PERCHE’ CHIAMARLI DECRETI INSICUREZZA, DATI ALLA MANO
CRESCONO GLI STRANIERI IRREGOLARI (+ 87.000), AUMENTANO I RICORSI, DIMINUISCONO I RIMPATRI (-6%), SI SVILUPPANO GHETTI URBANI: E’ UN FALLIMENTO TOTALE DI UN BLUFF CRIMINALE
La conseguenza più immediata è l’aumento degli stranieri irregolari. A poco più di un anno dall’entrata in vigore – il 5 ottobre 2018 – del primo Decreto Sicurezza, convertito in legge a dicembre, seguito a giugno dal Decreto Sicurezza Bis, tramutato in legge ad agosto, il bilancio degli effetti non può che partire dalla crescita del numero degli “invisibili” in Italia.
Poco meno di 640.000 a settembre 2018, dai dati dell’Istituto per gli studi di politica internazionale risulta che dalla fine di maggio 2018 – vale a dire dall’avvio dell’era Conte – gli immigrati arrivati in Italia con l’obiettivo di conquistare la possibilità di una vita dignitosa e sospinti nell’irregolarità sono 87.000 in più.
“Ventiquattromila sono conseguenza diretta del primo Decreto Sicurezza”, spiega all’HuffPost Matteo Villa, ricercatore e responsabile del programma “Migrazioni” dell’Ispi, mettendo in evidenza che i rimpatri sono pressochè fermi al palo. Nei quindici mesi di governo Conte, sono stati persino inferiori – del 6% – rispetto a quelli effettuati dal Governo Gentiloni. Nonostante gli annunci – in campagna elettorale aveva promesso 500.000 rimpatri – e i due Decreti Sicurezza dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini.
Era proprio la sicurezza nazionale l’obiettivo da raggiungere, intervenendo in particolare sull’immigrazione – i temi di entrambi i provvedimenti sono svariati – con divieti e paletti per i migranti nel primo, e per le organizzazioni non governative nel secondo.
Dodici mesi dopo è piuttosto evidente che il bersaglio sia stato mancato. Il clima, però, verso i migranti prima e verso le Ong che operano nel Mediterraneo, è cambiato. “Più che sicurezza i decreti Salvini hanno causato insicurezza” è la critica più diffusa.
Dentro e fuori il Parlamento si moltiplicano appelli; associazioni, comitati, sindacati, forze politiche, parlamentari e giornalisti chiedono l’abolizione dei due pacchetti battezzati dal leader leghista.
L’hanno chiesto anche il Pd e Leu, oggi nel Governo Conte II con i 5 Stelle – che da alleati della Lega di Salvini hanno votato entrambi i Decreti Sicurezza.
Richieste per ora cadute nel vuoto, nonostante annunci di correttivi significativi (da parte di Pd e Leu) o di modifiche nel senso delle richieste del Quirinale, il Conte 2 non ha messo mano alle norme.
Mentre la Ocean Viking, la nave di Medici senza frontiere e Sos Mediterranee, è bloccata tra Lampedusa e Malta, con a bordo 104 migranti salvati, per il rifiuto di Roma a indicare un porto di sbarco e mentre si avvicina il 2 novembre, giorno in cui verrà presumibilmente rinnovato in modo tacito il memorandum di accordo con la Libia sottoscritto nel 2017 dall’allora ministro Marco Minniti.
Nonostante sia ormai provato che nel Paese nordafricano – che si avvale di supporto e finanziamenti di Italia e Unione Europea – i migranti vengano bloccati e torturati nei centri di detenzione. I due decreti Salvini restano in vigore e gli effetti si fanno ogni giorno più concreti.
Aumentano i ricorsi
“In proporzione alle persone che arrivano il contenzioso è cresciuto”, spiega all’HuffPost l’avvocato Salvatore Fachile, socio di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Molti migranti presentano ricorso – con conseguente innalzamento dei costi della giustizia – in particolare contro i dinieghi di rinnovo dei permessi di soggiorno ex umanitari e contro il presunto divieto di iscrizione anagrafica introdotto dal primo Decreto Salvini. Al Tribunale di Bologna è perfino successo che i giudici abbiano ordinato al Comune di iscrivere due richiedenti asilo che avevano presentato ricorso, suscitando le ire leghiste.
