IL PRIMO EFFETTO DELLA SVEGLIA PRESA DA GIORGIA MELONI ALLE REGIONALI: LA DUCETTA PENSA A UNO SCAMBIO LOMBARDIA-LEGGE ELETTORALE
LA PREMIER, CHE HA VISTO IL SUO PARTITO, FRATELLI D’ITALIA, DOPPIATO DALLA LEGA IN VENETO, STA PENSANDO DI LASCIARE LA REGIONE PIÙ RICCA D’ITALIA ALLA LEGA, NEL 2028, IN CAMBIO DEL SÌ DEL CARROCCIO ALLA RIFORMA DEL SISTEMA DI VOTO (CHE PER IL PARTITO DI SALVINI E PER FORZA ITALIA SAREBBE UNA FREGATURA)
La debordante vittoria della Lega in Veneto con il “doppiaggio” rispetto a Fratelli
d’Italiacambia le dinamiche interne alla sua coalizione: rianimato il partito, almeno a nord, il vicepremier Matteo Salvini ha già alzato la testa: una prima avvisaglia è già stata fatta pervenire alla premier dal Senato, dove proprio all’indomani del voto regionale è stata rinviata l’approvazione della legge sul consenso.
Non un testo a caso, ma quello su cui alla Camera si era trovata l’unanimità grazie ad un accordo tra Meloni ed Elly Schlein e che doveva simbolicamente essere approvata nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
«Schermaglie» e «questioni tecniche», hanno minimizzato i meloniani. Tuttavia un campanello d’allarme ha iniziato a suonare e toccherà alla premier riassestare gli equilibri per ottenere il risultato che ormai considera non più rinviabile
Del resto, riformare la legge elettorale è considerato il premio di consolazione dopo il fallimento della riforma costituzionale del presidenzialismo (poi tramutata in premierato e ora ferma in parlamento) e Meloni è decisa a ottenerlo.
Lo ha detto bene Giovanni Donzelli: «Se dovessimo votare oggi, non ci sarebbe stabilità politica per nessuno». O meglio, la vittoria del centrodestra sarebbe decisamente in bilico nei collegi uninominali, se Schlein riuscisse a consolidare il Campo largo come è stato a queste regionali.
Così FdI è decisa a cancellare la ripartizione tra collegi uninominali e listino bloccato del Rosatellum. L’ipotesi a cui i suoi strateghi stanno lavorando è nota: proporzionale, con indicazione del candidato premier sulla scheda. «Il nostro modello sono le leggi elettorali regionali», ha suggerito Donzelli. «Ragioniamo di premio di maggioranza», ha aggiunto Lucio Malan. Tempi: stretti, considerando il voto da anticipare alla primavera del 2027.
Per riuscirci, vanno però superati alcuni scogli. Il primo è politico: FI darebbe un sì di massima, ma la Lega è contraria ha già dimostrato che una piccola vittoria è stata sufficiente a solleticarne l’orgoglio e non ha alcuna intenzione di agevolare i
piani della premier. Tanto più che proprio il Rosatellum e la ripartizione di collegi uninominali ha permesso a Salvini di incassare più parlamentari di quanti avrebbe ottenuto con un proporzionale.
Ecco allora che a palazzo Chigi sta maturando l’ipotesi di uno scambio: a Meloni interessa la legge elettorale, alla parte elettoralmente forte della Lega – il nord – interessa invece mantenere la guida della regione Lombardia nel 2028, che prima del voto in Veneto era considerata ormai ceduta a FdI.
«Troppo presto per dirlo», è stato il commento dei leghisti, ma la compagine lombarda del partito ha già ricominciato a sorridere. L’accordo gioverebbe molto ai governatori (sempre più tentati dal progetto di federazione sul modello Cdu-Csu) e poco a Salvini, ma è ancora tutto da costruire
Va poi trovato un punto di contatto con le opposizioni. In pubblico, Schlein ha detto che non ci sono contatti e che «una nuova legge non ci interessa», in privato invece non esclude del tutto l’idea di ingaggiare una sfida “una contro una” con Meloni.
Il corpaccione del Pd, invece, rimane contrarissimo: con un campo largo unito e la legge attuale, la vittoria sarebbe possibile. Dunque perché farsi ammaliare dalla premier, quando i freddi
calcoli dimostrano che l’attuale assetto giova?
Senza contare che una legge che impone di indicare il candidato premier aprirebbe la contesa con Giuseppe Conte, con il rischio di primarie che farebbero esplodere la coalizione prima ancora di testarla a livello nazionale.
(da Domani)
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