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L’ANGELINO CUSTODE CHE TIENE IN SCACCO RENZI

DALLE RIFORME AI SOTTOSEGRETARI, ALL’ITALICUM…E SI PREPARA A SFIDARE BERLUSCONI

Il 16 novembre 2013, data di nascita del suo partito, convocò la stampa italiana e internazionale per la lieta novella: «Sono qui per annunciare la formazione di un nuovo, grande centrodestra, con un simbolo che presto entrerà  nei cuori di tutti gli italiani». Quattro mesi dopo il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano nei sondaggi balla pericolosamente attorno al quattro per cento, soglia di sbarramento per accedere alla distribuzione dei seggi nel Parlamento europeo alle elezioni del 25 maggio, alle ultime regionali in Sardegna non ha neppure presentato la lista.
L’obiettivo di raggiungere i cuori degli italiani appare lontano.
In compenso, è ben collocato nel cuore del sistema politico, la posizione da cui si governa l’Italia, il centro del centro, collocazione che garantisce a chi la occupa una rendita fortunata: influenza, potere, poltrone di governo e di sottogoverno, in misura largamente superiore al consenso davvero raccolto tra gli elettori.
In questi mesi Alfano si è sganciato dal nume tutelare Silvio Berlusconi, ha mollato il premier Enrico Letta di cui era vice e che lo aveva difeso a spada tratta nella vicenda della dissidente kazaka Alma Shalabayeva, professando — sia chiaro — grandi sentimenti di amicizia, si è attaccato alla nuova stella Matteo Renzi proponendosi come il suo principale alleato di qui alla fine della legislatura, che per il leader dell’Ncd deve arrivare il più tardi possibile.
Missione compiuta con l’accordo sull’Italicum, il via libera a una legge elettorale valida solo per la Camera che di fatto rende impossibile un voto anticipato: o si elimina il Senato con una legge costituzionale che richiede tempi lunghi, oppure per Palazzo Madama si tornerà  a votare con quel che resta del Porcellum fatto a pezzi dalla sentenza della Corte costituzionale, certezza di ingovernabilità  assoluta. In entrambi i casi Alfano sente di avere in tasca la golden share, con Renzi costretto a rallentare e Berlusconi a fare marcia indietro pur di restare seduto al tavolo delle trattative.
Bastava vederlo l’Angelino felice prima di entrare nello studio di “Otto e mezzo”, la sera di martedì 4 marzo, poche ore dopo la svolta decisiva: «Questa legislatura durerà , possiamo essere i fondatori della Terza Repubblica».
Del governo di cui fa parte rivendica la paternità : «Quando ho sentito Renzi al Senato nel discorso della fiducia dire che il nostro programma è riforme, mercato del lavoro, fisco, burocrazia e giustizia gli ho chiesto il copyright: sono le cose che diciamo da sempre». Quasi un governo Alfano, insomma.
E pazienza se Berlusconi ora preferisce parlare con il premier fiorentino piuttosto che con il suo ex segretario che un tempo trattava come un figlio: «Sopporto con cristiana pazienza la persecuzione del “Giornale” di cui Berlusconi è pienamente informato». Nulla, in realtà , rispetto a quanto subito da Gianfranco Fini, ma per Alfano è un altro tabù squarciato. E pazienza, anche, se in nome dell’asse con Matteo Angelino ha dovuto sacrificare il sottosegretario alle Infrastrutture Antonio Gentile, coinvolto in una faida familiar-affaristica, che pure aveva nominato di suo pugno tre giorni prima: ci sarà  modo di rifarsi.
L’importante è che nel governo Renzi, sempre di più, sia visibile il peso di Alfano e del suo Ncd.
Partito virtuale, pensiero debole e potere solido, com’erano i dorotei di una volta, la corrente centrale della Dc: «Il doroteismo è la continuità  nell’apparente evoluzione, l’immobilismo nell’apparente movimento», scriveva il politologo Ruggero Orfei.
Con un solo terrore: restare fuori, andare all’opposizione.
Il governo come destino, condizione esistenziale.
L’Ncd fino a qualche giorno fa non aveva neppure una sede nazionale, si riuniva negli uffici di Camera e Senato o nelle stanze governative, ne ha appena trovata una in via dell’Arcione, zona fontana di Trevi.
E non aveva organi dirigenti: sul sito del partito i notabili si fanno chiamare “team”, Alfano si autoproclama leader, almeno in questo è rimasto berlusconiano.
Appena è arrivato il momento delle scelte sono cominciate le divisioni interne, le rivalità  sotterranee, come quella che divide l’ex presidente del Senato Renato Schifani dall’ex ministro Gaetano Quagliariello.
