IL PONTE DI MELONI SULL’ATLANTICO E’ PIU’ CAMPATO PER ARIA DI QUELLO SULLO STRETTO
LA DIMOSTRAZIONE CHE SOVRANISMO E’ UGUALE A EGOISMO E FARE I MAGGIORDOMI DEI POTENTI NON RENDE NEANCHE LE MARLBORO CHE CI LANCIAVANO ALLA FINE DELLE GUERRA
Alla fine, borse e commentatori festeggiano con sollievo l’accordo sui dazi al 15 per cento fra Stati Uniti e Unione Europea, un accordo che si può considerare positivo solo perché rispetto alla proposta di partenza adesso c’è la vaselina al posto del sale. (Vaselina sulla quale i dazi restano invece al 30 per cento: sentiremo meno male, pagando di più).
Comunque sia, dopo quanto accaduto domenica in Scozia, una cosa appare ancora più evidente: la fondatezza dei dubbi sul progetto del ponte Meloni da una sponda all’altra dell’Atlantico. Questo ponte serve? Ha senso? E’ fattibile? Ma soprattutto, regge?
L’infrastruttura è stata annunciata questo autunno dalla premier, che si è appunto candidata a fare da ponte fra Unione Europea e Stati Uniti; e da subito ci sono stati dubbi sull’opportunità politica e diversi rilievi tecnici, a cominciare dalla statura di Giorgia Meloni (1,63 metri) che, per quanto la leader di Fratelli d’Italia possa fare stretching e recuperare così un altro mezzo centimetro, non le consentirebbe comunque, pur se sdraiata, e in trazione di collegare i due continenti.
Inoltre, secondo gli esperti di logistica, sotto non ci passerebbero le navi da crociera, anche se la premier dovesse tenere in dentro la pancia tutto il tempo. Ma forte dei sondaggi e della tenuta del suo governo (in effetti, se si tiene una cosa che si regge su Salvini e Tajani, bisogna ammettere che dietro c’è una certa abilità ingegneristica), Meloni ha insistito sulla validità e solidità del suo ponte con gli Stati Uniti, e questo nonostante il progetto
accumuli ritardi nella sua attuazione.
Ma adesso, alla luce di quanto accaduto domenica, che più che al commento politico ed economico si presta a essere inquadrato in un contesto BDSM, ci si chiede se il progetto di Giorgia Meloni abbia un futuro, e soprattutto se sia sicuro. Sin da subito il comitato tecnico-scientifico ha segnalato l’alta sismicità di Donald Trump: la sua conclamata instabilità infatti non lo rende edificabile, specie considerando i forti venti, le correnti e le tempeste lunatiche alle quali il Presidente degli Stati Uniti è soggetto, e che lo rendono una banderuola altamente umorale. Inoltre, per costruire il ponte Meloni sull’Atlantico, verrebbero rase al suolo circa duecentocinquanta case, due ristoranti, un chiosco, un residence, una panetteria, una macelleria, un motel, un campeggio, un parlamento europeo e diverse ambasciate.
Il tutto a fronte di almeno dieci anni di cantiere, quando sia Meloni che Trump potrebbero non essere più al loro posto – e più in generale l’Europa, gli Stati Uniti, il mondo intero…
Molti accusano questa grande opera di essere solo una trovata elettorale, fatta per far girare tanti soldi in tante tasche pagando stipendi e consulenze (e magari favorire così anche infiltrazioni mafiose da una parte e dall’altra dell’Oceano…); ma nonostante le molte criticità sollevate al progetto, Meloni vuole andare avanti con il suo cantiere, anzi assicura: “Sarò curvilinea ed elastica, come sempre”. E ora ci si chiede con ulteriore preoccupazione: chi paga? L’opera infatti è ambiziosa – è la prima volta che un primo ministro diventa infrastruttura,
toccherà cablarla e prima ancora farle una cura del ferro altamente ricostituente – e secondo i calcoli i flussi fra Europa e Stati Uniti non ripagherebbero l’opera. Il ponte Meloni sull’Atlantico appare oggi talmente irrealizzabile e campato per aria, che ha quasi più senso investire nel Ponte sullo Stretto di quel geometra di Matteo Salvini.
(da ilfoglio.it)
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