MAURIZIO DI MARZIO DOMANI SARA’ UN UOMO LIBERO, SCADE OGGI LA PRESCRIZIONE
EX TERRORISTI: E’ STATO L’UNICO A FUGGIRE AGLI ARRESTI IL 28 APRILE
“Ombre rosse” è il nome dell’operazione che ha portato all’arresto di sette terroristi italiani in Francia e, come un’ombra, l’ex brigatista Maurizio Di Marzio sembra svanire nel nulla dopo che la polizia francese a fine aprile ha bussato alla sua porta con un mandato di cattura.
Era il 28 aprile e tra allora e oggi, 10 maggio, c’è un prima e un dopo non indifferente per Di Marzio.
I reati di banda armata, associazione sovversiva, sequestro di persona e rapina per cui era stato condannato a cinque anni e nove mesi di reclusione dalla mezzanotte di oggi cadono in prescrizione, trasformandolo automaticamente in uomo libero a tutti gli effetti.
Dei dieci nomi di cui l’Italia ha chiesto l’estradizione al governo francese, infatti, Di Marzio è l’unico che non è ancora stato arrestato né si è costituito, vincendo la sua personale battaglia contro la giustizia italiana, non più capace di perseguirlo.
Molisano d’origine – di Trivento, in provincia di Campobasso – la sua attività nelle Br è legata al contesto romano dove il suo nome è associato all’attentato al dirigente dell’ufficio provinciale del collocamento della capitale Enzo Retrosi nel 1981 e, su tutti, al tentato sequestro del vicequestore Nicola Simone, il 6 gennaio dell’anno successivo.
Il vicecapo della Digos, scomparso recentemente, era impegnato nella lotta al terrorismo rosso e, in seguito all’episodio dove rimase gravemente ferito e per cui gli venne conferita la Medaglia d’oro al valore, fu il primo direttore dell’Interpol Italia.
A quell’operazione presero parte anche i brigatisti Giovanni Alimonti, Roberta Cappelli e Marina Petrella, esuli in Francia come Di Marzio ma che adesso, a differenza sua, saranno chiamati di fronte alla giustizia.
La vita francese di Di Marzio è condita da poca cronaca, concentrata tra il IX e il X arrondissement di Parigi a Rue de Maubeuge, all’interno della Taverna Baraonda, il ristorante gestito insieme alla moglie “per gli amanti del cibo, del vino e dell’arte”, come recita un post su Facebook, dove era facile incontrarlo e in cui aveva trovato lavoro anche Alimonti, ora ai domiciliari in attesa del rimpatrio.
Da esule, Di Marzio ha avuto modo di ripercorrere quel periodo di lotta armata, ammettendo in un’intervista di diversi anni fa concessa a Panorama di aver commesso “un mare di sciocchezze” tali che “non le ripeterei”, anche se “prima di giudicare bisogna considerare il contesto”.
Si definiva “cambiato” senza nascondere l’irritazione nei confronti dell’Italia, da cui si sentiva “perseguitato”. “Ho già scontato sei anni di carcere” e “non ho mai ucciso nessuno”, si difendeva nell’intervista.
Per amor di verità, duranti gli anni francesi Di Marzio conobbe anche mesi tormentati. Fermato nell’agosto del 1994 dalle autorità francesi, sempre in seguito alla richiesta arrivata da Roma, l’anno successivo la Corte d’appello si espresse in favore della sua estradizione in Italia. Ma, per via della discussa Dottrina Mitterand, su quel decreto governativo non venne mai posta alcuna firma e Di Marzio sfuggì, una seconda volta, alla giustizia italiana.
La terza, quella di oggi, si è cercato (invano) di evitarla. Proprio in vista delle prescrizioni, all’orizzonte non solo per Di Marzio, il presidente della Repubblica Emmanuel Macron e il ministro della Giustizia Eric Dupond-Moretti – che, per difendersi dalle accuse piovute dalla sinistra e da alcuni intellettuali dichiaratamente contrari all’estradizione, ha paragonato gli esuli italiani ai terroristi del Bataclan – avevano deciso di accelerare le operazioni.
La decisione del Tribunale di Milano di dichiarare “cittadino comune” l’ex membro dei Proletari armati per il comunismo Luigi Bergamin voleva tentare di superare la prescrizione, fissata all’8 aprile, ma ha provocato la reazione immediata di entrambi gli avvocati di quello che fu il compagno di lotta di Cesare Battisti.
Un provvedimento che “contesteremo” perché “non ha valore in Francia”, ha avvertito l’avvocata Irène Terrel. Le polemiche accese, quindi, hanno scoraggiato a prendere posizioni simili anche per Di Marzio.
Gli arresti dei giorni scorsi hanno sancito una rottura con il passato imposto dalla Dottrina, venendo così incontro alle richieste del governo italiano chiamato, non a breve, a tornare indietro di qualche decennio per fare i conti con la propria storia e con alcuni dei protagonisti di allora che, prendendo in prestito le parole del presidente del Consiglio Draghi, “hanno lasciato una ferita ancora aperta”. Alcuni tranne uno, per l’appunto. Da domani, definitivamente libero.
(da agenzie)
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