LA TRIPLICE SFIDA DI BERSANI PER PRENDERE PALAZZO CHIGI
UNIRE ANCHE GLI SCONFITTI, RINNOVARE E RISOLVERE IL RISIKO ISTITUZIONALE
Per arrivare a Palazzo Chigi il team di Bersani immagina di unire il partito tenendo conto delle istanze di Renzi rinnovare i gruppi parlamentari, sbrogliare la matassa della successione al Colle
Le Primarie le ha volute a tutti i costi, vincendo le resistenze della sua «Curia», ma ora Pier Luigi Bersani ha cento giorni per acquisire la forza e lo standing per diventare Papa.
Arrivando a Palazzo Chigi dopo una vittoria elettorale, la prima volta per un uomo politico che è stato iscritto al Partito comunista italiano.
Dal podietto messo in piedi a caldo al teatro Capranica, la cravatta rossa slacciata sul colletto, Bersani ha mostrato di aver capito quale sia la sua mission, lanciando subito tre messaggi forti: «Dare al centrosinistra un forte profilo di governo e di cambiamento», «predisporre i percorsi e gli spazi per le nuove generazioni». E soprattutto: «Si deve vincere senza raccontare le favole».
Un appello anti-demagogico che è stato accolto con un applauso tiepido dai suoi fans che erano pronti a spellarsi le mani per qualsiasi battuta avesse detto il vincitore delle Primarie
Certo, per ora si tratta di impegni generici, ma Bersani sa che per conquistare Palazzo Chigi, è atteso da una via crucis scandita in tre stazioni: tenere e non disperdere subito la ritrovata forza elettorale del Pd; rinnovare in profondità gruppi parlamentari e dirigenza del partito; apparecchiare un risiko istituzionale da rompicapo, che prevede per i vincitori delle prossime elezioni politiche le indicazioni per il Quirinale e per le presidenze delle due Camere.
La prima «stazione» della via crucis da superare per arrivare a palazzo Chigi è dentro il suo partito.
Dice Giorgio Tonini, già presidente della Fuci, uno dei pochissimi parlamentari che ha sostenuto Renzi: «Bersani ha avuto un mandato pieno che non lascia dubbi a recriminazioni ed ora si parrà la sua nobilitate: per evitare l’effetto-depressione degli elettori di Renzi, dovrà fidelizzare quell’elettorato, interpretando il segnale forte di rinnovamento emerso dalle Primarie».
Miguel Gotor, un intellettuale che è anche uno dei primi consiglieri di Bersani, all’«Espresso», ha dato un’indicazione molto interessante: «C’è la consapevolezza in Bersani che dopo il governo Monti non si può tornare indietro, al manuale Cencelli tra le correnti per nominare i ministri. Servono autorevolezza e competenza, bisogna alzare il livello».
Una lettura che convince un altro sostenitore di Bersani come Pier Luigi Castagnetti, che però da uomo di partito, già indica le resistenze: «Il segretario del Pd, tornando a Roma dopo una campagna elettorale che ce lo ha proposto più forte e diverso, ora dovrà stare attento ai rischi della sua “Curia”, che è sempre conservatrice.
Papa Giovanni, quando annunciò il Concilio, spiazzò e inquietò la Curia romana.
Per vincere quelle resistenze, il Papa rifece l’annuncio per altre due volte e i suoi successivi discorsi dal balcone erano diretti proprio a vincere le resistenze della Curia».
Un patto Bersani-Renzi?: «Se Bersani cercherà e troverà un’intesa di fondo col sindaco di Firenze, sia pure in ruoli diversi – dice l’ex ministro Paolo Gentiloni – il Pd potrà continuare quella ascesa elettorale, testimoniata dai sondaggi, che può portarlo verso percentuali ancora più alte, vicine al 40%».
Tradotto in soldoni?
Renzi, come ha fatto capire nel suo discorso a caldo, si prepara a fare il capo della opposizione interna, ma la sua «costituzionalizzazione» può passare attraverso una corposa offerta da parte di Bersani?
Sugli oltre trecento parlamentari che il Pd si prepara a portare nel prossimo Parlamento, il segretario quanti ne offrirà al sindaco di Firenze? Ottanta? Cento?
Ma offerte così importanti – ecco il punto – potrebbero mettere Bersani in collisione con la sua «Curia», i gruppi organizzati raccolti attorno a D’Alema, Franceschini, Bindi, Letta e Fioroni, che qualche giorno fa, un po’ scherzando e un po’ no, diceva: «Saremo fatti tutti fuori».
Ma per poter vincere senza sbavature le elezioni, la seconda «stazione» che attende Bersani è la riforma elettorale.
Con una forza attuale del 30-35%, il Pd per conquistare Palazzo Chigi deve mantenere in vita il tanto detestato (a parole) Porcellum.
Bersani non potrà mai dirlo, ma il suo obiettivo è proprio quello e d’altra parte una mano gliel’ha data nientedimeno che Romano Prodi.
Intervenendo a Sky, l’ex presidente del Consiglio ad un certo punto ha indicato la strada a Bersani: «Se il Porcellum resterà , si potrebbero fare primarie per i parlamentari».
Ma se il Porcellum resta, proprio Romano Prodi diventa il candidato dei progressisti per il Quirinale, non solo perchè è il candidato che può mettere d’accordo anche Vendola e Renzi, ma anche perchè l’ex premier ha un identikit che su un punto essenziale si sovrappone a quello di Monti: «Prodi – dice Sandro Gozi, responsabile Pd per le Politiche europee – ha il profilo giusto per fornire le necessarie garanzie a livello internazionale».
Fabio Martini
(da “La Stampa”)
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