LE ELEZIONI DI MADRID E I CATTIVI MAESTRI, UNA LEZIONE PER TUTTI
NELLA CITTA’ DOVE IL LIBERI TUTTI HA FATTO MORIRE DI PANDEMIA IL DOPPIO DI SPAGNOLI RISPETTO ALLA MEDIA NAZIONALE HANNO VINTO GLI UNTORI
Il risultato delle elezioni nella Comunità di Madrid smuove tutta la politica spagnola e invia un messaggio forte in tutta Europa.
Vince la nuova enfant prodige del Partito Popolare, alfiera di una linea trumpiana; crolla il Partito Socialista, che segna il suo record storico negativo nella Comunidad della Capitale.
Non riesce il colpo di coda di Pablo Iglesias, il leader della sinistra populista e radicale che si era dimesso dal governo nazionale per tentare di evitare la scomparsa della sua Podemos dalla città che ne aveva dato i natali, in cui raccoglie un magro 7%.
Ma aldilà degli effetti tutti spagnoli, che includono una nuova competizione interna per la leadership dei Popolari, la crisi definitiva dei centristi di Ciudadanos e quella quasi ineluttabile di Unidad Podemos, questo risultato è destinato a fare scuola
La giovane Ayuso incassa il risultato politico di una campagna tutta improntata a far pagare ai suoi avversari il costo politico delle misure restrittive; al grido di “Liberdad!” la sua campagna ha ricordato quotidianamente la sua dura battaglia, talvolta vinta per vie legali, contro le misure restrittive del Governo centrale.
E tutto ciò nonostante le misure del paese iberico siano sostanzialmente meno restrittive di quelle di Francia, Germania e Italia, nonostante una campagna vaccinale che fino a oggi ha proceduto a ritmi non inferiori della media Europea.
Ma soprattutto, nonostante il fatto che Madrid registri il triste record della maggiore incidenza di contagi, ricoveri e soprattutto morti per Covid di tutte le altri grandi realtà spagnole e della quasi totalità di quelle europee. Le dimensioni del risultato lanciano un messaggio a tutta la politica internazionale: in termini di consenso, il prolungamento delle misure si paga caro.
Ma caro si pagherebbe anche un allentamento precoce del livello di guardia, sperando che tra una settimana i dati di Milano in festa scudetto non vengano a ricordarcelo. A Sanchez rimane però una carta importante, la gestione del Recovery Fund, la possibilità di lasciare un segno netto sull’economia e la società spagnola, un segno che è tutto politico. Perché la ripartenza non è una questione tecnica, si tratta di compiere scelte, di decidere verso dove portare il paese.
Dopo l’ultima crisi, la destra Spagnola ha rimesso in camino il paese salvando i forti e facendo pagare il conto ai deboli. Oggi può essere diverso, l’opposto. E questo vale anche per l’Italia e l’Europa. Al costo politico delle misure restrittive si può contrapporre il possibile beneficio nel rendersi protagonisti di una ripresa che oltre che efficace sia anche equa. E allora però, anche da quest’altra parte del mediterraneo, è necessario segnare un solco, o di quo o di là.
A chi vuole incassare il premio gridando liberi tutti occorre far pagare il conto, renderli afoni nella discussione sul segno della nuova normalità.
Paradossalmente, può essere un’occasione: la risposta alla demagogia dell’“io, oggi” è solo la credibilità del “noi, domani”.
(da Huffingtonpost)
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