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IL “PIANO DEL QUIRINALE PER FERMARE MELONI” NON ESISTE: LO “SCOOP” DELLA “VERITÀ” È STATO CONFEZIONATO CON L’OBIETTIVO DI PRENDERE DI MIRA SERGIO MATTARELLA, COME MASSIMA RAPPRESENTANZA DI QUEL “DEEP STATE” CHE I CAMERATI DI PALAZZO CHIGI HANNO SUL GOZZO

LA STATISTA DELLA SGARBATELLA SOGNA L’EGEMONIA ISTITUZIONALE: BOCCIATO IL PREMIERATO, VUOLE CAMBIARE CON LA FORZA IL SISTEMA MODIFICANDO LA LEGGE ELETTORALE E INSERENDO IL NOME DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SULLA SCHEDA (COSI’ DA BYPASSARE DI FATTO I POTERI DI NOMINA DEL PREMIER CHE SPETTANO AL COLLE) … MA NON TUTTO FILA LISCIO: LEGA E FORZA ITALIA SI OPPONGONO E SE FDI NON AVESSE RINCULATO DAL QUIRINALE SAREBBE PARTITO UN SILURO A TESTATA MULTIPLA

Questa volta, Giorgia Meloni ha fatto male i conti. Il “piano del Quirinale per fermarla”, che secondo Belpietro e “la Verità” sarebbe stato ordito dal consigliere quirinalizio Garofani, e squadernato in una cena conviviale di tifosi romanisti, non esiste.
Il vero obiettivo dello “scoop” del quotidiano di Belpietro era Sergio Mattarella in quanto massima rappresentanza dell’odiato Deep State (Corte dei Conti, Magistratura, Consulta, Ragioneria, funzionari e capi di gabinetto, ecc.) che vigila sul corretto funzionamento delle istituzioni secondo la Costituzione.
Dopo la fine del ventennio di dittatura fascista, è prevalso il paradigma liberal democratico basato sul mandato popolare indiretto, il primato della Carta costituzionale, la divisione dei poteri, i partiti come filtro e canale tra masse e Stato.
Tale ruolo di bilanciamento dei poteri, ovvero i meccanismi di checks and balances immaginati dai padri costituenti e messi in atto dal Deep State, ‘sto “cane da guardia” del potere esecutivo, a Giorgia Meloni sta massimamente sul cazzo.
In questi tre anni e mezzo, i rapporti del governo Meloni con il potere burocratico, che può mettere in discussione o in crisi Palazzo Chigi, sono sempre stati di aperto attrito e conflitto.
Un confronto a distanza reso più aspro da un’asimmetria di competenze. I politici di Fratelli d’Italia, saliti per la prima volta al potere dopo decenni di marginalità politica, sono dilettanti allo sbaraglio nella gestione della “cosa pubblica”. Non conoscono o ignorano le “buone pratiche” del potere e la sua grammatica. Non si procede a spallate: ci si confronta. Non si impone la
propria linea pretendendo che tutti obbediscano: occorrono mediazione, concertazione, dialogo. Rispetto agli apparati che sono lì da sempre, i Fratelli d’Italia sono dilettanti allo sbaraglio.
Così, dietro il fumo dell’egemonia culturale agitato dalla destra al governo, divampa l’incendio della egemonia istituzionale (per quella economica il successo è stato raggiunto affidandosi a Francesco Gaetano Caltagirone che, attraverso la quota di Mps in mano al Mef, ha espugnato il “forziere d’Italia” Mediobanca-Generali.
Ma politicamente, chi governa davvero il paese? La “Statista della Sgarbatella” non ha mai avuto dubbi: lei per mandato del popolo sovrano.
Non è ancora un mandato diretto, come tanto sognava: sulla riforma costituzionale, il cosiddetto “premierato”, è stata costretta a rinculare, sparando strali e piagnistei all’insegna del vittimismo “chiagni e fotti: il Deep State è contro di noi.
In attesa del referendum sulla riforma della giustizia (il vero punto non è la separazione delle carriere ma lo sdoppiamento del Csm), in vista delle politiche del 2027, la Ducetta sogna una nuova legge elettorale, da approvare entro la prima metà del 2026.
I geni di via della Scrofa hanno capito che, con la legge attuale, il centrodestra rischia di perdere le elezioni, o quanto meno di vincerle stentatamente (con una strategia elettorale unitaria il centrosinistra avrebbe gioco facile a prevalere nei collegi uninominali)
