MELONI E’ NEMICA DELL’INTERESSE NAZIONALE DELL’ITALIA
LA DEVOZIONE A WASHINGTON, UNA COALIZIONE LITIGIOSA, UNA LEGA ANTI-EUROPEISTA LE HANNO FATTO PERDERE QUELO POCO DI CREDIBILITA’ CHE AVEVA
Un alieno che si fosse trovato per caso a transitare in Italia negli ultimi giorni potrebbe concludere che il destino del pianeta dipenda dalle gravi e urgenti decisioni che vengono prese nel chilometro quadrato attorno a palazzo Chigi. Tanto è il furore della discussione su armi e difesa, su pace e guerra, che tracima dal Parlamento, spacca la maggioranza come l’opposizione, invade le trasmissioni televisive su ogni canale.
Sopra a tutto troneggia una presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, un po’ troppo frettolosamente osannata come colei che ha ridato prestigio al paese, in grado di essere nientemeno che il ponte del dialogo usurato tra le due sponde dell’Atlantico e sicura protagonista del grande gioco internazionale che ridisegna gli equilibri del mondo in tumulto. Troppa grazia.
Meloni ha adottato un mantra che è diventato il suo talismano. Agirebbe, sempre, in nome «dell’interesse nazionale». E grazie alla sua postura dalla schiena dritta avrebbe raggiunto risultati miracolosi, avendo sgomitato e alfine imposto la sua figura nel consesso dei grandi. È davvero così?
A Donald, con i suoi omaggi
L’immagine più emblematica della tanto reclamizzata serie “Giorgia e Donald” è quella in cui il tycoon svetta al centro della scena, lei sullo sfondo di bianco vestita e in trepidante attesa di un cenno d’invito nel cuor del proscenio. È l’esatta divisione dei ruoli di un soggetto inducente e un soggetto indotto. Ad essere estremi si potrebbe addirittura definire soggezione se non sottomissione al presidente del paese più
potente. Da omaggiare a prescindere, qualunque nefandezza non solo dica ma compia. Il catalogo è già corposo.
Nessuna critica quando Trump ha umiliato a favore di telecamera Zelensky, il presidente ucraino a cui Giorgia aveva promesso appoggio «fino alla fine». Nessun distinguo quando ha oltraggiato l’Europa a cui geograficamente l’Italia appartiene. Nessun rimprovero quando ha dato il sostanziale via libera a Netanyahu per riprendere la feroce guerra nella Striscia di Gaza, quando minaccia di conquistare la Groenlandia o una fetta di Canada.
In cambio di tanta fedeltà cosa ha ottenuto? Forse un ruolo nei tavoli dove si decidono le sorti del Medio Oriente o della guerra in Ucraina? No, neanche uno strapuntino. E invece: dazi all’Italia esattamente come a tutti gli altri paesi non così proni, le Borse che crollano (Milano compresa) le previsioni sul Pil in netta discesa.
Ma lei, non contenta, non solo contesta i dazi ma prega l’Ue di non ricambiare con la stessa moneta per non urtare il manovratore, in questo superata a destra dal suo ineffabile vice Matteo Salvini che inneggia ai dazi perché offrirebbero «un’opportunità di crescita alle nostre imprese». Sarebbe questo «l’interesse nazionale».
La reazione europea
La devozione a Washington, unita alla fatica di tenere unita una coalizione litigiosa e nella componente Lega anche antieuropeista, si porta come corollario la progressiva perdita di credibilità nel Vecchio Continente causa la nostra inaffidabilità, l’opacità e l’ambiguità di posizioni.
Scaricata dall’America, messa ai margini dal duo Trump-Putin su una questione assai rilevante come l’Ucraina che è a ridosso del suo territorio, l’Europa ha cercato una reazione con le iniziative di Macron e Starmer per creare un gruppo di “volenterosi” e attrezzarsi per rispondere alle nuove sfide geo-strategiche. Si poteva non condividere in pieno, elaborare una propria proposta, mettersi comunque nei vagoni di testa di un’alleanza allargata al Regno Unito, a Canada, Australia (persino la Turchia del despota Erdogan che si sbarazza arrestandoli degli avversari).
Meloni ha preferito defilarsi nel vagone di coda, pronta a scendere dal convoglio alla bisogna, dubbiosa se partecipare ai vertici nel timore di irritare il supposto amico d’oltreoceano. Si presenta al Consiglio europeo di ieri con il fardello del capogruppo alla Camera della Lega Riccardo Molinari che le nega il mandato ad approvare il riarmo Ue e nicchia sulla necessità di rafforzare gli arsenali visti i tempi che corrono
Il tutto mentre la Germania rompe gli indugi e vara un piano di riarmo da 500 miliardi a debito, i paesi baltici sono spaventati dall’espansionismo di Mosca così come la Polonia. Ma noi siamo placidamente adagiati sul Mediterraneo, più lontani dalle aree critiche. Che ci importa degli altri europei? Finisce che «l’interesse nazionale» è sinonimo di sovranismo. Già, prevale il proprio “particulare”. Auguri.
(da – editorialedomani.it)
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