LE MANI SUI FONDI PNRR: UNA VAGONATA DI DENARO GESTITO DA FITTO
UNA CONCENTRAZIONE DI DELEGHE INUSUALE NELLE SUE MANI (EX DC, EX CDU. EX FORZA ITALIA, EX CONSERVATORI RIFORMISTI, EX NOI CON L’ITALIA, ORA FDI)
L’ordito riguarda la ripartizione degli uffici, ma la trama è politica. L’ordito è fatto di una distribuzione di deleghe che accentra a Palazzo Chigi, legittimamente nelle mani di poche persone vicine alla premier, gran parte della gestione e della vigilanza sull’esecuzione del Piano di ripresa e resilienza. Ma queste persone, a partire dal ministro per le Politiche europee Raffaele Fitto, dovranno compiere alcune scelte politiche di peso e accettarne le conseguenze.
La più importante, probabilmente già entro febbraio, riguarda i cosiddetti «poteri sostitutivi». Dato il ritmo del piano, all’inizio del 2023 andranno individuati gli enti inadempienti nell’attuazione dei progetti, magari perché non hanno bandito le gare. Questi andranno di fatto commissariati sul Pnrr, con il governo che si sostituisce alla politica locale nel progettare, bandire, assegnare e far eseguire.
Un governo profondamente politico come quello di Giorgia Meloni avrà molti occhi addosso su queste scelte, anche da Bruxelles, per capire se le amministrazioni di centrodestra e centrosinistra sono trattate con lo stesso metro.
Di certo la concentrazione di deleghe nelle mani di Fitto è inusuale. Non solo avrà le politiche europee (che sotto Mario Draghi erano del sottosegretario Enzo Amendola), ma anche il coordinamento del Pnrr (che con Draghi erano del suo sottosegretario Garofoli) e la gestione dei fondi europei di coesione (che con Draghi erano della ministra per il Sud Mara Carfagna).
Di sicuro sarà tutto da regolare e potenzialmente fragile il rapporto fra Fitto di Fratelli d’Italia, con la sua accumulazione di veri uffici in uno a Palazzo Chigi, e il ministero dell’Economia guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti.
Qui si trova la struttura che finora è stata il perno e il braccio operativo del piano: il Servizio centrale per il Pnrr presso la Ragioneria dello Stato, guidata da Carmine Di Nuzzo.
Fitto, da parte sua, si è attrezzato circondandosi di funzionari già rodati sul Pnrr: Mario Capolupo come capo del legislativo (aveva lo stesso ruolo al ministero delle Infrastrutture sotto Draghi) e Gilda Siniscalchi come capogabinetto (era capo degli Affari regionali).
Che Meloni abbia scelto l’accentramento in mano a pochi suoi fedelissimi si nota anche dal passaggio delle deleghe al digitale del Pnrr (progetti da 49,8 miliardi) che con Draghi furono di Vittorio Colao. Spetteranno al responsabile per tecnologia e telecomunicazioni di Fratelli d’Italia Alessio Butti, nominato sottosegretario a Palazzo Chigi.
Un crocevia delicato diventerà poi quello presidiato da Matteo Salvini al ministero delle Infrastrutture, con progetti per 61 miliardi. A causa dell’inflazione, il ministero ha già chiesto da settimane altri 10 miliardi per poter adeguare ai prezzi correnti. Ma quei fondi non sono già stimati del deficit atteso. A Giorgetti il compito di trovarli. O di dover rintuzzare il suo stesso leader di partito.
(da Il Corriere della Sera)
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