Si allungano i tempi per ottenere la cittadinanza italiana.
Il primo Decreto Sicurezza ha esteso, sin dall’entrata in vigore, i termini della procedura per richiedere e ottenere la cittadinanza italiana da 24 a 48 mesi. “La mancata risoluzione della questione della cittadinanza per chi nasce in Italia – si legge nel rapporto Idos – in un paese in cui iniziano ad affacciarsi addirittura le terze generazioni di immigrati, costituisce uno di quei fattori che stanno contribuendo ad avviare processi di disaffezione e – soprattutto tra i più giovani e qualificati – anche di abbandono dell’Italia”. Con buona pace della sicurezza e dell’integrazione.
Le procedure accelerate (e quelle non applicate)
Ci sono, nel primo Decreto Sicurezza, norme non applicate come quella relativa alla possibilità di trattenere persone a scopo di identificazione e della cittadinanza, mentre si stanno cominciando ad applicare le procedure accelerate, anche se fuori dal trattenimento, ad esempio per i migranti che provengono dai cosiddetti “Paesi di origine sicuri” (sono 13), indicati nel decreto rimpatri presentato dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, agli inizi di ottobre.
“Si tratta di una procedura che non dà al migrante il tempo e dunque la possibilità di prepararsi all’incontro con la Commissione – sottolinea Fachile – per cui è molto difficile ritenere che riuscirà a spiegare le sue ragioni. Dopo il diniego della Commissione, non ha diritto a restare sul territorio italiano per aspettare l’esito dell’iter, deve chiedere l’autorizzazione al giudice e le possibilità che ottenga risposta positiva sono limitate”.
Il che, considerando la lentezza dei rimpatri, significa che è destinato a crescere il numero delle persone che da questo processo usciranno irregolari.
Sempre più irregolari
Aumentano i “senza permesso di soggiorno”, si è detto. Dai 530.000 degli inizi del 2018, entro il 2020 potrebbero arrivare a 670.000.
La previsione è contenuta nel dossier statistico Immigrazione 2019 del Centro studi e ricerche Idos, in cui i dodici mesi tra l’estate appena trascorsa e quella precedente, sono definiti “annus horribilis per l’immigrazione” proprio a causa dei due Decreti “Sicurezza”.
Ma perchè tanti irregolari? La causa principale è l’abolizione, disposta dal primo decreto, dei permessi per protezione umanitaria, in precedenza la più diffusa e concessa in Italia ai richiedenti asilo, della durata di 2 anni e rinnovabile – consentiva l’accesso al lavoro, all’assistenza sociale, al servizio sanitario nazionale e all’edilizia residenziale.
La norma ha introdotto permessi per “protezione speciale” per “calamità naturale nel Paese di origine”, per “condizioni di salute gravi”, per vittime di violenza o sfruttamento lavorativo o per “atti di particolare valore civile”.
“Encomiabili” in attesa di risposta
Cheikh Samba Beye, senegalese di quasi 45 anni, da oltre dieci in Italia, a giugno dell’anno scorso ha salvato due fratellini che stavano affogando nel mare di Ventimiglia. Tra i testimoni c’era anche un consigliere di Stato, che ha scritto al Questore di Imperia. Samba ha ricevuto un attestato “per l’encomiabile gesto” dal sindaco di Ventimiglia, è stato più volte in Prefettura a Imperia. “Mi hanno detto che tutti gli incartamenti sono stati inviati a Roma e ora aspetto la risposta delle istituzioni”, racconta all’HuffPost. Dal salvataggio dei bambini sono passati sedici mesi.
Accoglienza senza integrazione
Un migrante che arriva in Italia e non rientra nelle categorie dei permessi speciali, non potendo più contare sulla protezione umanitaria, che garantiva alle persone non bisognose di protezione internazionale il diritto a restare nel Paese, cosa può fare?
Nel primo Decreto Sicurezza è prevista, per i richiedenti asilo con problemi di salute, la possibilità di richiedere il permesso di soggiorno per cure mediche. Ma va dimostrato che nel Paese di origine non riceverebbe cure adeguate e la richiesta va inoltrata al Questore, con tempi di risposta – non necessariamente positiva – che possono superare i dodici mesi.
