LEGA: INSULTI E RISSA PER COPRIRE LA GUERRA INTERNA
I PADAGNI ATTACCANO IL GOVERNO CHE CERCA DI METTERE LE TOPPE AL LORO MALGOVERNO, MA IL PROBLEMA E’ TRA BOSSI E MARONI
La Lega di lotta, senza governo, sostituisce il cappio di Tangentopoli con un “muro” di cartelli contro “la rapina” della manovra di Mario Monti.
Da “Basta tasse” a “Giù le mani dalle pensioni”.
La gazzarra neopopulista del Carroccio va in scena al Senato e non risparmia neppure l’ex alleato Renato Schifani, presidente dell’assemblea di Palazzo Madama: “Sei un pagliaccio”. Il Professore Tecnocrate di Palazzo Chigi è invece un “maggiordomo”.
Insulti e rissa, questa la ricetta della Lega, che ha scelto l’opposizione per riguadagnare consensi (i sondaggi la danno in caduta libera), salvare le amate province (che significano poltrone e gestione del territorio) e rifarsi una verginità dopo un decennio trascorso a ingerire e digerire ogni porcata ad personam del Cavaliere.
Anche alla Camera, i deputati leghisti si mostrano combattivi.
Protestano contro Fini per il taglio della discussione generale sul decreto SalvaItalia e poi chiedono e ottengono il dibattito a oltranza, mentre Umberto Bossi, sempre più anziano e malconcio, ripete che “Berlusconi se la fa con i comunisti” .
Per tutta risposta l’ex premier annuncia che oggi vedrà il Senatùr.
In realtà l’ammuina padana serve a coprire e a nascondere la profonda spaccatura che da mesi paralizza il partito un tempo governato in modo “leninista” dal Capo.
La “dittatura” bossiana è sempre più contrastata dall’ala “autonomista” di Roberto Maroni.
Le due fazioni non comunicano nemmeno più e si fanno la guerra persino nei corridoi della Padania, il semi-clandestino house organ della Lega, il cui bilancio è segnato da un profondo rosso.
Secondo alcuni calcoli fatti e aggiornati di continuo dal “cerchio magico” che circonda Bossi (con in testa il capogruppo alla Camera Reguzzoni e il vicepresidente del Senato Rosi Mauro), Maroni e i “maroniti ” controllano la maggioranza del partito e un eventuale congresso federale, cioè nazionale, che non si tiene da un decennio, sancirebbe una clamorosa sconfitta del Senatùr che potrebbe generare un’altrettanto clamorosa scissione.
Anche per questo, Bossi avrebbe incontrato riservatamente Maroni per avere assicurazioni sulla “salvaguardia” della propria leadership e l’ex ministro dell’Interno avrebbe ceduto, almeno a parole.
Per il resto, i due clan si promettono epurazioni a vicenda in occasione delle liste per le politiche, anticipate o no che siano.
Al momento il pallino è ancora nelle mani di Reguzzoni e del “cerchio magico” ed è in quest’ottica che va decifrato lo scontro di ieri nell’assemblea dei deputati leghisti. Maroni stesso ha rilanciato la questione del capogruppo dopo le promesse di Bossi di sostituirlo a dicembre e Reguzzoni ha reagito con un puro tatticismo per conservare la poltrona: porre il problema della presidenza del Copasir, oggi occupata da Massimo D’Alema (che teme “conseguenze” dall’inchiesta su Finmeccanica).
Per la Lega, il posto va all’opposizione e un’eventuale investitura di Maroni salverebbe Reguzzoni.
Ma l’ex ministro dell’Interno ha fatto capire dove punta: la poltrona del Copasir non gli interessa.
Piuttosto mira a fare il capogruppo e a gestire da una posizione di rilievo questa fase di transizione.
Il suo obiettivo, sempre se avrà il coraggio di andare sino in fondo contro il Capo, ha due tappe: il controllo del partito e poi sedersi al tavolo della riforma elettorale per invocare un sistema tedesco che consentirebbe alla Lega di andare da sola e staccarsi definitivamente dal Cavaliere.
Il retropensiero dei “maroniti”, infatti, è che l’allontanamento tra “Silvio” e “Umberto” sia solo di “facciata”. E i messaggi che i due si lanciano (ancora Bossi, ieri: “Berlusconi senza le spalle forti della Lega si sentirà perso”) confermano questa sensazione.
Lo scenario del Senatùr è ancora da Seconda Repubblica, quello di Maroni, invece, è da Terza, per “isolare” la Lega in un quadro di grande centro e garantirle la sopravvivenza.
Senza dimenticare, però, il noto feeling maroniano sia con Angelino Alfano, sia con il versante bersaniano del Pd.
L’esito di questa feroce guerra nella Lega è imprevedibile e l’incognita maggiore, secondo alcuni leghisti di rango, è il coraggio dell’ex ministro dell’Interno, sempre uomo dei penultimatum, incapace di assestare il colpo mortale a Bossi.
Il quale a sua volta potrebbe essere tentato di usare come un’arma letale contro l’ex amico “Bobo”: l’ingresso di Giulio Tremonti nella Lega.
La suggestione è circolata nei giorni scorsi e chissà se è destinata a rimanere tale.
Fabrizio d’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
(vignetta diksa53a)
Leave a Reply