PAPA FRANCESCO: DOPO 25 ANNI NAPOLI HA RITROVATO IL SUO MARADONA
DALL’INFERNO DELLA TERRA DEI FUOCHI, DI SCAMPIA E DI POGGIOREALE AL BAGNO DI FOLLA DI PIAZZA DEL PLEBISCITO E TRA I CENTOMILA GIOVANI SUL LUNGOMARE: NAPOLI TORNA A SOGNARE
Dopo venticinque anni, Napoli ha ritrovato il suo Maradona. Nella più argentina delle città italiane Francesco si è ambientato subito, integrandosi nel paesaggio e passando da un appuntamento all’altro come nel goal del secolo che valse il mondiale alla seleccià³n del suo paese: testa alta e baricentro basso, palla a terra sui problemi concreti, guardandoli in faccia e affrontandoli ad uno ad uno.
Senza eluderli: “Undici ore di lavoro a 600 euro…questo non è umano e non è cristiano. E se quello che fa questo si dice cristiano dice una falsità ”.
“Neapel ist ein Paradies”.
Diversamente da Goethe, che incantato da cielo e mare provò la sensazione di trovarsi in Paradiso, la tappa partenopea del “viaggio in Italia” del Pontefice è cominciata dall’inferno.
La Terra dei Fuochi e il cemento delle “Vele” di Gomorra, impressi nell’immaginario televisivo, in luogo del Vesuvio e dei velieri del Golfo, incisi nelle stampe settecentesche.
I miasmi postmoderni al posto dei profumi preromantici, che il Papa dal “naso fino”, come lo ha definito il cardinale Sepe, ha subito fiutato all’arrivo, inconfondibili e irrespirabili: “La corruzione puzza, la società corrotta puzza e un cristiano che fa entrare dentro di sè la corruzione non è cristiano, puzza”.
Bergoglio combatte il male a colpi di calendario.
Giorni e stagioni non sono mai neutrali, bensì alleati da arruolare. In questa cornice il 21 marzo costituiva un richiamo troppo forte per non coglierlo e farlo coincidere con la visita: “Oggi comincia la primavera… è tempo di speranza. Ed è tempo di riscatto per Napoli…”.
Così Francesco ha lanciato una nuova campagna di primavera, dopo quella di un anno fa, quando alla stessa data radunò a ridosso del Vaticano, insieme a Don Ciotti, l’esercito dei reduci delle guerre di mafia, nella parrocchia romana di San Gregorio VII, celebrando la memoria delle vittime.
Una mobilitazione culminata tre mesi dopo nel solstizio d’estate e nel “giorno più lungo”, il 21 giugno, con lo sbarco in Calabria e la condanna della ‘ndrangheta, rinnovata e recapitata oggi all’indirizzo della camorra.
Come una raccomandata a domicilio, bussando casa per casa e tenendo però socchiuso l’uscio del Giubileo, lasciando uno spiraglio anche agli ospiti più improbabili: “Ai criminali e a tutti i loro complici io umilmente oggi, come un fratello, ripeto, convertitevi all’amore e alla giustizia!”.
La prima “Porta Santa”, dunque, è stata quella del quartiere simbolo di Scampia, inchinandosi e incarnando nel luogo e nel modo più realistico il mandato della Evangelii Gaudium, che al capitolo secondo disegna una inedita e avveniristica teologia della città : “Abbiamo bisogno di riconoscere la città a partire da uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze…Nella vita di ogni giorno i cittadini molte volte lottano per sopravvivere e, in questa lotta, si cela un senso profondo dell’esistenza che di solito implica anche un profondo senso religioso”.
Poche città al mondo interpretano tanto alla perfezione il magistero metropolitano di Francesco, “facendo leva su una speranza forgiata da mille prove”, ha detto, che le consente di risorgere con miracolosa, divina fantasia dai propri mali.
E’ questo “l’oro di Napoli”, che il futuro Papa scoprì nelle pellicole in bianco e nero del dopoguerra, che trasudavano i colori e il luccichio della vita.
Nell’era dei reality che illudono e allontanano dalla realtà , il Successore di Pietro ha offerto alle telecamere un affresco neorealista, suo genere cinematografico preferito.
Come nell’omonimo capolavoro di Vittorio De Sica, il lungometraggio della visita del Pontefice si è sviluppato in sei episodi: acclamato come un liberatore dalle gente di Scampia e proclamato napoletano ad honorem sulla piazza del Plebiscito; a pranzo con i transessuali di Poggioreale, prigionieri del carcere e del proprio corpo, e al capezzale dei malati, nella chiesa del “medico santo”, Giuseppe Moscati; assaltato dalle suore di clausura ed esaltato, osannato dai giovani sul lungomare, “colpo di grazia”, fisico e metafisico di un programma estenuante, trasfigurato dalla luce del meriggio, che innamorò acquarellisti e cineasti.
Sceneggiatura asciutta, senza sceneggiate. A metà tra Troisi e Francesco Rosi: la carezza di una mano dolcissima e la denuncia, durissima, delle mani sulla città .
Il Papa ecologo e geopolitico vive in simbiosi con la natura e con la storia, retaggio della sua cultura popolare, erudita ma immediata, nutrita di simboli e mai scontata.
In questo senso anche per lui, al pari di Goethe, l’Italia costituisce un luogo dell’immaginario collettivo, da cui parlare al mondo e proiettare visioni universali. “So zu trà¤umen ist denn doch der Mà¼he wert”: “così vale la pena di sognare”.
A dispetto del suo destino, Napoli non smette di suscitare sogni.
Suggestione che Bergoglio deve avere sperimentato mentre agitava l’ampolla del sangue di San Gennaro.
Miracolo inedito per un Pontefice. O in fondo, e al contrario, consuetudinario per un Papa che ne ha operato uno assai più arduo: rendendo fluido il messaggio della Chiesa e sciogliendo i grumi, e i coaguli, delle sue secolari incrostazioni.
(da “Huffingtonpost“)
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