Mettiamo che il migrante in questione sia in buona salute: dove sarà accolto per effetto delle norme volute da Salvini?
Di certo non in uno dei centri Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), le strutture della rete degli enti locali per realizzare progetti di accoglienza integrata e diffusa sui territori, dal Decreto Sicurezza trasformati in Siproimi (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) e riservati, per l’appunto, solo ai titolari di protezione internazionale e ai minori non accompagnati.
Il migrante, che avrà inoltrato richiesta di asilo, sarà quindi destinato a un Centro di prima accoglienza o a un Centro di accoglienza straordinaria, i famosi Cas che fanno capo alle Prefetture – strutture di grandi dimensioni che ospitano centinaia di persone – nel quale dovrà attendere l’esito della domanda e quello dell’eventuale ricorso a un diniego della Commissione.
Che, nel caso in cui, come previsto dal primo Decreto Sicurezza, si ricorra a procedura accelerata, può arrivare nel giro di tre mesi e concludersi con un rifiuto e l’uscita dal centro del richiedente asilo.
In genere, però, la risposta arriva in un tempo stimato mediamente in 18 mesi. Un anno e mezzo – ma si arriva anche oltre i 2 anni – nel quale il richiedente asilo non potrà seguire corsi di orientamento o programmi di inclusione. Con il rischio, tutt’altro che peregrino, di finire a ingrossare le file della manovalanza sfruttata dalla criminalità .
“Tale riforma – si legge nel report di Idos – ha contribuito, insieme al forte calo degli sbarchi, a svuotare il sistema di accoglienza di migliaia di persone, facendole disperdere sul territorio”.
Dai 135.800 del 2018, nei primi 6 mesi di quest’anno i migranti ospitati nei centri di accoglienza è sceso a circa 108.900, di cui 82.600 nei Cas e 26.200, meno di un quarto, nei Siproimi
Tagli e esuberi nel settore dell’accoglienza
Nelle strutture e nel mercato del lavoro legato all’accoglienza e all’integrazione dei migranti si registrano altri effetti delle norme, conseguenza diretta del taglio dei fondi del massimale giornaliero procapite (da 35 a 26 o 21 euro) disposti con il nuovo schema di capitolato per la gestione dei centri di accoglienza.
Come documentato da HuffPost a giugno scorso erano circa 5 mila i posti di lavoro sfumati – gran parte di italiani – con i quali si era trovata a dover fare i conti solo la Cgil. Oggi la situazione è ulteriormente peggiorata.
“Continuano ad arrivare comunicazioni di esuberi, ma per avere dati aggiornati dobbiamo aspettare che si concludano le procedure di affidamento dei nuovi bandi per l’assegnazione dei servizi di accoglienza nelle strutture di primo livello – puntualizza Stefano Sabato, responsabile delle Cooperative sociali della Fp Cgil nazionale – In alcune province, per alcuni lotti, ci risulta che siano andati deserti. Per ora gli ammortizzatori sociali che stiamo mettendo in campo per gestire la situazione, mi riferisco soprattutto al fondo di integrazione salariale che durerà fino a dicembre-gennaio, sono armi spuntate. Va modificato il Decreto Sicurezza, i profili professionali cancellati devono essere ripristinati”.
E tanti professionisti – insegnanti di italiano, psicologi, mediatori linguistico culturali – il cui profilo è stato soppresso dal primo decreto, pur di non perdere il lavoro, stanno accettando mansioni inferiori alla loro qualifica. Succede al Centro, ancor di più al Sud. “Nel Centro-Sud la situazione è ancora più drammatica perchè le possibilità di essere ricollocati su altri servizi sono minime”, sottolinea Sabato.
Contratti comprati, lavoro nero per i migranti
A proposito di lavoro, all’entrata in vigore del primo Decreto Sicurezza i richiedenti asilo che avevano la protezione umanitaria, per non precipitare nell’irregolarità , si sono trovati di fronte all’obbligo di convertirla in permessi di soggiorno per lavoro autonomo o dipendente.
