PNRR, DIETRO AI DUBBI DELLA COMMISSIONE CHE CONGELA LA SECONDA RATA ATTESA DALL’ITALIA (19 MILIARDI DI EURO) C’È UNA PARTITA CHE RIGUARDA I RAPPORTI TRA DONNA GIORGIA E BRUXELLES (DOVE NON HANNO GRADITO IL SUO RICATTO SUL MES)
L’ARGOMENTO PNRR È DECISIVO PER MELONI, C’È IN BALLO LA SUA CREDIBILITÀ EUROPEA E SULLO SFONDO GLI IMMANCABILI PARAGONI CON “IL PREDECESSORE” DRAGHI
Dopo il Consiglio dei ministri Meloni preferisce non palesarsi. E’ preoccupata dal dossier Pnrr. Dietro ai dubbi della Commissione che congelano la seconda rata attesa dall’Italia (19 miliardi di euro) c’è una partita molto più ampia.
Riguarda il rapporto costruito in questi mesi dalla premier con l’Europa. Una tela diplomatica iniziata con il primo viaggio all’estero e continuata fino alla settimana scorsa. Visite, colloqui telefonici, Consigli europei, bilaterali (da ultimo quello con Emmanuel Macron giovedì notte) per scrollarsi di dosso il pregiudizio per “essere protagonisti e non subalterni con il cappello in mano”.
Ora però questa narrazione rischia di incrinarsi. Matteo Salvini di prima mattina sembra tornato ai tempi d’oro quando sparava a palle incatenate contro “i signori di Bruxelles”. Il vicepremier sulla vicenda dello stop ai motori a combustione a partire dal 2035 mette in mora l’“approccio ideologico della Commissione” informando tutti che l’anno prossimo “ci sarà il voto”. Il frontale dunque è servito.
Intanto, Raffaele Fitto, che è mister Pnrr, mette a verbale che sulla terza tranche congelata “il nostro approccio è assolutamente costruttivo e collaborativo, non si tratta di immaginare polemiche. Sarebbe singolare che gli obiettivi al 31 dicembre 2022 fossero in carico a chi si è insediato a ottobre”. L’ombra di Draghi si staglia sul dossier durante la relazione della Corte dei conti a cui partecipa il ministro per gli Affari europei.
“Se noi oggi capiamo, e lo possiamo capire anche da questa relazione, che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa”, spiega ancora Fitto. L’argomento è particolarmente delicato per Meloni: c’è in ballo la sua credibilità europea e sullo sfondo gli immancabili paragoni “con il mio predecessore”. Ecco perché alla fine di un Consiglio dei ministri ricco di provvedimenti anche molto rivendibili all’esterno preferisce non presentarsi. Fino all’altro giorno era pronta a illustrarli, ora c’è un cambio di strategia.
(da Il Foglio)
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