Quagliariello è la testa pensante della compagnia, studioso di fama e rapporti consolidati con il Quirinale, legato ai teocon Eugenia Roccella e Maurizio Sacconi che sognano di trasformare l’Ncd in un partito di crociati dei valori non negoziabili, proprio quelli sconfessati pure da papa Bergoglio.
Schifani è l’ex fedelissimo berlusconiano che guida una invisibile ma solida rete negli apparati dello Stato, affidata al senatore Giuseppe Esposito, vice-presidente del Copasir, strategico comitato parlamentare di controllo dei servizi segreti.
Una settimana fa i giochi sembravano fatti: Quagliariello doveva essere nominato coordinatore nazionale dell’Ncd, una sorta di segretario.
Ma Schifani si è messo di traverso e ha strappato a Quagliariello la delega più importante: sarà  lui, Renatino, a fare le liste dei candidati Ncd alle elezioni europee e amministrative. E non solo: anche sulla lista dei sottosegretari Quagliariello è rimasto totalmente escluso, a compilarla sono stati Alfano e Schifani.
Sono loro che hanno assegnato una poltrona delicata come quella di sottosegretario alle Infrastrutture a Tonino Gentile, signore delle preferenze calabrese.
Il fratello Giuseppe, alle ultime regionali è stato il consigliere più votato con quasi 15mila voti personali ed è assessore alle Infrastrutture della giunta Scopelliti, il loro sarebbe stato un caso di ricongiungimento familiare.
Accolto con esultanza dalla pattuglia dell’Ncd calabrese: «Il senatore Gentile potrà  rafforzare la filiera degli investimenti con la Regione, saprà  farsi portavoce della necessità  di portare a rapido compimento i lavori sull’A3, di proseguire con l’Alta Velocità  e con la realizzazione dei punti ferrati…», lo avevano festeggiato i senatori Piero Aiello, Antonio Caridi, Paolo Naccarato, Nico D’Ascola e Giovanni Bilardi, restituendo all’Ncd il tratto distintivo, la ragione sociale: le grandi opere, la gestione della spesa pubblica.
Gentile è stato costretto a dimettersi, ma è solo un incidente di percorso, ha precisato Schifani, «la nomina è solo sospesa». E la partita è appena all’inizio: un derby tutto interno al centrodestra, contro gli ex fratelli di Forza Italia, palmo a palmo, consigliere per consigliere, voto su voto.
Al Senato è arrivato l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini (che però aveva già  lasciato il Pdl per candidarsi con Scelta Civica), dato in uscita per tornare a Arcore il deputato lombardo Maurizio Bernardo.
In Veneto quattro assessori e due consiglieri regionali che erano passati con Alfano sono tornati da Berlusconi.
Una contesa che si farà  drammatica con l’avvicinarsi delle elezioni europee, in cui si vota con le preferenze e si candideranno tutti i big, affiancati dai portatori di voti.
Scarsi gli esterni, tipo il consigliere del Csm Nicolò Zanon («Siamo in diecimila alla convention, nessuno potrà  negare che è nata una forza politica nuova», twitta felice). L’Ncd può contare sulla macchina elettorale di Comunione e liberazione, rappresentata dal ministro Maurizio Lupi, dall’ex presidente della Compagnia delle Opere Raffaello Vignali, neo-tesoriere del partito, dall’eterno Roberto Formigoni appena rinviato a giudizio insieme ad alcuni nomi storici del movimento milanese (Antonio Simone, Nicola Senese, Alberto Perego), dal sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, fiorentino come Renzi.
Ma i veri bacini elettorali sono da Roma in giù: in Puglia c’è il super-votato Massimo Cassano, 19mila preferenze alle ultime regionali, nemico del lealista berlusconiano Raffaele Fitto, nel Lazio la pattuglia degli ex An Vincenzo Piso, Andrea Augello e Barbara Saltamartini, oltre al ministro Beatrice Lorenzin e al potente Gianni Sammarco, cognato di Cesare Previti, in Campania, Calabria e Sicilia ci sono le roccaforti di Angelino che devono trascinare il partito a raggiungere il quorum.
Questione di vita o di morte. Non c’è golden share che possa reggere senza passare la prova elettorale, perfino in un sistema politico arretrato come quello italiano, dove i voti, come le azioni, si pesano e non si contano e in cui il virtuale Ncd di Alfano può atteggiarsi a partito-chiave del governo Renzi.
Senza quorum l’Angelino esultante rischia di finire stritolato nella morsa di Renzi e Berlusconi.
Troppo potere, senza consenso.

Marco Damilano
(da “l’Espresso“)

This entry was posted on domenica, Marzo 9th, 2014 at 00:07 and is filed under Alfano, Berlusconi. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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