Bisogna dunque ottenere un contratto di lavoro: centinaia di migliaia non ce l’hanno fatta e si sono ritrovati irregolari, altri un contratto l’hanno comprato. Tanti lo fanno, il prezzo va dai 300 ai 500 euro.
Una prassi consolidata, che rende queste persone, già esposte al sopruso perchè prive di diritti fondamentali, ancora più ricattabili. “Non abbiamo una statistica perchè non tutti accettano di parlarne, ma sappiamo della compravendita dei contratti, che avviene soprattutto nel settore agricolo – fa notare Rita Vitale, dell’associazione “A buon diritto”, da anni impegnata per la tutela dei diritti umani sociali e civili – Le persone fanno a gara per avere un contratto di lavoro perchè sanno che è l’ultima possibilità per ottenere un documento”.
Ghetti rurali…
Quanto gli effetti dei due Decreti Sicurezza abbiano contribuito a creare “le condizioni per un ulteriore ampliamento dei ghetti e del bacino di manodopera a disposizione delle aziende, dello sfruttamento e della criminalità ” è tra i temi del rapporto “La cattiva stagione”, sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti nella Capitanata, provincia di Foggia, al termine del progetto “Terragiusta” portato avanti dell’organizzazione umanitaria “Medici per i diritti umani” (Medu) in collaborazione con diverse associazioni tra cui “A buon diritto”, in uno dei ghetti rurali più grandi d’Italia.
Nel quale vivono e lavorano, in condizioni spesso ai limiti dell’umana sopportazione, fino a 7 mila lavoratori stranieri, in gran parte braccianti in balìa di caporali. L’abolizione della protezione disposta col primo Decreto Sicurezza, rendendo la conversione del permesso in motivi di lavoro una scelta obbligata, ha prodotto “tra i braccianti una sorta di “ansia da contratto di lavoro” – si legge nel report – la ricerca attiva per il migrante si è trasformata nella spasmodica necessità di possedere un contratto di lavoro a tutti i costi, anche acquistandolo, se necessario”.
Il fatto è che, in assenza di permesso di soggiorno, non si può avere nè contratto di locazione in regola, nè regolare contratto di lavoro. Per cui l’attività in nero diventa scelta obbligata.
Una circolare voluta da Salvini per accompagnare il Decreto prevede che il permesso di soggiorno per richiesta di asilo non possa essere utilizzato per chiedere l’iscrizione anagrafica. Il che comporta difficoltà ad avere la carta d’identità , a iscriversi al Servizio sanitario nazionale, ad aprire un conto corrente in banca o alle Poste, dunque ostacoli nell’accesso al mondo del lavoro e l’impossibilità ad affittare regolarmente un’abitazione, quindi problemi per la residenza.
“Pertanto questa previsione normativa finisce con l’alimentare il mercato del lavoro nero, fornendo manodopera a basso costo e senza diritti”, precisa il rapporto Medu.
…e ghetti urbani
“Una situazione, quella della provincia di Foggia, dove abbiamo anche assistito a un aumento delle aggressioni xenofobe, purtroppo comune a tante parti d’Italia. Penso ai ghetti rurali della Basilicata, della Calabria, ma anche a quelli urbani di alcune zone di Roma, con centinaia di migranti che vivono per strada – ragiona Alberto Barbieri, coordinatore generale di Medu – i Decreti hanno effetti negativi anche sulla salute”. Riferendosi all’emarginazione, alle condizioni igienico-sanitarie in cui i migranti sospinti nell’irregolarità si trovano a vivere, Barbieri definisce le norme su immigrazione e sicurezza volute dall’ex vicepremier leghista “fattori patogeni per la salute dei migranti perchè generano condizioni sociali che rappresentano fattori di rischio per le malattie. Con costi che, inevitabilmente, pesano sul Servizio sanitario nazionale. I Decreti Sicurezza stanno generando insicurezza e questo clima fa sì che i migranti, molti dei quali reduci dalla Libia, quindi psicologicamente provati, si rivolgano meno al pronto soccorso e agli ospedali”.
Senza medico di base
In Lombardia, per effetto del primo Decreto, quanti attendono la protezione internazionale verranno iscritti al Servizio sanitario regionale per un anno al massimo e senza poter contare sull’assistenza continuativa da parte di un medico di base.
