L’OMBRA DELLA SCISSIONE NEL M5S: SI INIZIA A PRONUNCIARE LA PAROLA TABU’
IL VOTO SULLA DICIOTTI SPACCA IL MOVIMENTO, ORMAI DIVISO IN DUE… E ORA I DISSIDENTI SONO DIVENTATI TANTI
Quando Mario Giarrusso esce dal portone dello stabile in cui il Movimento 5 stelle ha appena votato No al mandare alla sbarra Matteo Salvini, viene investito da un’onda.
È un gruppo di senatori del Partito democratico che alzano il coro “onestà onestà ” e sventolano cartelli con l’hashtag #decidecasaleggio. È un’immagine che fa male.
Ed è il paradigma che spiega meglio di ogni altra cosa perchè nel Movimento è iniziata a circolare una parola che anche nei momenti più bui è rimasta un tabù: scissione.
Non perchè, al momento, qualcuno la stia organizzando, non perchè, tra i più, sia un auspicio concreto. Ma è inevitabilmente entrata nei discorsi tra i capannelli dei parlamentari.
Più della rivoluzione verticistica dei 5 stelle annunciata negli ultimi giorni da Luigi Di Maio, è stato il caso Diciotti a far deflagrare una bomba all’interno di quell’universo.
Un senatore spiega: “Ma tu ti rendi conto? Lui ieri ha detto che Travaglio ha strumentalizzato i nostri sindaci. Questo più di tutto ti fa capire di che casino stiamo vivendo”.
Perchè il direttore del Fatto quotidiano è un punto di riferimento del mondo pentastellato. Uno scontro così duro fra stelle di universi tangenti non si era mai visto.
Così ecco che un altro onorevole di Palazzo Madama si sgancia da un capannello di colleghi: “Qui non si capisce più niente, se continuiamo così dopo le europee ci dividiamo, o magari anche prima, tra chi vuole stare al governo e ingoia qualunque cosa dalla Lega e chi vuole tornare a essere il M5s di una volta”.
Poi osserva sospettoso: “Sta registrando? Ah no, allora se mi cita la querelo”.
Una situazione liquida, magmatica.
I dissidenti ai quali Paola Taverna ha indicato la porta in una tesa riunione di gruppo sono più di quanti non siano mai stati.
Guardano a Roberto Fico più che a Beppe Grillo: solo il presidente della Camera potrebbe orchestrare un’operazione politica che abbia un respiro, magari con il fondatore come nume tutelare. Fantapolitica, certo.
Ma è un fatto che fino ad appena una settimana fa ragionamenti del genere non erano di casa da queste parti. E che i Movimenti 5 stelle mai come oggi siano due, che vivono quasi da separati in casa.
“L’etica è anzitutto un avvenimento”, scriveva Alain Finkielkraut.
E il voto sulla Diciotti è stato il fatto che ha polverizzato i principi su cui il 33% degli italiani ha dato fiducia ai 5 stelle, almeno a sentire chi critica le scelte del capo politico.
Luigi Gallo, presidente della commissione Cultura della Camera e uomo considerato vicino a Fico, esce allo scoperto: “C’è qualcuno che dice che il 41% (dei voti sul blog favorevoli al processo per Salvini, n.d.r.) deve andarsene, qualcun altro vuole etichettare il 41% come dissidenza. Io so invece che il 41% e pronto a mobilitarsi e vuole chiedere conto della direzione di questo governo, vuole più coerenza”.
“Qualcuno dice che deve andarsene”, “mobilitazione”.
Beppe Grillo che porta il suo spettacolo a Roma, al Brancaccio, è atteso da un gruppo di attivisti che si sono sentiti traditi. Gianluca Cancelleri, influente colonnello siciliano, ribadisce la fiducia alla leadership ma si rammarica: “Avremmo dovuto votare l’autorizzazione a procedere
Nel Transatlantico del Senato c’è chi gira con sguardo attonito, e parla di “percentuali che non ci faranno superare la soglia di sbarramento se continuiamo così”, iperboli che non certificano la realtà ma uno stato d’animo da impazzimento sì, mentre il leader è chiuso a Palazzo Chigi per l’ennesimo vertice su reddito di cittadinanza e quota 100.
Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede è costretto a giocare sulla difensiva, a spiegare che il voto in Giunta non costituisce “una svolta garantista”.
Giarrusso va in giro a spiegare che rimane manettaro. Se non bastasse la parola quando passa davanti ai senatori del Pd che lo contestano alza le mani e mima il gesto delle manette ai polsi. “L’etica è anzitutto un avvenimento”, scriveva Alain Finkielkraut.
(da “Huffingtonpost”)
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