LEGGE ELETTORALE: SI TRATTA SUL PREMIO AL PRIMO PARTITO
RIPARTE IL CONFRONTO: IL PD CHIEDE IL 10%, IL PDL NON VUOLE SUPERARE IL 6%
Non parlava di America ma di Italia Napolitano, quando osservava che «non è solo fair play, negli Stati Uniti l’interesse generale prevale sui contrasti».
Per poi aggiungere tra lo speranzoso e l’amaro: «Prima avremo questo atteggiamento anche da noi, meglio sarà per il paese».
Il Capo dello Stato senza dubbio si riferiva al brutto spettacolo dei partiti, che finora non sono stati capaci di superare il «Porcellum», madre di tutte le vergogne politiche. Per Napolitano guai se si tornasse alle urne con le liste dei nominati, con i premi di maggioranza spropositati e con tutte le incongruenze della legge attuale.
Il suo incoraggiamento si fa pressante perchè alla riforma ormai sembra mancare poco, anzi pochissimo.
Ieri la distanza tra i partiti era ridotta a un misero 4 per cento.
Che non è una cifra calcolata a spanne, ma la differenza aritmetica tra quanto chiede il Pd per dire sì alla riforma, e ciò che invece sarebbe disposto a concedere il Pdl. Bersani insiste perchè il premio al partito più votato sia pari al 10 per cento dei seggi, i berlusconiani sono disposti a spingersi a un premio del 6 per cento come massimo. Dieci meno 6 fa, per l’appunto, 4.
Possibile che non riescano a mettersi d’accordo?
In teoria le divergenze non si esaurirebbero qui.
Ad esempio, tra i partiti si sta discutendo come attribuire l’altro premio: quello che scatterebbe qualora una coalizione riuscisse a superare l’asticella piazzata al 42,5 per cento dei suffragi.
Il Pd gradirebbe che, vista la difficoltà dell’impresa, quest’altro premio fosse almeno del 15 per cento, e che l’asticella venisse abbassata al 40; il Pdl viceversa insiste per tenere l’asticella dov’è, e per un «bonus» non superiore al 12,5.
Bersani e i suoi (da Enrico Letta a Migliavacca, dalla Finocchiaro a D’Alema) battono sullo stesso concetto con identiche parole: «Serve garantire la governabilità , non si può pensare che creando una palude venga fuori il Monti-bis», basta con il governo tecnico…
Ma su questo punto i due maggiori partiti non faticheranno a trovare un compromesso perchè, tanto, un salto al 40 o al 42,5 per cento nessuno sembra in grado di farlo.
Se si dà retta ai sondaggi, Bersani più Vendola valgono al massimo un 35, Berlusconi lo vede col binocolo.
Perciò l’unico premio cui possono eventualmente aspirare non è la tombola, ma il «premietto» consolatorio al partito che, pur senza superare l’asticella, si piazza primo. Bersani (che ha ritrovato su questo punto l’intesa con Casini) sotto il 10 per ora non vuole scendere, sarebbe «inaccettabile».
E il Pdl sopra il 6 per ora non intende andare.
L’ultima novità è che ha fatto rientro a Roma il Cavaliere, reduce dalla vacanza in Kenya.
I suoi gli hanno riassunto i termini della questione, in modo da capire come la pensi realmente.
E siccome Silvio avrebbe anche potuto dire «non mi piace nulla», mandando all’aria quanto si è deciso fin qui, tutto ieri si è fermato in attesa dell’incontro a pranzo tra Berlusconi, Alfano, Letta e Verdini.
La commissione in Senato, dove si sta votando la riforma, è stata prudentemente sospesa dal presidente Vizzini.
Il tavolo tra i partiti, rinviato… Una situazione paradossale.
Finchè, verso sera, finalmente la prognosi è stata sciolta: Verdini negozierà per conto del Pdl sulla base dello schema fin qui discusso. Può tentare la stretta finale, senza mollare sul famoso 4 per cento…
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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