LA LIBIA CONNECTION TRA AFFARI E TRIBU’
IL RUOLO DEI RUSSI, DELLA TURCHIA E IL TESORO DELL’ENERGIA
Trafficare con i criminali, aver con loro dimestichezza, impone
sempre, prima o poi, di calarsi nelle paludi oscure della incertezza, della complicità, della umiliazione. Da anni, da quando abbiamo scelto questa via politica nei rapporti con l’ex quarta sponda dei tempi dell’orbace e dei polli truccati da aquile la povera Italietta va avanti così, alle prese con uomini feroci, sornionerie, smacchi, doppi fondi e manovre che ci illudiamo di gestire con le astuzie sopraffine della mostra cosiddetta “intelligence”, e qualche bustarella travestita da proficui accordi per lo sviluppo. Ossessionati dai migranti e proni alla vera politica estera che è firmata dall’Eni continuiamo a dondolare in realtà tra velleitarismi malinconici e ambizioni vaneggianti di diplomazia mediterranea.
È doloroso ritornarci ma è utile. È scomodo ma necessario. Ovvero ricordare che nessuna delle definizioni con cui aggettiviamo il paese che ci interessa perché vogliamo che continui a pomparci gas e petrolio e non fastidiosissimi esseri umani (anche la celebre formula del setaccio sembra aver fatto fiasco), ha il ben che minimo rapporto con la realtà. Il governo di Tripoli riconosciuto dall’Onu (accidenti!) non esiste, il primo ministro Abdel Hamid Dheibah con il suo ridicolo esecutivo di “unione nazionale” è una marionetta; il maresciallo Haftar, uno stratega (alla Graziani) che dai tempi di Gheddafi (la guerra nel Tibesti!) alla sgangherata e fallita marcia su Tripoli del 2019 non ha mai vinto una battaglia, è un burattino di Russia ed Egitto che lo tengono in piedi sul un trono di cartone a Bengasi perché a loro serve controllare la Cirenaica del petrolio e lo strategico Fezzan a sud. Le forze di sicurezza. . . La polizia… La guardia costiera… La marina… La banca centrale… sono tutte parole. L’unica cosa vera e attorno a cui ruota tutto è il maledetto petrolio.
Volete i nomi di quelli che comandano davvero in Libia oltre ai burattinai stranieri tra cui noi facciamo la figura dei parenti
miserelli? Sono “l’Apparato di sostegno alla stabilità”, la brigata 444, la forza Rada, e i trucidi miliziani di Misurata, una specie di città stato che è il polmone economico e il maggiore fortilizio dell’ovest del paese. A Tripoli dove hanno avuto modo di provare le loro abitudini di arroganza e saccheggio coperte con la gloria di aver ammazzato Gheddafi li odiano e li temono. Sono le sigle di piccoli e sudici signori della guerra che danno ordini e prelevano con il mitra in pugno, che si attribuiscono ridicole divise da capo della polizia o feldmaresciallo o ammiraglio delle motovedette dono italiano per rastrellare clandestini. Mille associazioni gangsteristiche armate fino a denti dalle straripanti e attive cupidigie, che controllano un quartiere della capitale, l’aeroporto di Mitica, la gestione dei migranti, e poi droga petrolio tutte le spoglie del paese sopravvissute miracolosamente allo “stato delle masse” dello sventurato Colonnello.
Dheibah e Haftar da cinque anni, dopo la fine della sanguinosa battaglia di Tripoli, con la energica supervisione dei rispettivi padrini, Russia e Egitto da una parte Turchia dall’altra, (gli Emirati stendono i loro petrodollari su entrambi) i protagonisti di un proficuo bilaterale arraffare, hanno firmato un vero solido patto di corruzione.
E noi che ci vantiamo di conoscere ogni spiffero di quello che succede lungo la vecchia via Balbia? Diciamo di essere influenti. Ma qui l’influenza deve essere padronanza e possesso. Non ci siamo accorti che un delitto eccellente aveva cambiato lo sfondo. L’assassinamento invendicato è quello di un rinomato capobanda fino a ieri considerato più astuto e spietato degli altri, tal Abdel Ghani al Kikli, detto Gheniwa, capo della banda dell’Apparato della stabilità, verso cui pare non abbiamo mai provato il pizzicore della diffidenza e del fastidio. Anzi. Imboscata in perfetto stile Chicago anni Venti, a un vertice di
capibanda per risolvere problemi di spartizioni criminali. A Tripoli non è purtroppo cronaca nera da pagine interne. È lotta politica con altri mezzi, che ha dato l’avvio ad una ricomposizione dello status quo tutto modulato su arrangiamenti occulti tra le varie fazioni armate che compongono l’esecutivo. Il gruppo di Abdel Ghani che aveva preso troppo potere, dopo giorni di battaglia, pare sia stato decapitato. Ora gli altri si spartiscono le pingui spoglie.
La Libia è l’esempio perfetto della impotenza della comunità internazionale a stabilizzare un paese aperto ad appetiti stranieri e in mano a un Cartello criminale di fazioni predatrici, un gran bazar violento in nome del petrolio e degli affari. In cui i poveri libici cercano di sopravvivere.
Russia e Turchia, che presta una assistenza vitale al “governo” di Tripoli, dopo l’accordo del 2020 avevano gestito finora da buoni Padrini petrolio e traffici. La spartizione del paese sembra esser loro utile. Ma ora? Haftar fa mosse aggressive con aerei e armati, vuole ritentare forse le sue spiritare e bracone avanzate nel deserto. Per Putin la Libia resta soprattutto il necessario retroterra per la nuova Africa russa saheliana dove ha preso il posto della stenta e stinta Francia. Ne è prova il ponte aereo che ha trasferito i soldati della Africa korp e equipaggiamenti pesanti verso Djufra, da cui poi vengono distribuiti verso il Sudan della guerra civile e il Sahel. La Cirenaica può diventare un approdo per la sua flotta mediterranea rimasta orfana della Siria in mano al jihadista “simpatico” al Jolani. Noi, grandi maneggiatori di aggettivi e fantasie, assistiamo.
Domenico Quirico
(da lastampa.it)
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