“Abolire la protezione umanitaria è stata una follia. Ci auguriamo che il nuovo Governo faccia qualcosa”, conclude Barbieri.
Mentre per Francesco Portoghese, di “A buon diritto”, “anche nel caso in cui non si voglia reintrodurre l’umanitaria deve esserci una tutela per le persone che non rientrano nello status di rifugiato e non sono titolari di protezione sussidiaria. Quanto ai salvataggi in mare che ben venga qualsiasi azione della società civile, nel rispetto delle leggi come è avvenuto finora”.
Più rischi in mare
La previsione di sanzioni o sequestro della nave in caso di violazione del divieto di ingresso in acque italiane fino all’arresto del comandante, contenuta nel Decreto Sicurezza bis, è ancora valida.
I dati del Ministero dell’Interno dimostrano che negli ultimi due anni gli arrivi sono diminuiti – dal 1 gennaio al 25 ottobre 2017 erano 111.244 contro i 21.935 dello stesso periodo del 2018 e 9.432 del 2019 – quelli dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati che anche il numero dei morti lungo la rotta del Mediterraneo centrale è calato – 2.688 da gennaio a ottobre del 2017, 1.253 nello stesso periodo del 2018, 688 nel 2019.
Ma in proporzione, a fronte della diminuzione degli arrivi, il tasso di mortalità è diventato più alto – ogni cento arrivi, 2,41% da gennaio a ottobre 2017, 5,68% nello stesso periodo del 2018, 7,4% quest’anno.
La rotta mediterranea è diventata più pericolosa. Come conferma anche il dossier Idos nel quale il crollo degli arrivi via mare è “collegato all’elevato numero di migranti o fermati lungo la traversata dalla Guardia costiera libica e riportati nei campi di detenzione del Paese oppure annegati lungo la rotta del Mediterraneo centrale, ancora la più letale al mondo con più di 25.000 morti o dispersi dal Duemila a oggi”.
Ong, ieri la guerra oggi il dialogo
Salvini aveva dichiarato guerra alle Ong, sbarrando i porti e obbligando le navi a restare in alto mare per settimane. Diversi gli episoti, ma soprattutto l’eco del caso “Sea Watch 3”, con lo scontro frontare con la comandante Carola Rackete, è ancora viva.
Per Giorgia Linardi, portavoce della Ong tedesca, i Decreti Sicurezza sono “parte di una campagna di criminalizzazione delle Ong iniziata con gli accordi di Minniti con la Libia, con il codice di condotta in mare, le ingerenze della Guardia costiera libica, le dichiarazioni del ministro Di Maio che ci definì per la prima volta “taxi del mare”. Rappresentano l’evoluzione normativa di un’aspra campagna sul piano politico, mediatico e giudiziario iniziata già anni prima. Via via abbiamo registrato un accanimento, contro il lavoro delle Ong, da parte di alcuni magistrati, un accanimento ispettivo, abbiamo dovuto fare i conti con campagne mediatiche denigratorie violentissime che ci hanno costretto a concentrarci, come mai prima, sulla difesa delle nostre azioni.
Con i Decreti Sicurezza – spiega ancora Linardi all’HuffPost – si è arrivati a legiferare ai danni dei migranti nel primo, ai danni delle Ong nel secondo. Le Ong, che altro non sono che la società civile in mare, sono state utilizzate strumentalmente come arma di distrazione di massa. Da quando è cambiato il Governo, che sembra voglia tentare di normalizzare la comunicazione, di fatto il Decreto Sicurezza bis è stato considerato lettera morta, in quanto non più applicato, e tuttavia restano ad oggi in vigore i suoi effetti nelle multe fino a 300.000 euro e nei sequestri che gravano su quattro navi e tre Ong. Su tali conseguenze un’azione del Governo è imprescindibile”.
Due giorni fa il nuovo ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha incontrato al Viminale le Ong, che “hanno apprezzato la riapertura di un dialogo”. Ma per giudicare sul cambio di strategia servono atti concreti: la Ocean Viking attende risposte da Roma per poter far sbarcare i 104 migranti a bordo. Il memorandum d’intesa con la Libia sarà rinnovato. E i Decreti Sicurezza restano in vigore.
(da “Huffingtonpost”)
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