Urge quindi procedere al varo di un nuovo sistema che permetterebbe alla Meloni di diventare presidente del Consiglio sull’onda del consenso popolare attraverso l’indicazione del candidato premier direttamente sulla scheda elettorale.
Una forzatura del “sistema”. La Lady Macbeth del Colle Oppio va a sbattere contro quanto stabilito dall’articolo 92 della Costituzione: il Presidente del Consiglio, come i ministri, è nominato dal Presidente della Repubblica, che solitamente conferisce l’incarico al leader della coalizione che ha vinto le elezioni e ha una maggioranza in Parlamento.
Dunque la nomina del premier dipende formalmente dal Quirinale: l’indicazione del candidato premier sulla scheda è un modo per indebolire le prerogative del Capo dello Stato, previste dalla Costituzione.
L’indicazione del premier sulla scheda fa irritare gli alleati di governo Salvini e Tajani che verrebbero cannibalizzati da Fratelli d’Italia (più della Lega è avversa Forza Italia, che vedrebbe cassato il santo nome di Silvio Berlusconi dal simbolo).
Senza l’ok di Lega e Forza Italia, pero’, Giorgia Meloni non puo’ portare a casa il “premierato di fatto”. E va ricordato che il voto sulla riforma elettorale è segreto…
Al “No!” degli alleati, si aggiunge anche il ripensamento del segretario del Pd, Elly Schlein, che in un primo tempo si era mostrata favorevole.
A tali ostilità, la “Camaleonte di Colle Oppio” ha risposto spingendo a tavoletta il pedale del gas sulle tre Regioni che il 23 e 24 novembre andranno al voto: coltello tra i denti, calzato l’elmetto, non riuscendo a ficcarsi nella testolina bionda che annichilire ancor di più Salvini e Tajani si trasformerebbe in un boomerang, la premier vuole la supremazia totale all’interno della maggioranza, prendendo più voti della Lega in Veneto e di Forza Italia in Campania.
Davanti alle “resistenze” del Deep State, alla riottosità di Salvini e Tajani a farsi divorare e alle probabili batoste del centrodestra in Campania e Puglia, gli otoliti di Giorgia Meloni sono on fire.
Uno stato di nervosismo e di vittimismo paraculo che ha spinto Giorgia Meloni a cavalcare il “complotto del Colle”, confezionato dalle manine esperte di Maurizio Belpietro, rinfocolato dalle dichiarazioni stentoree del fedelissimo Galeazzo Bignami e evocato a gran voce da tutti i camerati in servizio permanente ed effettivo.
Una “scemeggiata” che ha trovato la sua ciliegina sulla torta nel disastroso “incontro di chiarimento” tra la premier e Mattarella.
Il “dispiacere” per la banale uscita di Garofani, espresso dalla Meloni durante il colloquio al Colle, zac!, è svanito una volta messi i piedini fuori dal Quirinale
Ed ecco farsi avanti la protervia della Ducetta che ha vergato un duro comunicato che ha riaperto la cicatrice del “caso-Garofani”, facendola sanguinare ancor più copiosamente.
La dichiarazione della sora Giorgia, che ha ribadito seccamente l’”inopportunità” delle parole del consigliere di Mattarella, si è
trasformata in uno sgarbo istituzionale: dopo un colloquio con il Capo dello Stato, semmai spetta al padrone di casa, Sergio Mattarella, il compito di emettere un comunicato, non all’ospite.
L’incazzatura al Colle ha raggiunto un tale livello di guardia che l’incauta Giorgia Meloni è stata costretta a imporre ai suoi due capigruppo parlamentari, Galeazzo Bignami e Lucio Malan, una dichiarazione riparatoria. I due hanno dettato alle agenzie una nota conciliante: “Il caso Garofani è chiuso”.
Diversamente sarebbe partito, come un siluro a testata multipla, un duro comunicato di risposta dal Quirinale e, a quel punto, il conflitto di poteri con Palazzo Chigi sarebbe deflagrato a un punto di non ritorno…
(da Dagoreport)

This entry was posted on venerdì, Novembre 21st, 2025 at 20:16 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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