L’ESERCITO DELLA SALVEZZA: PER IL RECOVERY FUND REGIA A TRE, 6 MANAGER E UNA MAXI TASK FORCE
UNA SQUADRA DI OLTRE 300 PERSONE CON LA TESTA POLITICA CHIGI-MEF-MISE
Una nuova maxi task force, un Comitato interministeriale affari europei, un organo politico, un comitato esecutivo costituito da sei manager.
Ecco la gigantesca macchina che gestirà nei prossimi mesi i 209 miliardi in arrivo dall’Europa per attuare un piano di ripresa, il Recovery Fund.
Si è discusso di questo durante l’incontro a Palazzo Chigi tra il premier Conte e due rappresentanti per ogni partito di maggioranza.
Presenti anche i ministri dell’Economia Roberto Gualtieri (Pd), degli Affari europei Enzo Amendola (Pd) e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro (M5S). Durante il vertice non sono mancati momenti di tensione sul Meccanismo europeo di stabilità , con il Movimento 5 Stelle profondamente contrario al suo utilizzo in ambito sanitario.
Intanto prende forma una struttura che vede un organo politico e un organo tecnico-esecutivo. L’organo politico ruota attorno al Ciae, il Comitato interministeriale per gli affari europei, guidato dal ministro Amendola (delegato ai rapporti con Bruxelles) e ha come figure di riferimento il premier Conte e i ministri Gualtieri (Economia) e Patuanelli (Sviluppo economico).
L’organo tecnico avrà un comitato esecutivo costituito da 6 manager, responsabili degli obiettivi del Recovery Fund, anche con poteri sostitutivi rispetto ai soggetti attuatori, coadiuvati da una task force di 300 persone.
Durante l’incontro, come si è detto, si è discusso anche del tema più spinoso, quello del Mes su cui le posizioni all’interno della maggioranza sono diverse.
Secondo alcuni retroscena il M5S avrebbe proposto di scrivere una risoluzione di maggioranza che specifichi il fatto che l’Italia non farà ricorso al Mes sanitario. “La nostra linea è che la riforma del Mes si discute in Parlamento e, comunque, va messo nero su bianco che non si userà ”, fanno sapere all’Adnkronos fonti di governo pentastellate.
“Ma come si fa, nel pieno della seconda ondata a rifiutare i miliardi del Mes? Questo è uno scambio inaccettabile”, avrebbe replicato durante la riunione Luigi Marattin, di Italia Viva. Sulla stessa linea di rappresentanti del Pd.
Poco più tardi fonti di governo chiariscono che la firma della riforma del Mes all’Eurogruppo di lunedì è una questione distinta e non ha nulla a che fare con il ricorso al Mes o al Mes sanitario.
Sarebbe stato questo il punto ribadito dal ministro dell’Economia Roberto Gualtieri nel corso della riunione.
Una riunione preliminare in vista dell’audizione del titolare del Mef in programma per lunedì mattina, che non si concluderà nè con risoluzioni nè con voti.
Gualtieri, sempre a quanto s’apprende, ha spiegato quanto la riforma sia migliorativa rispetto a quella già trattata dal primo Governo Conte e come non sia possibile procedere ponendo veti sugli strumenti messi in campo dall’Europa, come fa il premier ungherese Orban, strumenti positivi per il nostro Paese e che tutti i nostri alleati caldeggiano.
La riforma era stata concordata a livello di Eurogruppo nel dicembre del 2018 e prevede tra le altre cose la possibilità che il Mes agisca come backstop (supporto al Fondo di risoluzione unico) nelle crisi bancarie.
La risoluzione di maggioranza dell’11 dicembre 2019 poneva come condizioni per la sottoscrizione della riforma, l’esigenza che essa fosse collocata in un pacchetto più ampio di riforme economiche europee e venissero esclusi ogni ponderazione del trattamento prudenziale dei titoli di stato e ogni ristrutturazione automatica del debito. Su questi ultimi due punti nelle settimane successive l’Italia aveva ottenuto le necessarie garanzie, poi con la decisione di varare il programma Next Generation EU il governo si dice soddisfatto.
Ed è per questo che vuole andare avanti con la riforma perchè bloccare l’accordo, fortemente sostenuto da tutti gli altri paesi dell’area euro e in particolare da quelli a noi più vicini come Francia, Spagna e Portogallo, apparire controproducente agli occhi dell’esecutivo.
(da “Huffingtonpost”)
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