MELONI LA TEMPOREGGIATRICE: SULL’AUMENTO DEI FONDI ALLA DIFESA, LA TRUMPETTA È IN GRANDE IMBARAZZO, L’ITALIA NON HA UN EURO IN CASSA, E NON SAPREBBE DOVE TROVARE I 30 MILIARDI ALL’ANNO CHE SERVIREBBERO PER ARRIVARE AL 5%, COME CHIEDONO GLI USA E COME SARÀ CERTIFICATO AL VERTICE NATO DI FINE GIUGNO
CHE FARE? LA PREMIER CHIEDE DIECI ANNI DI TEMPO PER RAGGIUNGERE IL TARGET, MA DIFFICILMENTE RIUSCIRÀ A SPUNTARLA
L’Italia non è tra i sedici Paesi che hanno chiesto di attivare la
clausola di salvaguardia che consente di scorporare le spese militari dal Patto di Stabilità. Ma è chiaro che l’impegno che verrà sottoscritto al vertice Nato de L’Aia del 24-25 giugno – portare le spese per la Difesa al 3,5% del Pil, più l’1,5% in investimenti per la sicurezza nell’arco dei prossimi sette-dieci anni (la tabella di marcia sarà oggetto di trattative tra i leader) – non potrà essere onorato senza fare ricorso a uno sforamento dai vincoli Ue.
Questo è stato il cuore del colloquio, ieri a Palazzo Chigi, tra Giorgia Meloni e il presidente del Consiglio europeo António Costa. Un confronto utile a prepararsi per il vertice dei Ventisette leader dell’Unione che si terrà a Bruxelles il 26-27 giugno, cioè all’indomani del summit dell’Alleanza Atlantica, il primo da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca.
Il presidente americano sembra ormai deciso a non concedere altri margini agli alleati: vuole un maggiore impegno finanziario dei Paesi membri. E lo chiederà a suo modo: nella forma di un ultimatum. […] il timore è che possa spingersi fino ad accompagnare la richiesta sulle spese Nato all’annuncio di un disimpegno militare americano in Europa. Uno scenario da incubo, in un contesto ad altissima tensione con la Russia, che costringerebbe i leader europei ad accelerare sul rafforzamento della Difesa.
Le strade per trovare una via d’uscita a Bruxelles sono quindi due, percorribili anche contemporaneamente. Da un lato c’è da parte italiana la richiesta di ottenere maggiore flessibilità: l’attuale clausola resterà attiva soltanto per quattro anni, ma per Roma si tratta di un periodo insufficiente perché vorrebbe dire rinviare soltanto il problema.
E quindi c’è la proposta di estendere l’orizzonte temporale: il ministro della Difesa Guido Crosetto, con una battuta, ha detto che servirebbero «20-30 anni» ma a Roma, realisticamente, si discut
della possibilità di allinearlo a quello dell’obiettivo che verrà stabilito in sede Nato, per la nuova soglia di spese militari al 3,5% più 1,5%.
Meloni, Crosetto, e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sperano che si possa fissare quest’ultima deadline al 2035, anche se al momento la proposta del segretario generale Mark Rutte è per il 2032.
La premier può contare sulla sponda del primo ministro britannico Keir Starmer e molto probabilmente anche di Emmanuel Macron, ma sarà Trump ancora una volta a orientare la scelta. Pare, invece, ormai certo che il presidente francese sarà suo alleato al tavolo dei leader Ue.
I meccanismi di finanziamento del riarmo e la discussione sulla maggiore elasticità nella tempistica sono nelle mani della Commissione, ma Meloni punta a ottenere la sponda del Consiglio europeo per dare un indirizzo politico in questo senso a Ursula von der Leyen.
Stesso discorso per l’idea, per il momento ancora in fase embrionale, di un fondo per la Difesa finanziato con debito comune.
Nella maggioranza di centrodestra non si fa più mistero della necessità degli Eurobond, una misura che, spiegano, è stata auspicata anche dal governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta. Lo vorrebbe anche Macron ma la Germania resta contraria e la crisi di governo nei Paesi Bassi non consentirà accelerazioni durante l’estate (si voterà a fine ottobre). Per questo Von der Leyen non intende, per ora, fare passi in avanti.
(da agenzie)
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