettito dell’Irpef venisse compensato da una mega sforbiciata delle spese fiscali e dall’incremento di altre imposte, tra cui l’Iva. Insomma, non è proprio aria di un intervento del genere, destinato perciò a rimanere scritto nel libro dei sogni.
L’altra grande riforma che non si potrà attuare nel giro di un anno è «il graduale superamento dell’Irap», come prevede l’articolo 8 della delega. L’imposta regionale sulle attività produttive è la fonte principale di finanziamento per il sistema sanitario regionale e vale 27,7 miliardi di euro.
(da agenzie)
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