IL SAVONAROLA DI PALAZZO CHIGI
IL POTERE IN MANO A MANTOVANO
Nessuno avrebbe immaginato che il governo Meloni avrebbe trovato nel sottosegretario Alfredo Mantovano il suo Savonarola in modalità Opus Dei.
L’ex magistrato, cattolico osservante e intransigente, nei tre anni a Palazzo Chigi, ha via via concentrato nelle sue mani molti poteri.
Uno di questi è davvero buffo e sorprendente, visto i tempi in cui sopravviviamo: d’accordo con Giorgia Meloni, presa la bacchetta dell’istitutore dei sacri valori, si è messo in testa di dettare l’ortodossia morale ai Fratellini d’Italia
Va detto che è un “comandamento” del tutto ignoto e sempre ignorato dai camerati della Fiamma
Ma dopo i decenni vissuti come reietti nelle grotte di Colle Oppio, vanno capiti: oggi tutto è cambiato e, sempre più avidi di potere e di vanità, ne combinano di tutti i colori.
Nel suo ruolo di attentissimo fustigatore di ogni fonte di ”dissolutezza” e di ”depravazione”, non solo nel partito e nel governo, ma anche sconfinando nel Deep State, Mantovano non
transige sui principi e regole di comportamento cui hanno l’obbligo di attenersi. E chi sgarra, viene scomunicato e finisce incenerito sul “rogo delle vanità”.
Una serie integerrima di prescrizioni che non poteva non scontrarsi con la vivacità cazzona di alcuni meloniani di complemento: ci sarebbe lo sguardo moralizzatore di Mantovano a far precipitare nel cono d’ombra prima Andrea Giambruno e poi Francesco Lollobrigida.
I due guasconi si sono “macchiati”, agli occhi del Savonarola di Palazzo Chigi, di colpe esecrabili, per nulla in armonia alle esigenze morali e del vivere civile: la vivacità sessuale ostentata nei due fuorionda di ‘Striscia la notizia’ dal ciuffo erettile dell’ex compagno della Meloni fa venire un coccolone al devoto Mantovano.
Sentir Giambruno parlare di “threesome” e “foursome”, toccandosi il “pacco” inguinale, su, ammettiamolo, non è proprio consono a chi propugna il terno secco “Dio, patria e famiglia”.
Non parliamo poi dello “Stallone di Subiaco”, coniugato con Arianna Meloni, trafitto da indiscrezioni malevole sui suoi vivaci comportamenti.
L’eccesso di testosterone alla Fiamma è stato punito con una doppia fatwa dell’agente della buon costume di Palazzo Chigi.
Ma purtroppo, in politica, passare dall’etica alla cotica, basta un attimo.
Il caso Almasri, ad esempio, non fa dormire sonni tranquilli al sottosegretario con delega ai servizi segreti: aumentano i punti
oscuri sul mancato fermo e successivo rilascio del torturatore libico con tanto di rimpatrio con volo di Stato, fino a lambire le stanze del potere di Palazzo Chigi.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, non ci pensa proprio a dimettersi né intende assumersi responsabilità politiche sul rilascio di Almasri, né sembra così disponibile a sacrificare il suo braccio destro e influente capo di gabinetto, Giusi Bartolozzi.
D’altronde, a via Arenula ribadiscono che la decisione di rimettere in libertà il simpatico Almasri e di esfiltrarlo in Libia sia stata presa da Palazzo Chigi, compreso il sottosegretario con delega ai servizi segreti (perché il capoccione dell’Aise, Gianni Caravelli, anziché imbarcare Almasri su un aereo di Stato con tanto di bandierina tricolore, non ha fatto volare a casa il libico con un velivolo commerciale, non si sa).
Non solo Almasri. Il sottosegretario, da ex magistrato deve anche fronteggiare la sempre più turbolenta relazione del governo con le toghe contrarie alla separazione delle carriere tra Pm e giudici, che tanto piace alla destra per ridurre il Csm a organo di pura amministrazione e gestione.
Il testo della riforma Meloni-Nordio, passata in Senato a colpi di “canguro”, modifica l’articolo 102 della Costituzione, riuscendo nel miracolo di unire le varie correnti dei magistrati, da sempre l’una contro l’altra.
I magistrati sono convinti di avere dalla loro parte i cittadini: in un recente sondaggio, il 58% degli intervistati ha detto di riporre “molta” o “abbastanza” fiducia nella magistratura.
Dati che il presidente dell’Anm, Cesare Parodi, ha commentato con ottimismo, anche in vista del possibile referendum abrogativo: “Li accogliamo con la consapevolezza che i magistrati ogni giorno lavorano con serietà, impegno e abnegazione.
Ma non ci accontentiamo: l’auspicio è che il dato migliori sempre più”. Come a dire: se il governo va avanti, ce la giochiamo alle urne.
Intanto il martellamento governativo suila magistratura non accenna a diminuire.
Anzi, va avanti a tutta callara aprendo vari varchi nelle procure.
Si veda quello che è successo a Milano al processo per falso in bilancio a carico della ministra Daniela Santanchè.
Quando i giudici decidono di rinviare al 16 settembre il processo, i pm insorgono evidenziando il “rischio prescrizione”: “Con questi ritmi rischiamo di andare troppo in là”. Ma alla fine, dopo un botta e risposta tra i pm e il presidente Giuseppe Cernuto, è stato confermato il rinvio…
(da Dagospia)
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