MAIDAN PIANGE I SUOI EROI E GRIDA VITTORIA: “ABBIAMO DI NUOVO UNA PATRIA”
LA PIAZZA FESTEGGIA IL GRANDE GIORNO
Piange Maidan. Di estasi e rabbia, con confusione e strazio: comincia a brillare di splendore nuovo, questa piazza irriconoscibile senza pioggia di pietre, scintillio di molotov, urla di granate. La conquista e rifondazione della capitale è in atto.
Piange Maidan per il significato stesso della parola Ucraina che cambierà qui e adesso: non più u kraj, al confine, quello che vuol dire in russo, ma finalmente e semplicemente krajina, che nella lingua di questo popolo significa terra.
Piange Maidan e chiede: allora questa è vittoria?
«Benvenuta vecchia nuova costituzione, Maidan è l’Ucraina intera stanotte»: Dimitrij dice che dopo l’indipendenza del 1991, la rivoluzione arancione del 2004 e questo febbraio 2014 sono trascorse tre epoche in meno di un quarto di secolo.
La gente comincia a presentarsi con il suo vero nome, a nominare le reali città d’appartenenza, a togliersi i passamontagna perchè non ha più paura del riconoscimento e dell’arresto dopo l’amnistia.
I cosacchi di Mamai non smettono di suonare i tamburi di guerra a dorso nudo con un ritornello di fuochi d’artificio, inni di gioia dal palco. Il tappeto di proiettili che aveva scritto in due notti la nuova topografia della città è tutto raccolto nei palmi che ognuno porge all’altro: «è successo davvero e siamo sopravvissuti».
«Le sanzioni dell’Ovest hanno funzionato, dopo giorni di continue cattive notizie, sangue che scorreva per le strade stentiamo a credere di aver vinto» dice Dima Pacinko, 40 anni, maestro di turno sulla barricata di via Gruzhevskij.
Che c’è qualcosa di nuovo sul fronte orientale lo trasmettono le urla da una barriera all’altra a sopperire alla mancanza di internet: si diffondono così le notizie per chi è lontano dal teleschermo.
Per la probabile liberazione di Yulia Timoshenko diventa festa di braccia che si congratulano.
Eppure i muzhiki, gli uomini, rimangono sotto il tiro dei cecchini a presidiare il territorio. Sono quelli che quando ritornano dal fronte scorrono tra ruote bruciate e gli applausi della passerella dei prodi: malazi, nashi geroi, bravi i nostri eroi.
Sempre più poliziotti disertano, varcano le barricate per aggiungersi ai manifestanti. Sorte diversa per i titushki, paramilitari al soldo del governo addetti ai rastrellamenti, tenuti chiusi nelle stanze del Comune per paura delle reazioni di massa.
In una fabbrica segreta di Kiev in tributo alla rivoluzione alcuni operai hanno costruito una catapulta di dieci metri in legno, trasportata fino a via Gruzhevskij. Prevale il senso di appartenenza su quello ideologico per la giustizia dei barricaderi adesso che dopo mesi la cerchia dorata dello Stato è violata, spezzata o almeno sembra: “Yanukovic è ancora il presidente ma è abbastanza per oggi, credimi” dice Maria col sorriso bagnato di lacrime.
Dove erano appostati i ribelli con i fucili nel palazzo dei sindacati, andato completamente bruciato dal primo all’ottavo piano, si stanno spostando con le pale le ceneri che rimangono dei corpi.
Feriti dall’esercito, sono morti di fiamme perchè non sono riusciti a scappare: loro come molti, non vedranno la notte per cui sono rimasti a testa alta sotto tiro dei cecchini.
Con l’alloro della conquista si susseguono le bare che la gente si affolla per portare a spalla. “Chiunque fossero, erano nostri e questa è la loro vittoria” dice Andrej.
“La piazza rimarrà qui fino a che non avrà un nuovo presidente”. L’eroe della prima ora Misha, il combattente che era qui dal primo lancio di bytilka cocktail molotov, torna a casa da sua moglie a Rivne adesso che tutta la terra di Stefan Bandera si solleva.
Di molotov ce ne sono ancora scorte e negli occhi di Vovka c’è tutto quello che è il suo paese stanotte: con lo sguardo sbalordito perlustra il vuoto di Berkut in trincea, si prepara a passare la sua prima inspiegabile notte senza fuoco.
“Se abbiamo vinto perchè piangono? Comunque che ce ne facciamo adesso di tutta questa dinamite?” chiedono i suoi 17 anni al presidio Instituzka mentre l’Ucraina cambia nella piazza che lui difende con lo scudo senza dormire da due giorni. Come Vovka, mentre si chiede se questa è vittoria, scioccata dalla sua stessa forza, confusa dalla sua stessa potenza, piange Maidan.
Michela a.g. Iaccarino
(da “La Stampa”)
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